Il puzzle chiamato Libia
Guido Olimpo - Corriere della sera
Città-Stato in guerra tra loro, decine di milizie, due governi: è la Libia del dopo Gheddafi.
Città-Stato in guerra tra loro, un’infinità di milizie poco compatte, due governi, interessi di attori esterni. È questa la Libia, vittima delle sue divisioni e dell’eredità lasciata da Muammar Gheddafi, un leader che ha gestito il Paese da capo clan senza dargli un vera struttura.
Sulla mappa brillano alcuni punti chiave. Partiamo da Est, a Tobruk, Cirenaica, luogo che evoca battaglie lontane. È la sede del governo presieduto da Abdullah al Thani. Lo riconosce la comunità internazionale e ha l’appoggio del generale Khalifa Haftar. L’alto ufficiale ambisce al ruolo di uomo della Provvidenza. A lungo coccolato dagli Usa, dove ha vissuto, ha scatenato l’«offensiva Dignità» contro le milizie islamiche, Fajr, e i mujaheddin filo-Isis. Campagna condotta con la copertura — anche militare — di Egitto e Emirati Arabi Uniti. Haftar comanda quello che resta dell’esercito regolare libico e dispone di un’aviazione rimessa in linea con l’aiuto del Cairo.
Ancora a Oriente: Bengasi. Islamici di Ansar al Sharia e uomini del Consiglio rivoluzionario sono attestati in tre quartieri fronteggiati dai «regolari» e formazioni locali. Quadro comunque complesso perché gli estremisti bersagliano gli avversari con attentati, cecchini, omicidi e trappole esplosive. Sempre nella zona est c’è Derna, il cuore del nascente califfato libico e culla di dozzine di volontari morti in Iraq dopo il 2003. A ottobre Ansar al Sharia e il Consiglio dei Giovani Thuwar hanno dichiarato fedeltà ad Al Baghdadi. A Derna opera inoltre la Brigata Battar, circa 800 uomini molti dei quali hanno combattuto a Deir Zor, Siria, e Mosul, Iraq. Hanno campi d’addestramento dove sono presenti anche elementi arrivati dall’estero. Una figura importante è stata quella di Sufian Bin Qumu: di recente sono circolate informazioni sulla sua morte dopo un ricovero in Turchia. Al fianco di Bin Laden in Sudan, poi con i talebani, è stato catturato dai pachistani e «passato» agli Usa che lo hanno rinchiuso a Guantanamo fino al 2007. In quell’anno è stato mandato in Libia dove ha trascorso un altro anno di prigione per essere poi liberato da Gheddafi. Sin dai primi giorni della rivolta si è imposto come capofila di una fazione ultra-integralista ed è stato anche sospettato di aver partecipato all’assalto contro il consolato Usa di Bengasi.
In queste ore la città più osservata è Sirte. Alla sua periferia hanno girato il video con la decapitazione dei copti e da qui l’Isis ha lanciato le sue minacce. Ora è circondata da più lati e i seguaci del Califfo hanno abbandonato molte posizioni, un ripiegamento tattico per evitare conseguenze peggiori. I responsabili sarebbero Alì Qiem Al Garga’i e due emissari di Al Baghdadi, un saudita e un mauritano distaccati dal movimento in qualità di consulenti.
Misurata era e resta una realtà particolare. Conta su una miriade di organizzazioni — oltre 300 — molte delle quali dotate di armamento pesante e alcuni caccia, da vero esercito. È l’apparato più potente e temprato. Le unità ricadono sotto tre grandi cartelli politici: i Fratelli musulmani di Al Sahili, gli ex membri del Gruppo combattente libico (fazione che fu pro Qaeda), una formazione più estrema della Fratellanza. La linea principale sostiene il governo ribelle ma alcuni esponenti hanno compiuto passi per negoziare anche con gli avversari.
A Tripoli cerca di imporre la propria autorità il governo parallelo di Omar al Hassi ostile a quello di Tobruk. Alle sue spalle la Fratellanza, la Turchia e la milizia Fajr, formata in gran parte dai veterani di Misurata. Il quadro è reso confuso dalla presenza di gruppi di autodifesa nati in alcuni quartieri, come Abu Selim e Wershefana. Erano al fianco di quelli di Zintan, ma dopo la loro sconfitta sono venuti a patti con Al Hassi. Non per sempre. Nella capitale si fanno notare i mujaheddin del Wilayat Trabulus, islamisti in favore del Califfato.
