Il Secondo Sinodo Africano
Padre Renato Kizito Sesana
Il Secondo Sinodo Africano si terrà nel prossimo mese di ottobre a Roma. Il tema scelto da Benedetto XVI è: “La chiesa in Africa al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace”.
Quando era stato annunciato il primo Sinodo Africano, tenutosi nell’aprile del 94, in drammatica quanto imprevista coincidenza con il genocidio Ruandese e la fine dell’apartheid in Sudafrica, erano nate grandi speranze che il Sinodo sarebbe potuto essere l’inizio di una nuova era per la chiesa africana. Non solo teologoi e vescovi africani, ma anche personalità di grandissimo rilievo come il teologo Bernhard Haring, avevano cominciato a sognare di un rito africano e di un Patriarcato per l’Africa, sul modello delle chiese orientali. Cosi non è stato. Il primo sinodo africano ha approvato, e disinnescato, la bomba dell’inculturazione, ancorando sicuramente la chiesa africana nel rito latino.Ma ha anche confermato, attraverso i numerosi interventi in aula sul tema della giustizia, l’impegno delle chiesa africana per la trasformazione del sociale, che fino ad allora alcuni osservatori consideravano come una dimensione minore nella vita della chiesa africana.
Ricordo, dopo la conclusione del primo Sinodo Africano, il commento disincantato di un Cardinale: “Ormai tutti i Sinodi sono diventati uno strumento di controllo e normalizzazione, non sono fatti per aprire a nuove pratiche pastorali, tantomeno a nuove visioni. Servono ad abbassare tutti al minimo comun demnominatore”.
Anche per questo imminente Sinodo Africano il lavoro preparatorio immediato non è stato particolamente approfondito e non ha neppure coinvolto un gran numero di fedeli. Ma, nonostante queste insufficienze ci sono delle premesse che possono far sperare in un Sinodo che superi la normale routine.
Innanzituto il tema, che ha una enorme rilevanza per la vita dell’Africa d’oggi. Anche se in Africa ci sono delle grandi isole di tranquillità e segnali di avvio verso condizioni di vita più giuste per tutti, non si può negare la presenza e la ricorrente esplosione di gravissime ingiustizie sociali e mancato rispeto di diritti umani, di guerra e violenza come metodo di soluzione di ogni tipo di conflitto, di una classe politc e dirigenziale tanto corrotta quanto incpace. Recentemente alla lista dei mali africani si sono aggiunti i disastri ecologici. Certamete non si può puntare l’atenzione solo su carestie, rifugiati, o sulle piste di migranti migranti in movimento verso l’europa alla ricerca di una vita più umana, ma non si può neanche negare che questi siano i grandi fallimenti su ciu l’Africa ha bisogno di riflettere e di fare dei programmi di azione.
E’ proprio su quesi temi che sta emergentdo una riflessione di laici che sta lentamente cambiando la\ percezione della realtà: I responsabili non sono più le vecchie e nuove dominazioni ma siamo noi. Per esempio lLe commissioni “Giustizia Pace” costitute dalla chiesa a livelo nazionale e diocesano – qualche voltea anche parorchiale – sono ancora fragili e sono riuscite a fare solo pochi passi concreti. Ma hanno fatto esperienza, sono vive e attive, e potenzialmente potrebbero mobilitarsi intorno ad un programma comune di formazione e azione. Oltre a queste commissioni ci sono una miriade di iniziative per giustizia, pace e riconcilaizion, magari spesso spesso condotte in modo velleittario, che però rappresentano un capitale importante di buona volonta e con le quali si può collaborare e ripartie isieme. In particolare non dovrebbero essere trascurate le iniziative di questo tipo nate nell’ambito del mondo musulmano. Questa ricca esperianza di vita potrebbe essere la solida base su cui il sinodo africano potrebbe costruire un programma e una visione.
