Guerra; e Pace?
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Nessun tg dà spazio alle posizioni tradizionalmente contrarie alla guerra che, seppur tra mille difficoltà, si esprimono anche nella questione libica. Alberto Baldazzi intervista Flavio Lotti.
Le scalette dei Tg sono l’istantanea perfetta di un mondo capovolto in cui crisi scaccia crisi ed il focus della tragedia cambia. Da venerdì la Libia è tornata saldamente in pole position con titoli ed aperture, strappati la scorsa settimana dalla catastrofe giapponese. E così, dalla guerra d’acqua per contenere le esalazioni radioattive nella centrale nucleare di Fukushima, presente in diversi Tg, a farla da padrona è la guerra vera per contenere le violenze di un ex dittatore, poi promosso amico dell’Occidente e di nuovo retrocesso a dittatore.
E mentre i tornado decollano dalle basi siciliane dove -ci dice il tg3- da stasera per ordine del ministro della Difesa, ai giornalisti è vietato l’ingresso, più o meno tutti i Tg di prime time affiancano alla cronaca di guerra, la guerriglia della diplomazia sull’asse Roma- Parigi, come la definisce il TgLa7. Infatti se il Tg4 con Emilio Fede in versione pacifista si chiede "perché questa guerra", il direttore del Tg3 Bianca Berlinguer ne sottolinea l’assoluta confusione tattico-diplomatica, è il direttore del TgLa 7 a dipanare la matassa degli interessi politico- economici, che hanno fatto spingere la Francia sulla acceleratore di guerra. Enrico Mentana, trasforma il suo quotidiano strillo, in un editoriale in cui si chiede "chi decide chi è dittatore o democratico e la Cina, il Paese più popoloso, lo è?" . E giù un rosario di interessi economici dei paesi che hanno responsabilità e tra cui -fa spallucce Mentana- anche il nostro. Abbiamo apprezzato l’analisi politico-economica del direttore del TgLa7 che va oltre gli sterili confini del conflitto diplomatico.
Nessuno comunque – dobbiamo sottolineare- dà spazio alle posizioni tradizionalmente contrarie alla guerra che, seppur tra mille difficoltà, si esprimono anche nella questione libica. Nel commento abbiamo sentito in proposito Flavio Lotti, portavoce della Tavola della Pace.
Per il resto il Giappone, dicevamo, finisce in fondo alle scalette; per Studio Aperto, addirittura, dopo la sempre farcita pagina di cronaca nera. Non c’è posto invece, né nei titoli né nei servizi dei Tg Raiset, per la notizia del processo Mills, dove oggi il premier era assente – causa consiglio straordinario dei ministri- ma in compenso c’era un gruppo di supporter, con tanto di coccarda azzurra al petto e che applaude un imbarazzato Ghedini. Immagini a corredo di altrettanti servizi, visti soltanto nelle edizioni del Tg3 e TgLa7. Così come solo nel Tg di Mentana – legge un’ultimora- abbiamo la notizia di nuove contestazioni all’arrivo di Berlusconi a Torino e contestatori dispersi dalla polizia.
L’ultimo Tg in onda nella fascia di prime time, il Tg2 alle 20.30, evidentemente non ha aggiornato i lanci delle agenzie. Ma tra venti di guerra che spirano sul Mediterraneo e nubi radioattive che si addensano su una vasta area del Pacifico, per fortuna, Studio Aperto ci regala una bella notizia ed anche vera: oggi 21 marzo è arrivata la primavera.
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Il Commento di Flavio Lotti, portavoce della Tavola della Pace Flavio Lotti, Tavola della Pace. In questo momento in cui tuonano i cannoni dei carri armati e sibilano i missili e i razzi degli aerei occidentali, la posizione del pacifismo integrale, quella che la Tavola della Pace esprime, ha un senso? "Ha un senso la posizione di chi ha a cuore la pace e soprattutto la vita della popolazione libica, che oggi si trova intrappolata dentro una doppia guerra: quella scatenata da Gheddafi contro il proprio popolo e quella che da qualche giorno è stata scatenata da un gruppo di paesi contro Gheddafi. Siamo in una situazione davvero pericolosa, una situazione dalla quale dovevamo allontanarci il più possibile finché si era in tempo. Purtroppo invece oggi siamo costretti a fare i conti con la legge ed il linguaggio delle armi".
Le istanze sovrannazionali, nel caso della risoluzione dell’Onu, non servono? Non bastano a lenire lo sconforto di chi invece, come i pacifisti in Italia e nel mondo, ritengono che comunque la guerra sia uno strumento da non utilizzare mai? "L’elemento di più grande preoccupazione oggi nasce dal modo in cui un manipolo di paesi ha deciso di dare attuazione alla risoluzione delle nazioni unite. Un modo che rischia di contraddire gli stessi obbiettivi dichiarati da quella risoluzione, vale a dire raggiungere nel più breve tempo possibile il cessate il fuoco, ed al contempo, proteggere la popolazione. Purtroppo il modo in cui questi paesi hanno deciso di intervenire rischia di buttare altra benzina sul fuoco, ed anziché proteggere rischia di fare nuove vittime tra la popolazione civile". Allo stadio ci si va con le bandiere dell’una o dell’altra squadra, e quindi nasce il tifo. La Tavola della Pace propone agli italiani di mettere fuori dai balconi e dalla finestre la bandiera della pace. Com’è possibile contemplare allo stesso tempo l’opposizione verso un dittatore come Gheddafi, che ha sparato contro il proprio popolo, che ha cannoneggiato contro le proprie città, con un’istanza – ripeto ancora – pacifista integrale? "Io non sono tanto preoccupato del pacifismo integrale e dei pacifismi con tante etichette. A me interessa la sostanza: noi abbiamo il diritto e dovere di rispondere alla domanda di aiuto che viene dai giovani popoli che sono duramente repressi mentre chiedono libertà, giustizia, diritti e democrazia. Allo stesso tempo però abbiamo anche la responsabilità di scegliere il mezzo giusto e più efficace per poter rispondere a questa domanda di aiuto. Appendere la bandiera della pace alla finestra è un modo per assumersi un pizzico di quella responsabilità che dobbiamo assumerci un po’ tutti; non possiamo più permetterci di delegare alla politica, a questa politica, a questa cattiva politica, la responsabilità di risolvere i problemi che oramai vanno crescendo e che ci stanno imprigionando in un disordine internazionale crescente. Appendere la bandiera alla propria finestra vuol dire compiere un gesto chiaro e visibile, lanciare un messaggio. Scegliere non tanto un campo, ma una direzione di marcia, quella strada che – noi crediamo – dobbiamo impegnarci a correre un po’ tutti, ma per la quale è anche sempre più necessaria una politica nuova, una politica che non sia più delle armi o degli affari, ma che metta al centro i diritti umani". Fonte: www.articolo21.org 21 marzo 2011
(Intervista di Alberto Baldazzi)