Il sociale nel 2014. La disabilità è ancora un “peso”
Redattore Sociale
Bilancio 2014. Dalla scuola al lavoro, dai fondi alle celebrazioni: il 2014 è stato per la disabilità un anno di speranze deluse.
Assente dalle politiche, esibita nei palinsesti televisivi, ma in seconda serata. L’anno che si chiude è stato tutt’altro che felice per le persone disabili e le associazioni di cui, in numero sempre maggiore, tante di loro fanno parte. Tante occasioni perse e un’attenzione ancora troppo bassa, nonostante le pressanti richieste di famiglie che, tramite le associazioni, diventano ogni giorno più attive, protagoniste nel rivendicare un welfare che guardi alla disabilità non come un “peso” da sopportare, ma come una “limitazione funzionale” a cui dare sostegno e opportunità, con opportune politiche e nell’interesse di tutti.
Partiamo dalla fine: il 3 dicembre, Giornata internazionale: la grande novità è l’evento organizzato, per la prima volta, dal governo a Palazzo Chigi: grandi le aspettative, verso questo primo segno di attenzione e protagonismo in una giornata che non si vorrebbe meramente celebrativa. Peccato che la realtà spenga presto ogni ottimismo: l’iniziativa è “a inviti”, riservata a pochi eletti e ospitata in una stanza prestigiosa ma poco capiente (la Sala verde) e ancora meno confortevole per chi ha disabilità motoria. Poche le persone disabili presenti in sala, quasi nulli i riferimenti alla disabilità nel breve discorso del presidente Renzi, tutto incentrato su riforma del terzo settore e 5 per mille. In poche parole, un’occasione mancata.
Occasione mancata anche quella dell’incremento dei fondi: anche qui, grandi speranze, prontamente deluse. Anzi, in questo caso si tratta di un “ballo a tre passi”: si inizia con il taglio del fondo per la non autosufficienza, programmato nella legge di stabilità (da 350 a 250 milioni). Seguono le proteste di piazza e la levata di scudi delle associazioni, tutte d’accordo nel denunciare la gravità di questa scelta del governo, seppure con metodi come al solito differenti: chi in piazza (Comitato 16 novembre), chi seduto ai tavoli con le istituzioni (Fish e Fand). Le proteste centrano però il bersaglio: è il secondo passo, l’incremento dei fondi da 250 a 400 milioni. Soddisfazione ed esultanza durano però pochi giorni, fino a quando, cioè, non si diffonde la notizia che le risorse restituite ai fondi sociali saranno sottratte alle annunciate politiche familiari. Sconcerto, delusione, frustrazione. Insomma, un’altra occasione mancata.
La scuola, poi, è per la disabilità forse l’occasione mancata per eccellenza: a dispetto di un modello d’integrazione e relative normative che fanno invidia a tutto il mondo, la vera inclusione è ancora tutta da inventare. Ci ha provato, il governo, con “La buona scuola”, in cui però la disabilità è rinchiusa in due scarne paginette dove non c’è traccia di impegno concreti, se non l’incremento degli insegnanti di sostegno reso possibile dalle nuove assunzioni. Niente di fatto, invece, per quel “superamento della delega al sostegno” in favore di un modello d’integrazione vera, in cui la disabilità sia questione, pertinenza e competenza dell’intero corpo docenti. Niente di fatto, ancora, per la proposta, tutta praticabile, dell’Osservatorio per l’integrazione, che da anni, presso il Miur, pensa a prassi e riforme che favoriscano la realizzazione di un modello inclusivo. In particolare, l’idea di una formazione adeguata sulla disabilità per tutti gli insegnanti non trova per ora attuazione. Nessuna risposta per l’offerta di esperti, disponibili gratuitamente per realizzare questa formazione: di nuovo, si preferisce il vecchio modello del bando, a cui soprattutto gli atenei rispondono istituendo corsi che non sembrano avere nulla di nuovo. E che, peraltro, sono riservati a chi è già abilitato. Intanto, l’anno scolastico, a settembre, è iniziato tra mille disagi e carenze per gli studenti con disabilità: al suono della prima campanella, tanti insegnanti di sostegno ancora eerano assenti. E’ la terza occasione persa.
