Gli italiani: usciremo dalla crisi, ma saremo più poveri. Sondaggio delle Acli
Redattore Sociale
Sondaggio Ipr Marketing effettuato in occasione del 24° Congresso nazionale delle Acli, che si apre oggi. Il lavoro sarà il primo segnale di ripresa. Servono riforme per cambiare il Paese (51%) o la “rivoluzione” (32%). Olivero: “Risanare non basta”.
L’Italia uscirà dalla crisi entro i prossimi 3 anni, ma in condizioni peggiori di prima. Il primo segnale della ripresa sarà la diminuzione della disoccupazione. Tra 10 anni saremo però più poveri. Per cambiare il Paese ci vorrebbero le riforme, o la “rivoluzione”.
Sono i risultati di un sondaggio tra gli italiani realizzato per le Acli da Ipr Marketing, in collaborazione con Iref (l’istituto di ricerca delle Acli) – “Come e quando usciremo dalla crisi economica?” – diffuso alla vigilia del 24° Congresso nazionale delle Associazioni cristiane dei lavoratori italiani. L’appuntamento delle Acli, che aprirà domani pomeriggio a Roma, è dedicato al tema “Rigenerare comunità per ricostruire il Paese”, e vedrà intervenire tra gli altri il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Elsa Fornero, e il segretario generale della Conferenza episcopale italiana mons. Mariano Crociata.
100 euro per andare in crisi. “Quanto peserebbe sul bilancio mensile della sua famiglia un spesa imprevista di cento euro?” è la prima domanda rivolta ad un campione rappresentativo della popolazione italiana maggiorenne. Per sei italiani su dieci (60,2%) peserebbe molto o abbastanza. Più preoccupati di fronte a una spesa fuori budget sono i cittadini del Sud (70,9%), le donne (68,7%) e gli under 35 anni (62,7%).
Quasi la metà degli intervistati (47,5%) ha iniziato a percepire in concreto nella vita quotidiana gli effetti della crisi economica tra il 2010 e il 2011. Il 14,8% del campione era già in una situazione di sofferenza economica prima del 2008. La grande maggioranza degli italiani (72,4%) non riesce a leggere in questa crisi un’occasione di progresso o cambiamento.
Il futuro? Preoccupazione e insicurezza. Preoccupazione (27,45), insicurezza (17,3%) e pessimismo (12,4%) sono i sentimenti dominanti quando si pensa al futuro. La speranza precede il pessimismo tra gli uomini over 54enni, i laureati e i cattolici praticanti.
Per uscire dalla crisi sociale ed economica del paese, secondo gli italiani non si può non puntare su una maggiore equità (24,9%) e moralità (22,8%) generale da un lato e dall’altro occorre far leva sulla competenza (18,5%) delle classi dirigenti e sull’innovazione (12,7%).
La crisi la devono pagare “i più ricchi” (74,8%). La richiesta di una maggiore equità sociale emerge anche in relazione all’opinione degli italiani su chi deve pagare la crisi. Il 74,8%, del campione, infatti, ritiene che siano i cittadini più facoltosi a dover sopportare il carico maggiore della crisi. Opinione, questa, diffusa in maniera trasversale e con la stessa intensità in tutti i segmenti socio-demografici della popolazione.
Un leader giovane e competente. Chi ci toglierà dalla crisi? Non importa che sia uomo o donna (25%) o sposato (14%) o cattolico (9%); men che meno che sia capo di un partito (6%): il leader futuro sarà giovane (53%) e con competenze professionali all’altezza delle sfide attuali; sarà laureato per il 49% degli intervistati, una persona esperta, se necessario docente universitario (37%).
Sul fronte degli interventi da effettuare, per la grande maggioranza degli italiani, la persona che ci toglierà dalla crisi dovrà occuparsi prima delle famiglie e poi dei conti dello Stato (75%) e tenere conto delle indicazioni delle istituzioni internazionali (56%). Questa leadership competente è dunque consapevole dei problemi di equità interna che contraddistinguono l’attuale panorama italiano, ma è altresì consapevole della fitta rete di relazioni e di scambi di cui l’Italia è partecipe.
Cambiare il Paese, tra riforme e “rivoluzione”. Cosa occorre per cambiare il nostro Paese? Per la maggioranza degli intervistati (50,9%) la strada da seguire è quella riformista, con interventi graduali e condivisi (35,7%) ma anche impopolari (14,6%). I più propensi a una via riformista sono gli uomini, gli over 54enni, e i cattolici praticanti.
Ma la crisi porta con sé anche atteggiamenti radicali: quasi un terzo del campione (32,%) vede la “rivoluzione” come unico mezzo per trasformare l’Italia (32%). Per il 17,2% degli intervistati “questo Paese non cambierà mai”. Un segnale che non va affatto trascurato ed è figlio probabilmente di quella sfiducia nei partiti e di quel sentimento di antipolitica che sta montando in questi ultimi anni.
La crisi finirà entro 3 anni. Per gli italiani i segnali più evidenti che il Paese starà uscendo dalla crisi saranno l’aumento dei posti di lavoro (26,3%) e la conseguente ripresa dei consumi (19,8%). Opinione questa condivisa in maniera trasversale da tutta le fasce di popolazione intervistate.
Gli italiani sono poi moderatamente ottimisti sui tempi di uscita dalla crisi del nostro paese. La maggioranza (51,3%) intravede la fine del tunnel entro i prossimi 3 anni. Il 37,7% ritiene, invece, che i tempi siano più dilatati e che sì, si uscirà dalla crisi. ma non prima di 4-10 anni. In ogni caso, solo il 10,9% è scoraggiato al punto da ritenere che l’attuale situazione sia senza ritorno.
Più poveri tra 10 anni. Usciremo dalla crisi, ma come? Il 40,2% degli italiani pensa che l’Italia uscirà dalla crisi in condizioni peggiori di prima. Per il 30,5% ,invece , l’Italia si riprenderà come prima della crisi. Quasi un terzo degli italiani, però, vede un futuro migliore quando la crisi sarà passata. Si tratta soprattutto di uomini (34,5%), di persone oltre i 54 anni (32%) e residenti nel Sud (33%).
Proiettandosi nel futuro, il 44,7% degli intervistati si immagina più povero tra 10 anni, a fronte del 19,1% che invece confida su un miglioramento della propria condizione. Emerge una forte divaricazione tra giovani e laureati da un lato – che in misura maggiore si mostrano più ottimisti verso il futuro – e anziani e persone con titolo di studio non elevato dall’altro tra i quali regna in misura maggiore scoramento e sfiducia.
Per il presidente delle Acli, Andrea Olivero, che domani aprirà il Congresso dell’associazione:, “il Paese ha bisogno di ripartire ricostruendo il rapporto di fiducia con i cittadini e rianimando il sentimento di speranza, offrendo un modello e un progetto credibile di sviluppo. Il risanamento dei conti non basta. Gli italiani mostrano di aver ben chiare le priorità: lavoro, giustizia e onestà. La strada da percorrere è quella delle riforme, per cambiare in meglio questo Paese, senza lasciare altro pericoloso spazio ad astensionismo e antipolitica”.
Fonte: www.redattoresociale.it
2 Maggio 2012