"Il Medio Oriente va verso una farsa pericolosa"


Zvi Shuldiner


La doppia faccia della questione mediorientale sta uscendo allo scoperto: aumenta la minaccia di una possibile "terza guerra mondiale” a fronte della pericolosa politica iraniana, mentre ci si prepara la Conferenza di pace di Annapolis che si annuncia essere un "teatro retorico" già visto in passato.


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"Il Medio Oriente va verso una farsa pericolosa"

C’è chi si preoccupa – con ragione – dell’avventurismo che porta il Presidente Bush a paventare i “pericoli della terza guerra mondiale”, e chi nutre false illusioni in vista della iniziativa di pace americana. Intanto da Tehran il presidente Ahmadinejad con la sua politica pericolosa e demagogica alimenta tutti coloro che si rafforzano con la politica della paura.

Il pericolo?
Quale miglior scusa di un presidente musulmano che parla di energia atomica? Per l’occidente questo significa che entro il 2010 e 2013, gli iraniani potrebbero avere la bomba atomica. Pericoli imminenti quanto l’arsenale atomico di Saddam Hussein. O il suo presunto legame con al Qaeda. L’ex agente americano, Osama Bin Laden, non era un alleato di Saddam e non ha avuto il suo appoggio. Anche Saddam aveva servito gli americani con una guerra santa che aveva provocato la morte di un milione di essere umani. La guerra era stata finanziata e appoggiata dall’occidente democratico che procurava armi e riceveva migliaia di milioni di dollari che erano in gran parte petrodollari. Chi si preoccupava ieri o si preoccupa oggi del prezzo del petrolio dovrebbe pensare che questo fa parte di un meccanismo economico molto complesso e non unilaterale come potrebbe apparire.
Eppure quattro anni fa il presunto legame tra gli ex alleati degli americani e le menzogne sul presunto arsenale atomico di Saddam sono serviti a scatenare una guerra criminale contro l’Iraq. Oggi la retorica di un presidente dell’Iran che non risponde alla domande reali del suo popolo e si serve della demagogia in politica estera, alimenta gli interessi dell’ala più estremista e criminale dell’amministrazione americana: il pericolo di un attacco americano o israeliano appoggiato dagli Stati Uniti si fa sempre più serio. Non solo abbondano i rapporti che si interrogano sul tempo necessario per la reale costruzione di una bomba atomica iraniana, ma è anche chiaro che il presunto pericolo di una bomba atomica iraniana è inferiore a quello di altri paesi che hanno la bomba, inclusi Stati Uniti e Israele. E’ chiaro oggi che diversi sforzi diplomatici potrebbero convertire le dichiarazioni azzardate e criminali del presidente Ahmadinejad in una politica più realista che serva il suo popolo invece degli interessi bellicisti americani, ma grazie a Sarkozi e altri cresce il pericolo di una “soluzione militare” contro il presunto pericolo della bomba iraniana.
In un lungo articolo sulla personalità della ministra degli esteri israeliana Tzipi Livni apparso su Haaretz, il commentatore affermava che la ministra sarebbe meno allarmata del premier per il pericolo dell’esistenza della “bomba iraniana”.
Tuttavia sulla scena internazionale si continua ad utilizzare il “pericolo della terza guerra mondiale” per giustificare i falchi dell’amministrazione americana che vorrebbero terminare il mandato di Bush con un accordo che non solo potrebbe aiutare i votanti nelle prossime elezioni: quello che è più importante è sostenere i progetto economico militare, che comprende la visione che di fronte al declino del potere americano l’unica soluzione possibile risieda nell’uso della forza.
Questo non significa solo enormi guadagni per gruppi come Carlyle Gruop, Halliburton e altri, ma anche un continuo fiorire dell’industria delle armi che negli ultimi anni ha trovato nuovi e fruttuosi orizzonti.

