Il sangue innocente di Gaza
Michele Giorgio, Il Manifesto
Basel Shuhaibar è ancora vivo. Ma la sua esistenza è cambiata per sempre. Fino a due giorni fa era un bambino come tanti altri, felice; poi tre missili sganciati da un jet israeliano su un palazzo di Sabra hanno messo fine ai giochi, ai sorrisi, al divertimento.
Basel Shuhaibar è ancora vivo. Ma la sua esistenza è cambiata per sempre. Fino a due giorni fa era un bambino come tanti altri, felice, raccontano i parenti, pronto a giocare con amici e cugini davanti casa. Poi tre missili sganciati da un jet israeliano su un palazzo di tre piani di Sabra hanno messo fine ai giochi, ai sorrisi, al divertimento. Ora Basel, 10 anni, è steso su di un letto del reparto di terapia intensiva dell’ospedale «Shifa»: intubato, avvolto nelle bende, con fratture gravi alle gambe e al braccio destro. «È sedato, ora non sente dolore – spiega un medico – abbiamo dovuto lottare per tenerlo in vita ma si è stabilizzato e potrà farcela».
Nel letto accanto giace, avvolto in una ragnatela di cavi e tubi attaccati alle macchine della terapia intensiva, un giovane di 20 anni, Ahmed, giunto qualche ora prima da Deir al Balah. Le sue condizioni sono disperate, il suo corpo è pieno di frammenti di metallo che lo hanno colpito ovunque quando un carro armato ha fatto fuoco sulla sua abitazione.
Se tutto andrà per il meglio Basel Shuhaibar dovrà sottoporsi a lunghe terapie riabilitative, forse non recupererà l’uso completo del braccio, le fratture sono molto gravi. Ma è vivo, ringrazia Dio uno zio che gli sta accanto. Per i suoi piccoli cugini Jihad, Wasim e Fulla, invece la vita è finita l’altro giorno, poco dopo la scadenza della «tregua umanitaria», quando l’aereo israeliano, forse un drone, ha sganciato i suoi missili. Il giorno prima altri quattro bambini palestinesi della famiglia Bakr erano stati uccisi sulla spiaggia di Gaza city da colpi sparati dalla Marina israeliana per motivi che restano oscuri. «L’uccisione di quattro bambini palestinesi, tutti della stessa famiglia allargata, e il ferimento di altri due tutti mentre giocavano su una spiaggia è un duro monito che nessun luogo è più sicuro per i bambini di Gaza.
Sempre ieri una serie di razzi sono stati trovati nascosti in una scuola dell’Unrwa, in spregio alla neutralità delle scuole», ha protestato ieri Maria Calivis, responsabile per il Medio Oriente e l’Africa del Nord per l’Unicef, sottolineando che il numero di bambini uccisi a Gaza «è arrivato almeno a 48 da quando le ostilità sono iniziate solo dieci giorni fa. In media, ogni giorno quattro bambini sono stati uccisi». Defence for Children International-Palestina riferiva ieri che il bilancio di minori morti nell’offensiva militare in corso, è il più alto dai tempi dell’operazione «Piombo Fuso» che provocò la morte di 352 bambini.
Ieri è stata un’altra giornata in cui è stato sparso sangue innocente. Tre ragazzi fra 12 e 16 anni sono stati uccisi dal fuoco dell’artiglieria israeliana all’ interno di un appartamento delle Torri al-Nada, non lontano dal valico di Erez con Israele. Qualche ora prima un bimbo di pochi mesi era morto in un bombardamento. Dalle 22 di giovedì alle 20 di ieri sono stati uccisi 33 palestinesi. Dall’8 luglio i morti sono stati almeno 274, duemila i feriti.
La maggior parte delle vittime ieri si sono registrate a Khan Yunis, Rafah, nel nord-est di Gaza dove da giovedì è in corso «l’offensiva di terra» dell’esercito israeliano. In realtà si tratta più di incursioni a cavallo della «buffer zone» sul versante palestinese della Striscia dove, spiegano i comandi militari, truppe scelte e reparti corazzati hanno distrutto in 24 ore una ventina di gallerie sotterranee e ucciso, pare, 20 combattenti di Hamas (altri 13 sarebbero stati arrestati) che resistono ai raid dei commando israeliani.
Il premier israeliano Netanyahu ieri ha ribadito che l’offensiva, se necessario, sarà ulteriormente allargata. E queste parole hanno aggravato l’allarme tra le organizzazioni umanitarie e le ong. Ormai a Gaza è emergenza sfollati. Giovedì migliaia di civili palestinesi di Shajaieh e Zaitun, hanno abbandonato le loro case e sono fuggiti in preda al panico quando l’artiglieria e i mezzi corazzati israeliani hanno cominciato a martellare tutta la loro zona (colpito anche l’ospedale al Wafa, costretto all’evacuazione). Speravano di rimanere nelle loro case ma hanno capito che rischiavano di morire sotto le cannonate.
Si sono diretti verso le scuole dell’Unrwa, già colme di sfollati giunti a inizio settimana del nord di Gaza. In poche ore i palestinesi costretti ad abbandonare le abitazioni sono passati da 22 a 40 mila. Dagli altoparlanti dei minareti di tutta Gaza, ieri in occasione del sermone islamico venerdì, sono uscite esortazioni a resistere, ad essere forti.
A Jabalya la gente ha attuato di sua volontà una «tregua umanitaria» incurante dei carri armati israeliani posizionati a un km di distanza. Hamas da parte sua non cede, continua a lanciare decine di razzi ogni giorno che tengono sotto pressione centinaia di migliaia di israeliani, anche a Tel Aviv. Il movimento islamico si oppone alla «tregua per la tregua» e insiste che la calma tornerà soltanto quando sarà trovata una intesa ampia che migliori sensibilmente la condizione di chi vive a Gaza sotto assedio israeliano ed egiziano. Hamas cerca inoltre il dialogo diretto con il Cairo che però non riesce ancora ad ottenere. Ieri sera era prevista una riunione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu ma pochi credono che dal Palazzo di Vetro uscirà la soluzione alla crisi.
Così come dall’impegno americano che, in ogni caso, è sbilanciato a favore di Israele. Barack Obama ieri ha ribadito il diritto di Israele a «difendersi». «Nessun paese può accettare che razzi siano sparati ai suoi confini», ha detto il presidente americano riferendo del colloquio telefonico che aveva avuto con Netanyahu. Obama deve anche considerare che nessun popolo può vivere per decenni sotto una dura occupazione senza aspirare alla dignità, alla libertà e all’indipendenza.
Obama potrebbe proteggere un po’ di più anche la libertà di pensiero nel suo paese. La Cnn ha rimosso la corrispondente che seguiva il conflitto israelo-palestinese dopo il tweet della giornalista nel quale definiva «feccia» un gruppo di israeliani che esultavano per i bombardamenti contro Gaza. Giovedì Diana Magnay era in collegamento da una collina nei pressi di Sderot che domina il confine fra Israele e Gaza e mentre dava un aggiornamento sugli ultimi eventi, un gruppo di israeliani ha esultato quando ha visto le esplosioni a Gaza. Dopo il collegamento, la giornalista ha twittato: «Israeliani sulla collina sopra Sderot esultano mentre le bombe cadono su Gaza; minacciano di distruggere la nostra auto se dico una parola sbagliata. Feccia».
Fonte: il Manifesto
19 luglio 2014