Haiti, tre mesi dopo. Un’isola dimenticata


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Fiammetta Cappellini: “Finita l’emergenza, la gente rischia di rimanere nelle tende”.


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Haiti, tre mesi dopo. Un’isola dimenticata

MILANO – La conferenza dei donatori per Haiti ha raccolto 5,3 miliardi per la ricostruzione del Paese da spendere nei prossimi due anni. L’obiettivo era di raccogliere 3,9 miliardi di dollari. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha aperto ieri i lavori della conferenza internazionale per la ricostruzione di Haiti dopo il terremoto dello scorso gennaio, ospitata dal Palazzo di Vetro.

Accanto a Ban, al tavolo degli oratori, c’erano il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, e il presidente haitiano René Préval. Partecipavano anche diversi ministri degli Esteri, come il capo della diplomazia di Parigi, Bernard Kouchner. «Dobbiamo gettare le basi per la ripresa di Haiti sul lungo termine», ha detto il segretario generale dell’Onu nell’intervento di apertura. Hillary Clinton, ha detto che gli Stati Uniti stanzieranno 1,15 miliardi di dollari. «Finora ci siamo dedicati all’assistenza di emergenza – ha detto la Clinton – e siamo solamente all’inizio di una lunga strada per la ripresa di Haiti». La Banca Mondiale si è impegnata invece per un versamento di 250 milioni di dollari e ha annunciato avere cancellato il debito del paese che ammontava a 39 milioni di dollari.A mio figlio che ha due anni ho detto che non ci lasceremo più. Adesso siamo in vacanza. Ma la nostra casa è ad Haiti».

Fiammetta Cappellini, la cooperante italiana dell’Avsi – onlus che si occupa di educazione e sostegno a distanza dei bambini in mezzo mondo – è atterrata ieri mattina a Linate ma ha già in tasca il biglietto di ritorno per Port-au-Prince. Qui è venuta solo a riprendere Alessandro che ha due anni e che subito dopo il terremoto del 12 gennaio scorso ha caricato su un volo umanitario verso l’Italia, perché rimanesse al sicuro coi nonni. Ad Haiti è rimasto suo marito Fritz, avvocato nella capitale, anche lui impegnato a gestire le mille emergenze del dopo terremoto.

Sicura di voler tornare ad Haiti, signora Cappellini?

«La nostra vita è là. Il tempo che passerò qui in Italia mi servirà per riflettere sulle molte cose che bisogna fare sull’isola».

A parte l’emozione di rivedere suo figlio dopo quasi tre mesi, prima impressione al suo arrivo a Milano?

«L’ordine che si vede qui. Contrasta moltissimo con la distruzione e il caos che ci sono ancora a Port-au-Prince e in tutto il Paese».

Qual è la situazione ad Haiti, quasi tre mesi dopo?

«Se uno arrivasse oggi a Port-au-Prince potrebbe pensare che il terremoto è avvenuto il giorno prima. La situazione è sempre preoccupante. Le case demolite sono ancora la maggioranza. Per le strade ci sono ancora le macerie da spostare. Ci sono molte cose che non sono state fatte. Siamo ancora in una fase di primissima emergenza».

Telecamere e giornalisti se ne sono andati da tempo. Per quello che ha visto, i primi aiuti sono stati efficaci?

«La popolazione non ha avuto risposte sufficienti a quello che è successo. La solidarietà degli haitiani tra di loro è stata straordinaria, ma non basta. C’è il rischio che i campi e le strutture di emergenza diventino stabili mentre a questo punto è fondamentale programmare la ricostruzione».

Gli aiuti internazionali continuano a essere presenti ad Haiti?

«All’inizio c’era un’emergenza sanitaria da affrontare. Ci volevano medici e mezzi per scavare tra le macerie. Oggi le necessità sono differenti. Il ruolo delle ong presenti nel Paese, che conoscono il territorio e la struttura sociale di Haiti, è fondamentale».

Il segretario dell’Onu Ban Ki-moon aprendo la conferenza su Haiti ha detto che «il terremoto potrebbe essere l’occasione di trasformare una catastrofe in un momento di rilancio del Paese». Se venissero raccolti i 3,9 miliardi di dollari promessi sarebbe tutto più facile. Lei condivide questo ottimismo?
«Io spero che il mondo non si dimentichi di Haiti. Rispetto alla ricostruzione sono cautamente ottimista. La politica internazionale deve dimostrare di essere capace. Ognuno deve fare la sua parte».

Lei l’ha fatta. È rimasta ad Haiti. Si è separata da suo figlio piccolo per quasi tre mesi.

«È stata la scelta giusta. La mia presenza a Port-au-Prince era più che necessaria. Ma ora che sono tornata ho promesso ad Alessandro che non lo lascerò mai più».

di Fabio Poletti

Fonte: La Stampa

1 aprile 2010

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