Il ruolo (irrinunciabile) della società civile
AGI Mondo ONG
In gioco ci sono la fuoriuscita dalla povertà di vaste fasce della popolazione e la positiva gestione dei flussi migratori regionali. Le riflessioni di Ivano Bray, coordinatore per il CISP-Sviluppo dei popoli in Sudafrica.
L'auspicio è che il processo elettorale si concluda con un rafforzamento della collaborazione tra istituzioni e società civile sudafricana, quanto mai essenziale per fare fronte ad alcune priorità del Paese e della regione. Due in particolare: la fuoriuscita dalla povertà di vaste fasce della popolazione, in uno Stato tuttora segnato da forti livelli di diseguaglianza, e la positiva gestione dei flussi migratori regionali che come è noto hanno nel recente passato alimentato gravissime tensioni nel Paese.
Promesse mancate e corruzione
In questi quindici anni di governo dell’African National Congress (Anc) nessuna delle promesse di miglioramento per le popolazioni povere ed emarginate sono state mantenute nel progetto di sviluppo economico. La ricchezza prodotta non è stata redistribuita, ma è andata ai ceti clientelari più legati al potere politico e economico. Molti servizi primari dello Stato sociale, come l’Istruzione e la Sanità, non hanno fatto registrare alcun progresso, complice l’incompetenza delle istituzioni locali di gestire la capacità di spesa che il Sudafrica ha mantenuto ancora molto elevata a dispetto della crisi economica. Comprensibile quindi la disaffezione verso l’Anc, nonostante le folle portate ai comizi elettorali. Qualche indicazione di cambiamento arriverà con queste elezioni politiche: la scissione dell’Anc e un allargamento degli spazi democratici consente di esprimere il dissenso a quanti non si riconoscono più nel partito di Nelson Mandela. Non ci saranno scossoni politici auspicabili, invece, per fermare la corruzione di funzionari pubblici, le distorsioni del potere a livello locale, ma si creeranno perlomeno le condizioni per una riflessione all’interno dell’Anc.
Disoccupazione, violenze, Aids
Il candidato Jacob Zuma, il sessantasettenne di origine zulu favorito alla presidenza del Paese, è una figura tutt’altro che specchiata dal punto di vista morale, contraddittoria dal punto vista politico e non offre garanzie: oltre alle vicende giudiziarie, archiviate da pochi giorni, più preoccupante è il suo atteggiamento che oscilla tra un pericoloso populismo dogmatico, nelle promesse di giustizia sociale, e il dover continuamente rassicurare gli investitori internazionali sul proseguimento di una politica economica garantita dall’attuale ministro dell’Economica, Manuel Trevor. La realtà, che viviamo ogni giorno a contatto con le reti di ong sudafricane, è fatta di disoccupazione altissima (oltre il 40 per cento), donne e giovani emarginati, violenza diffusa nelle città e incidenza drammatica dell’Aids tra le popolazioni povere, soprattutto nelle aree rurali. Il problema, colpevolmente sottovalutato negli ultimi dieci anni dal governo, grazie a una fortissima mobilitazione e pressione dal basso è stato recepito dalla classe politica che, alla fine, ha mobilitato risorse per i farmaci antiretrovirali e per fare prevenzione. Ma siamo al punto che intere province hanno tassi di incidenza della malattia del 45 per cento e ogni giorno in media vi sono oltre 1.500 decessi in tutto il Paese. Le comunità locali sono destrutturate, frammentate. È diminuita progressivamente la capacità di rispondere efficacemente alle emergenze sanitarie, come forme di tubercolosi resistenti ai farmaci. Di fatto un’emergenza internazionale non riconosciuta, che incide fortemente su un sistema sanitario carente e ingiusto, in spregio a quelle speranze di uguali diritti tra neri e bianchi, che la fine dell’apartheid aveva alimentato.
Fonte: OngAgiMondo
Editoriale di Ivano Bray, coordinatore per il CISP-Sviluppo dei popoli in Sudafrica