Giornata della memoria. Vecchio e nuovo antisemitismo all’ombra degli echi di guerra tra Israele e Gaza


Gianni Rossi - articolo21.org


Il Giorno della Memoria, il 27 gennaio, si celebra sotto tinte fosche, in un quadro internazionale segnato dagli echi della guerra condotta da Israele contro i centri abitati della Striscia di Gaza.


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Giornata della memoria. Vecchio e nuovo antisemitismo all’ombra degli echi di guerra tra Israele e Gaza

Distruzioni generalizzate,anche di edifici dell’ONU, oltre 1.600 morti, in gran parte civili, dei quali più di 300 tra i bambini. Un’opinione pubblica mondiale scossa, proteste in Occidente in maggioranza organizzate da palestinesi e arabi, culminate con l’incendio delle bandiere israeliane (spesso raffigurate con le svastiche), slogan antisemiti, richieste di boicottaggi commerciali e preghiere anche davanti alle chiese. Ma è anche una celebrazione che cade a 70 anni dalla famigerata “Notte dei cristalli” (9/10 novembre 1938), quando si scatenò la rabbiosa e violenta offensiva antisemita della dittatura nazista contro sinagoghe, negozi e case degli ebrei in Germania e in Austria, dando inizio alle prime deportazioni nei campi di concentramento di Dachau e Buchenwald. Allora come oggi, alcune potenze europee, insensibili alle denunce dei soprusi contro gli ebrei, anziché difendere le loro ragioni, cercarono di trovare un’intesa con “il diavolo nazifascista” (con l’accordo di Monaco del 28 settembre di quell’anno), pur di contrastare il “pericolo bolscevico”, che avrebbe messo a repentaglio l’esistenza del sistema capitalistico. Insomma, meglio chiudere gli occhi su leggi razziali, violenze e morti delle popolazioni ebraiche, che facevano parte integrante da secoli delle società europee, promuovendone la cultura, l’arte, la filosofia, le scienze e l’economia. Oggi, come allora, si cerca di chiudere gli occhi sull’isolamento e l’accerchiamento del popolo israeliano da parte di tutti gli stati arabi confinanti, sul crescente antisemitismo, camuffato da antisionismo politico, cercando di portare sulla strada del dialogo quegli stati arabi, definiti moderati, ma che in realtà da anni foraggiano clandestinamente i movimenti integralistici come Hamas ed Hezbollah, o addirittura finanziano gruppi terroristici come Al Quaeda di Bin Laden.

Comprendere le ragioni dei palestinesi attaccati dalle forze armate israeliane a Gaza, non significa pertanto dimenticare gli attacchi  kamikaze dei fondamentalisti islamici sugli autobus e nei locali pubblici contro i civili ebrei né far finta che i razzi lanciati da Gaza verso i territori circostanti fossero come dei “fuochi d’artificio”. Né significa ignorare il bagno di sangue che Hamas ha fatto versare all’altra componente più laica del popolo palestinese uccidendo, torturando e imprigionando migliaia di appartenenti al gruppo politico di Al Fatah, che governa la Gisgiordania.

Insomma, per comprendere quello che accade oggi nel martoriato Medioriente non si può prescindere dal ricordare cosa successe in Europa negli “Anni bui” tra il 1930 e il 1945. Non si può, inoltre, dedicare al dramma dell’Olocausto e della Shoah, dello sterminio di 6 milioni di ebrei europei, una sola giornata e poi “lavarsene le mani” per il resto dell’anno. Facendo così le nuove generazioni non comprenderanno appieno le ragioni storiche della stessa Unità europea, della crisi mediorientale, del contrasto tra culture e religioni sempre più evidente, dei fenomeni migratori con la crescente intolleranza verso gli “extracomunitari”, gli islamici e il rinascere con sempre maggiore forza di un antisemitismo camuffato sotto nuove sembianze più subdole, ma non meno pericolose.

Ne abbiano parlato con due intellettuali “fuori dal coro”, come lo psicanalista David Meghnagi e l’ex-direttore de L’Unità e senatore del PD, Furio Colombo.


David Meghnagi
è uno storico, psicanalista e direttore del Master post-universitario per la Didattica della Shoah (riunisce docenti americani, tedeschi, italiani, francesi e israeliani, riservato a chi ha già una specializzazione, si tiene in collaborazione con altre università italiane ed estere, ha sede nella Terza Università di Roma, a Piazza Esedra).

