Guerre e stampa, colpevoli silenzi


Luciano Scalettari - famigliacristiana.it


“Mercati di guerra”, il IV Rapporto sui Conflitti dimenticati, è stato presentato da Caritas Italiana, Famiglia Cristiana e Il Regno. Una fotografia del pianeta. Poco confortante.


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Venti guerre in corso, 38 situazioni di conflitto meno esteso, 148 “crisi violente”, altre 202 realtà di tensione o crisi non violenta. Questa la fotografia del pianeta emersa alla presentazione di “Mercati di guerra. Rapporto di ricerca su finanza e povertà, ambiente e conflitti dimenticati”, il quarto volume e la quarta tappa di un percorso di avviato fin dal 2001 da Caritas Italiana, Famiglia Cristiana e Il Regno, che ne hanno promosso la realizzazione e la pubblicazione.

Il libro – edito dal Mulino – è stato presentato a Roma dai direttori delle tre realtà ecclesiali: don Francesco Soddu di Caritas, Gianfranco Brunelli del Regno e dal nostro direttore don Antonio Sciortino.

Dai dati presentati al convegno, rilevati da Conflict Barometer dell’Università di Heidelberg, emerge tra l’altro che l’anno appena trascorso ha visto nascere tre nuove guerre – legate al fenomeno della “primavera araba” – in Yemen, Libia e Siria. Ma soprattutto che il 2011 è l’anno con il numero più elevato di conflitti mai registrato dalla fine della Seconda guerra mondiale.

“Mercati di guerra” presenta anche un’indagine (affidata alla società Canale Tre) che rileva il livello di attenzione dei mezzi d’informazione sulle guerre, e in particolare su quelle più ignorate; e pubblica un sondaggio della Swg sulla consapevolezza e la sensibilità degli italiani rispetto alle crisi belliche del pianeta.

Ma il libro non si sofferma soltanto sugli aspetti statistici: come nelle precedenti edizioni, approfondisce il tema emergente di questi ultimi anni, ossia il ruolo centrale della dimensione economica e-finanziaria nel determinare situazioni di tensione politica e di conflittualità armata, sia nell’ambito dello scacchiere internazionale che all’interno dei singoli Stati. In altre parole, le relazioni crescenti fra il ricorso alle armi e fenomeni quali l’aumento del prezzo del cibo, le speculazioni, i disastri ambientali, le risorse energetiche.

Insomma, come ha sottolineato don Francesco Soddu, «le molte situazioni di conflitto armato si configurano come “emergenze umanitarie complesse”, dove cause ed effetti, in un mondo sempre più interconnesso, si collegano e si rincorrono». Perciò, ha aggiunto, «è quanto mai necessario un rinnovato impegno educativo per far capire le vere cause e le drammatiche conseguenze delle guerre».

Il direttore del Regno ha affrontato il versante dell’impegno della Chiesa per promuovere la cultura della pace. Brunelli ha sottolineato che le esperienze e le proposte di cultura di pace analizzate e raccontate nel libro sviluppano e concretizzano il costante impegno negli interventi degli ultimi Pontefici nel far crescere la sensibilità contro il ricorso alla violenza, e l’attenzione verso le vittime dei conflitti in ogni parte del mondo.

Quanto al ruolo dei media, Don Sciortino ha denunciato senza mezzi termini che l’informazione troppo spesso dà spazio alle “guerre da prima pagina”, ignorando i conflitti che avvengono nelle aree più fragili e povere del mondo. «Un’informazione addomesticata o silente aiuta la guerra», ha detto. «Ma una stampa non asservita è il peggior nemico di chi commette crimini contro l’umanità».

Tant’è vero che oggi, in Siria, i nemici principali di Assad sono i giornalisti che raccontano e documentano il quotidiano massacro di civili, come pure in Somalia, dove chi vuole che la guerra civile continui ha capito che deve innanzitutto far tacere i giornalisti. E infatti, solo quest’anno, sono già una quindicina i cronisti somali uccisi in agguati mirati.

«Il mezzo d’informazione», ha aggiunto don Sciortino, «può diventare anche lo strumento fondamentale di prevenzione, per erodere il terreno del razzismo, dell’intolleranza verso la diversità, dell’ostilità verso lo sconosciuto, della stessa ideologia che sta alla base di una guerra e la prepara».

Il nostro direttore ha ricordato la prima famosissima immagine che si manifestò come una potente “arma” contro la guerra: la foto che immortalò la bambina vietnamita che correva disperata e ferita, ustionata dal napalm. «Quello scatto», ha concluso, «ci metteva davanti un volto. Si poneva – e ci poneva – dalla parte delle vittime di quella guerra. Ci faceva percepire – quasi fisicamente – il dolore di quella bambina. Ci muoveva a commozione rispetto all’orrore del conflitto e alla necessità di fermarlo. Una fotografia simbolo di un’informazione che sta dalla parte di chi non ha voce. E porge il microfono a chi – per ragioni di povertà o di marginalità sociale ed economica – quel microfono non lo potrebbe mai avere. Come fanno, oggi, tante radio e tanti giornali, magari promossi da realtà missionarie, nei Paesi del Sud del mondo e nei teatri di guerra più dimenticati».

Fonte: www.famigliacristiana.it
17 novembre 2012

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