I vescovi africani, sopratutto negli ultimi due decenni, sono stati stati sempre più partecipi della turbolenta storia africana. A volte ne sono stati vittime, anche pagando con la vita, a volte, purtroppo in qualche caso è successo, sono stati dalla parte dell’ingustizia e dei carnefici. Ma questa turbolenza li ha simolati a parlare e scrivere sui temi fondamentai della pace, delle ingiustie sociali, sfruttamento dei poveri, diritti umani, violenza, tribalismo, unità nazionale, bene comune, servizio. Da quanto so, sono stati fatti pochi tentativi di raccogliere e analizzare questa imponente massa di insegnamento episcopale e livello di tutta l’Afirca, e perfino i documenti preparatori del Sinodo l’ hanno sostanzialmente ignorato, ma sarà comunque presente in aula sinodale nella persona degli stessi vescovi e non potrà mancare di venire alla luce.
Infine c’è la grande rihceza di un magistero papale che su questi temi è continuativo, coerente, avanzato, elaborato senza essre chiuso. Un magistero che ha avuto il coronamento nella recente enciclica di Benedetto XVI “Caritas in Veritate”. Se il sinodo di ottobre riuscisse anche solo a “inculturare” per l’Africa questa enciclica sarebbe già un grande successo. Tra l’altro in essa ci sono delgi spunti nuovi, come per esempio quando il Papa introduce nel discorso economico il dono e la grauità. considerato da alcuni come elementi fondanti dell’economia tradiziale africana. Basti ricodare il libro di Serge Latouche, L’Autre Afrique, entre don et marché, del 1998.
Quindi la chiesa africana sa di avere non solo il dovere di riflettere e di dare indicazioni sui temi di giustizia pace e riconcilaizione, ma anche di avere il diritto e l’autorevolezz di proporli all’attenzione di tutti. Poche altre istituzioni africane possono vantare uno “stato di servizio” paragonabile a quello della chiesa in simili questioni. E ciò non è dovuto solo alle sue dichiarazioni ufficiali, ai trattati di teologia, ai seminari e simposi indetti sull’argomento, ma anche – e soprattutto – al sudore e al sangue di migliaia di fedeli e comunità che hanno profuso energie, offerto amore e, in alcuni casi, sacrificato la propria vita per costruire una società più giusta, riconciliata e rappacificata.
I segnali di debolezze non mancano. Primo fra tutti, perchè segno di una pesantissima dipendenza dall’esterno, la debolezza economica che diventa poi dipendenza in campi ben più impotanti per la chiesa. Cosi il SECAM (Symposium of Episcopal Conferences of Africa and Madagascar), l’istituzione a livello più alto della chiesa cattolica africana, ha dovuto annunciare a fine agosto di annullare la propria 15sima Assemblea Plenaria che si sarebbe dovuta tenere a Frascati nei giorni immediatamente precedenti il Sinodo. Avrebbe potuto essere un momento di coodinamento degli interventi pù importanti, oltre a portare avanti il normale coodinamento. Era stata prevista in questo periodo per poter approffittare della presenza dei vescovi a Roma e non gravare i costi delle diocesi con un latro biglietto aereo per il vescovo. Eppure l’annullamneto è dovuto al fatto che i vscovi africani non ce la fano a pagare di tasca propria una decina di giorni in pesnioni di sandad medio.
E’ una situazione che la dice lunga sulla dipendenza di una chiesa che non ha i fondi per oganizzare i propri incontri.
Le debolezze non possono non far riconoscere alla chiesa africana una fondamentale coerenza, una una prontezza d’impegno tra la gente in termini d’interventi caritativi rivolti a tutti, a prescindere dal tipo di affiliazione, e una decisa volontà di lottare per la creazione di uno stato di diritto e spingere i governi a orientare le proprie politiche verso la protezione dei gruppi più deboli e vulnerabili.
Il cammino che la chiesa africana deve affrontare per superare gli ostacoli dei condizionamenti storici e culturali è ancora lungo. Ma questo sinodo, magari proprio perchè ci si aspetta ben poco, potrebbe sorprenderci con qualcosa di profetico.
Fonte: Blog di Padre Renato Kizito
settembre 2009