Le milizie di Zintan, attestate sui monti Nafusa, sono schierate con il governo legittimo e rappresentano la seconda forza militare del Paese. Uno schieramento che ha avuto, durante l’insurrezione, un aiuto diretto da parte degli Emirati. Ancora a ovest ci sono Bani Walid e Gharian favorevoli ad Al Thani mentre in altre località lavorano con gli islamisti ma sempre con mille distinguo. L’ultima conferma di come sia complicato il puzzle chiamato Libia.
Guido Olimpio
( Ha collaborato Farid Adly )
Ancora a Oriente: Bengasi. Islamici di Ansar al Sharia e uomini del Consiglio rivoluzionario sono attestati in tre quartieri fronteggiati dai «regolari» e formazioni locali. Quadro comunque complesso perché gli estremisti bersagliano gli avversari con attentati, cecchini, omicidi e trappole esplosive. Sempre nella zona est c’è Derna, il cuore del nascente califfato libico e culla di dozzine di volontari morti in Iraq dopo il 2003. A ottobre Ansar al Sharia e il Consiglio dei Giovani Thuwar hanno dichiarato fedeltà ad Al Baghdadi. A Derna opera inoltre la Brigata Battar, circa 800 uomini molti dei quali hanno combattuto a Deir Zor, Siria, e Mosul, Iraq. Hanno campi d’addestramento dove sono presenti anche elementi arrivati dall’estero. Una figura importante è stata quella di Sufian Bin Qumu: di recente sono circolate informazioni sulla sua morte dopo un ricovero in Turchia. Al fianco di Bin Laden in Sudan, poi con i talebani, è stato catturato dai pachistani e «passato» agli Usa che lo hanno rinchiuso a Guantanamo fino al 2007. In quell’anno è stato mandato in Libia dove ha trascorso un altro anno di prigione per essere poi liberato da Gheddafi. Sin dai primi giorni della rivolta si è imposto come capofila di una fazione ultra-integralista ed è stato anche sospettato di aver partecipato all’assalto contro il consolato Usa di Bengasi.
In queste ore la città più osservata è Sirte. Alla sua periferia hanno girato il video con la decapitazione dei copti e da qui l’Isis ha lanciato le sue minacce. Ora è circondata da più lati e i seguaci del Califfo hanno abbandonato molte posizioni, un ripiegamento tattico per evitare conseguenze peggiori. I responsabili sarebbero Alì Qiem Al Garga’i e due emissari di Al Baghdadi, un saudita e un mauritano distaccati dal movimento in qualità di consulenti.
Misurata era e resta una realtà particolare. Conta su una miriade di organizzazioni — oltre 300 — molte delle quali dotate di armamento pesante e alcuni caccia, da vero esercito. È l’apparato più potente e temprato. Le unità ricadono sotto tre grandi cartelli politici: i Fratelli musulmani di Al Sahili, gli ex membri del Gruppo combattente libico (fazione che fu pro Qaeda), una formazione più estrema della Fratellanza. La linea principale sostiene il governo ribelle ma alcuni esponenti hanno compiuto passi per negoziare anche con gli avversari.
A Tripoli cerca di imporre la propria autorità il governo parallelo di Omar al Hassi ostile a quello di Tobruk. Alle sue spalle la Fratellanza, la Turchia e la milizia Fajr, formata in gran parte dai veterani di Misurata. Il quadro è reso confuso dalla presenza di gruppi di autodifesa nati in alcuni quartieri, come Abu Selim e Wershefana. Erano al fianco di quelli di Zintan, ma dopo la loro sconfitta sono venuti a patti con Al Hassi. Non per sempre. Nella capitale si fanno notare i mujaheddin del Wilayat Trabulus, islamisti in favore del Califfato.
Le milizie di Zintan, attestate sui monti Nafusa, sono schierate con il governo legittimo e rappresentano la seconda forza militare del Paese. Uno schieramento che ha avuto, durante l’insurrezione, un aiuto diretto da parte degli Emirati. Ancora a ovest ci sono Bani Walid e Gharian favorevoli ad Al Thani mentre in altre località lavorano con gli islamisti ma sempre con mille distinguo. L’ultima conferma di come sia complicato il puzzle chiamato Libia.
Guido Olimpio
( Ha collaborato Farid Adly )
Fonte: www.dirittiglobali.it
18 febbraio 2015