Il nonviolento e l’avversario
Aldo Capitini
Gandhi affermava che, una volta iniziata la lotta, i nonviolenti devono attendersi dall’avversario una serie di reazioni diverse, prima di riuscire a conquistarne il rispetto: esse sono l’indifferenza, il ridicolo, la calunnia, e la repressione. Gandhi non voleva distruggere l’avversario, né stravincere, facendogli fare una brutta figura; gli bastava fare dei passi avanti, di ottenere […]
Gandhi affermava che, una volta iniziata la lotta, i nonviolenti devono attendersi dall’avversario una serie di reazioni diverse, prima di riuscire a conquistarne il rispetto: esse sono l’indifferenza, il ridicolo, la calunnia, e la repressione. Gandhi non voleva distruggere l’avversario, né stravincere, facendogli fare una brutta figura; gli bastava fare dei passi avanti, di ottenere alcune cose giuste; il resto veniva rimandato a lotte successive. Egli voleva soprattutto convincerlo, agire sull’animo dell’avversario mostrandogli la sua ingiustizia, e offrendogli un modo onorevole di cedere, senza amarezza e senza umiliazione.
(AC, La nonviolenza oggi, IN Scritti sulla nonviolenza, Protagon 1992, p. 176-7)