O la pace?
E intanto si discute con interesse della “iniziativa di pace” in Medio Oriente. Non pochi di coloro che appoggiano l’iniziativa hanno eccellenti intenzioni e si autosoddisfano con l’idea che la prossima Conferenza di Annapolis potrebbe liberare energie più positive nella regione e rafforzare gli elementi moderati per raggiungere un accordo israelo – palestinese.
E’ certo, l’iniziativa ha obbligato molti a definire posizioni politiche un po’ più avanzate del passato e porta gli israeliani a una visione più realista rispetto a una pace che renderebbe necessario liberarsi di molti vecchi dogmi della politica colonialista israeliana degli ultimi 40 anni.
Anche la questione di Gerusalemme dovrebbe aprirsi e la prenderemo come esempio. Diversi analisti guardano con entusiasmo quello che considerano il neorealismo di alcuni falchi come il Ministro Lieberman che parlano di concessioni a Gerusalemme, dando ai palestinesi il campo profughi di Shufat o alcune aree arabe che oggi sono parte di Gerusalemme. Nulla di più ingannevole!
Questa politica “pragmatica” non farebbe altro che soddisfare il desiderio di vedere meno palestinesi a Gerusalemme mentre l’occupazione e la negazione dei diritti dei palestinesi nella città continuerebbero. Sì, anch’io sono a favore di una Gerusalemme unificata, però sarebbe una Gerusalemme nella quale entrambi i popoli si dividono la sovranità statale. Gerusalemme capitale di due stati, Israele e Palestina, ma libera e aperta, con un chiaro e intimo vincolo con il resto di quello che sarebbe lo stato palestinese e non chiusa al passaggio, un’altra miniprigione in una realtà bantustan.
L’iniziativa attuale non può portare alla pace se il suo maggior segno distintivo è la divisione del popolo palestinese. Non è necessario accettare i principi di Hamas, si può ripudiare la sua ala estremista e specialmente coloro che hanno portato all’attuale divisione con la criminale avventura di Gaza. Ma deve risultare assolutamente chiaro che non ci sarà pace se questa si basa sulla frammentazione della società palestinese. Questa non è altro che una stupida illusione che nasconde gli enormi e imminenti pericoli che minacciano la regione. Per questo è necessario e urgente aprire canali di comunicazione con Hamas.
La Conferenza non sarà altro che un teatro retorico dove si ripeteranno alcune delle formule che ci hanno accompagnato da Oslo nel 1993 in poi. Ma la retorica non significa l’interruzione dello sforzo di colonizzazione israeliana nei territori occupati nel 1967. E il cerchio dei posti di blocco dell’esercito continuerà e la vita infernale dei palestinesi nei territori occupati non cambierà. I negoziati continueranno mentre i missili di Qassam cadranno su Sderot e i suoi dintorni e la risposta militare e brutale di Israele sarà il presunto rimedio.
Il “ritiro unilaterale”, che tanti hanno ammirato, oggi sembra una testimonianza chiara della realtà: quando i palestinesi lanciano i loro missili sulla popolazione civile israeliana – atto criminale sul piano morale e stupido e negativo sul quello politico – Israele risponde con l’interruzione dell’elettricità. La maggioranza nel mondo e Israele non capisce: l’esercito israeliano e i coloni non sono più nella striscia di Gaza, ma l’elettricità, l’acqua,il commercio, l’entrata e l’uscita dei prodotti, entrare in Israele per andare all’ospedale o uscire per andare in Egitto, tutto è controllato da Israele. La grande prigione di Gaza era controllata fino all’agosto del 2005 dalle forze israeliane che si trovano sul posto. Sharon ha tolto da lì i coloni e i soldati e ora la prigione continua ad essere una enorme prigione però accerchiata da fuori.
E Gaza non è altro che un esempio chiaro dei limiti e degli interrogativi che pone la presunta iniziativa di pace americana mentre Bush, Cheney e i suoi complici godono all’idea di un possibile attacco all’Iran.

Fonte: il manifesto

07 novembre 2007

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