Il lavoro? Una chimera
Roberto Tesi
La vera emergenza nazionale è il lavoro che non c’è: l’Italia è un paese sfiduciato. Cresce la disoccupazione reale e sfonda il tetto dei cinque milioni di persone, una cifra più alta dei dati “ufficiali”.
«C'è un lavoro enorme da fare», ha mandato a dire Mario Monti da Berlino due giorni fa. La vera necessità, come ha testimoniato l'Istat ieri, è creare lavoro, perché in Italia non ce n'è: i disoccupati in varie forme sono circa 5 milioni. Mentre un po' meno di mezzo milione di lavoratori censiti sono sottoccupati. Come si arriva a questa cifra notevolmente più ampia dei 2,1 milioni di disoccupati ufficiali? Semplice: aggiungendo alla disoccupazione ufficiale le cosiddette «forze di lavoro potenziali». Si tratta di tutte le persone «che non cercano attivamente un lavoro, ma sono disponibili a lavorare», ma anche le persone «che cercano lavoro, ma non sono subito disponibili». Per buon peso bisogna poi aggiungere i «sottoccupati part time», cioè persone costrette al tempo parziale non per scenta esistenziale, ma perché non trovano un lavoro a tempo pieno. In totale sono 434 mila.
L'indagine (concordata in sede Ue con Eurostat) segue i normali criteri delle indagini mensili condotte sulla popolazione tra i 15 e i 74 anni), con le quali in tutti i 27 paesi vengono rilevati gli occupati, le persone in cerca di occupazione e le persone «inattive», che dichiarano di non cercare lavoro. In Italia nel 2010 gli occupati erano 22,818 milioni; i disoccupati 2.102 milioni, mentre gli inattivi 20,765 milioni. Le nuove statistiche vengono elaborate sulla base di una indagine più approfondita. In particoare si cerca di capire se chi lavora part time lo fa per libera scelta e se chi dice di non cercare un lavoro sarebbe, invece, disponibile a lavorare.
Dei sottoccupati part time si è detto. Salvo specificare che rappresentano l'1,7% delle forze di lavoro, una percentuale inferiore a quella della Ue pari al 3,6%. Tra gli inattivi, la prima grossa sorpresa arriva da un mare di persone che non cercano un impiego, ma sono disponibili a lavorare: sono 2,764 milioni dei quali 1,7 milioni donne. L'Istat spiega che questo gruppo di inattivi è pari all'11,1% delle forze di lavoro, che sono pari alla somma degli occupati e dei disoccupati. Il fenomeno caratterizzato dallo scoraggiamento (si è smesso di cercare lavoro perché non lo si trova) risulta tre volte più elevato della media europea che è del 3,5%. In totale gli inattivi «scoraggiati» sono 1,2 milioni.
Il secondo gruppo di inattivi è rappresentato dalle persone che cercano un impiego, ma non sono subito disponibili per vari motivi. Nel 2010 erano 126 mila (71 mila donne) pari allo 0,5% delle forze di lavoro. In questo caso una percentuale più bassa di quella della media Ue dell'1%. Altro dato rilevante è quello che emerge dal confronto tra i dati sugli inattivi negli ultimi sei anni. La percentuale di chi non cerca lavoro, ma è disponibile a lavorare (se ci fosse lavoro) è salita dall'8,9% del 2004 all'11,1% nel 2010.
I dati pubblicati dall'Istat gettano piena luce sul mercato del lavoro italiano. Basti pensare che mentre la disoccupazione ufficiale nel 2010 era pari all'8,4% delle forze di lavoro e inefriore al 9,6% della media europea, la situzione si capovolge radicalmente considerando i lavoratori disponibili che non cercano lavoro che, come detto, sono pari all'11,1% delle forze di lavoro, contro il 3,5% della media Ue. In cifra assoluta i disoccupati nascosti in Italia (sei su dieci sono donne) sono 1/3 di quelli totali in Europa.
Infine c'è da sottolinare che cresce il numero (e la percentuale) dei giovani (15-24 anni) che non cercano lavoro, ma sono in ogni caso disponibili a lavorare: in rapporto alle forze di lavoro la percentuale è salita dal 21,6% del 2004 al 30,9% del 2010. Cosideando che le più recenti statistiche indicano in poco meno del 30% la disoccupazione giovanile, questo significa che la vera disoccupazione tra i giovani è di oltre il 60%. Ma c'è chi li chiama bamboccioni.
A proposito degli inattivi che non cercano lavoro, le cause principali, dopo le scoraggiamento, sono (per gli uomini) l'attesa degli «esiti di passate azioni», mentre per le donne la causa è la «cura dei figli e familiari».
Se ai giovani tra i 14 e i 24 anni disoccupati si aggiungono quelli
che non cercano lavoro si arriva al 60% del totale. Oltre ai giovani sono
le donne a pagare il prezzo più alto della crisi: rappresentano il 60% dell'insieme dei disoccupati.
Fonte: Il Manifesto
11 novembre 2011