E veniamo al lavoro: l’inserimento lavorativo, regolato da una legge che da anni si chiede di cambiare (la 68/99), pare impantanato nelle maglie di una crisi che investe l’intero settore occupazionale. Ma c’è una notizia che, sul finir del 2014, pareva proprio la ciliegina sulla torta: il fondo per il diritto al lavoro dei disabili, previsto dalla legge 68/99 sul collocamento obbligatorio, non sarebbe stato rifinanziato per l’anno 2015: dopo due anni consecutivi di incremento delle risorse, dunque, non ci sarebbero stati più soldi né per dare contributi ai datori di lavoro che assumono lavoratori disabili a tempo indeterminato attraverso le convenzioni né per concedere i rimborsi parziali delle spese sostenute dalle aziende per l’adattamento del posto di lavoro. Era questo l’intendimento del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, presso il quale la legge 68/99 aveva istituito il fondo e che ha il compito ogni anno di procedere al riparto delle somme fra le regioni.
La notizia arrivava in un momento particolarmente critico per il lavoro delle persone disabili: la Relazione al Parlamento sull’attuazione della legge 68/99 ha fotografato nel biennio 2012-13 una riduzione dei nuovi avviamenti (calati nel 2013 al minimo storico, poco più di 18 mila) a fronte di un numero di iscritti alle liste del collocamento obbligatorio che rimane molto alto (oltre 676 mila disabili) e ad un numero di posti scoperti rispetto alle quote di riserva che arriva fra pubblico e privato a superare quota 41 mila. Più che un’occasione mancata, si annunciava un passo indietro di notevole portata. Registrate e prime reazioni negative al provvedimento, però, è degli ultimi giorni del 2014 la notizia che quel fondo forse ci sarà e disporrà di 20 milioni di euro: lo prevede uno degli emendamenti alla legge di stabilità.
Intanto, non meraviglia che, tra un’occasione persa e l’altra, le famiglie delle persone con disabilità continuino a impoverirsi. Impossibile misurare con esattezza la tendenza, visto che dati ufficiali continuano a mancare. Ma diamo credito all’ipotesi avanzata dalla Fish, secondo cui almeno il 50% delle famiglie con disabilità è a rischio povertà. “Ma è un dato sottostimato”, commenta il presidente, Vincenzo Falabella. L’Istat, invece, non ha dati aggiornati sul rischio impoverimento di queste famiglia: l’ultimo disponibile è l’elaborazione che ha fornito lo scorso anno a Redattore sociale, su dati relativi al periodo 2004-2011: tratti dall’indagine Eusilc sulle condizioni di vita degli italiani, quei dati parlavano di un 21% delle famiglie con componenti disabili a rischio povertà. Il problema, però, secondo la Fish e “secondo le denunce e le segnalazioni che riceviamo dalle famiglie, è molto più esteso: il primo fattore di impoverimento è la consistente spesa per l’assistenza, dovuta all’insufficienza della risposta sociale da parte delle istituzioni. Ecco perché una famiglia con un componente disabile ha una forte tendenza all’impoverimento, che poi significa marginalità e perfino segregazione. Da anni stiamo evidenziando questo dato – ricorda Falabella – e ora torniamo a chiedere a istituzioni e ministri competenti un’attenzione particolare alle persone disabili e alle loro famiglie”. In questo caso, più che un’occasione persa, un’attenzione che continua a mancare.
Grande è stata invece l’attenzione riscossa da quello che si può definire uno dei casi televisivi dell’anno: “Hotel 6 stelle”, la docu-fiction che ha raccontato al grande pubblico un’esperienza di inserimento lavorativo di persone con disabilità. Prodotta da Magnolia, la trasmissione è stata realizzata con la collaborazione dell’Aipd, l’Associazione italiana persone down e con la regia di Claudio Canepari. Grande successo di ascolti per la trasmissione, acclamata dal pubblico tanto da dover concedere un bis: non solo con la replica della prima edizione, ma anche con la realizzazione della seconda edizione, girata in Sardegna e andata in onda, proprio nelle ultime settimane dell’anno, sempre su RaiTre. Un successo, quello di Hotel 6 stelle, che da un lato testimonia il crescente interesse “mediatico” verso la disabilità, dall’altro però simboleggia anche la fatica e la resistenza a porre la questione in primo piano. O, semplicemente, in “prima serata”.
Fonte: www.redattoresociale.it
27 dicembre 2014