Intanto, qual è la differenza tra celebrare la giornata della Memoria e il ricordo della Shoah?                           
“Il giorno della memoria non è quello della Shoah, che è invece legato alla rivolta del Ghetto di Varsavia e alla sua fine, la prima rivolta nell’Europa occupata dai nazisti, una rivolta avvenuta nel silenzio del mondo e nel più totale isolamento. L’anno dopo c’è l’insurrezione di Varsavia alla quale i superstiti ebrei del ghetto partecipano. L’esercito sovietico alle porte della Polonia non intervenne a loro sostegno, per avere mano libera dopo la guerra: fu una tragedia nella tragedia. Per il Giorno della Memoria è stato scelto, invece, il 27 gennaio che ricorda la fine della schiavitù nei campi e suggella in pratica la fine della Seconda guerra mondiale, da cui l’inizio di una nuova era per  l’Europa occidentale, ma anche la divisione purtroppo con la guerra fredda e la divisione nei due blocchi”.   

Le manifestazioni a favore dei palestinesi accerchiati dalle truppe militari israeliane a Gaza hanno mostrato fenomeni di antisionismo e di antisemitismo nuovi. Come lo spiega?
“Sono convinto che all’antisemitismo vecchio si è aggiunto uno nuovo. Il fenomeno  ha avuto una lunga incubazione di almeno 40 anni ed ha avuto come sfondo il rifiuto dell’ebreo come nazione e come stato. Le vecchie demonologie antisemite del passato si sono trasferite su Israele. Si tratta di un processo dissociativo in cui l’ebreo è accettato e idealizzato come nazione morta, e di fatto rifiutato come nazione viva.  Il problema è complicato dai cambiamenti che stanno avvenendo nella stessa Europa, per la presenza sempre più ampia di immigrati di terza generazione di origine araba e islamica che proiettano sul conflitto mediorientale il senso di alienazione e di non appartenenza con cui vivono il loro nuovo rapporto con i paesi in cui genitori e i nonni si sono stabiliti.  Vi è il rischio del trasferimento del conflitto mediorientale dentro, nel cuore dell’Europa, con tutti i pericoli che comporta rispetto alla prospettiva di un nuovo antisemitismo. l pericolo più grande è che il sentimento di alienazione e di protesta contro il mondo occidentale, diffuso nelle periferie parigine e in settori dell’èlite di terza generazione dell’immigrazione, si saldi con una nuova ideologia  antisemita. Su questo c’è un grave ritardo politico e culturale. Sui tratta di un cambiamento epocale in cui il vecchio antisemitismo di matrice europea  si congiunge con quello islamista di natura politica e religiosa. Ho fatto una ricerca sulla stampa araba degli ultimi 40 anni ed ho raccolto mille vignette. Studiandole si ha la sensazione netta che è in atto un processo di demonizzazione e che la rappresentazione della realtà del conflitto non è più di natura politica, ma ha assunto progressivamente dei connotati demonologici, ovvero una demonizzazione del nemico che ricorda non pochi aspetti della simbologia antisemita degli anni Trenta.”.

Non le sembra che l’attenzione degli europei verso i paesi arabi moderati sia come quella di Francia e Gran Bretagna nel ‘38 verso Germania e Italia: cercarono l’accordo con Hitler e Mussolini, per arginare il “pericolo bolscevico” rappresentato da Stalin, turandosi il naso, invece, rispetto alle violenze razziste antisemite?

Ci sono delle analogie.  La cosa più grave che si possa fare oggi è di chiudere gli occhi di fronte alla cultura dell’odio antiebraico solo perché è giustificata da argomentazioni di carattere “politico”.  Il fatto che gran parte degli episodi di antisemitismo in Francia come in Gran Bretagna,  hanno avuto origine all’interno delle comunità degli emigrati di origine islamica, non rende il fatto meno grave. Si tratta di un attacco al cuore della  convivenza che potrebbe avere conseguenze devastanti per l’intera società.

Quale messaggio si sente di poter decifrare dal recente conflitto israelo-palestinese?

“Il messaggio deve essere molto esplicito: il riconoscimento pieno di  Israele di vivere in sicurezza e il riconoscimento dei diritti palestinesi, nell’ambito di una soluzione politica del conflitto che deve avere come fondamento il rifiuto di ogni logica terroristica. O l’intera classe politica europea parla chiaro a se stessa,  rifiutando ogni forma di ambiguità nei confronti di chi  che non hanno rinunciato al terrorismo, oppure vi è il rischio che alla lunga il conflitto lo ritroveremo nel cuore dell’Europa. La tolleranza verso le frange che giustificano  il terrorismo antisemita e antisraeliano, non ha impedito gli attentati di Londra.  Sullo sfondo, c’è il pericolo regime iraniano che utilizza attivamente Hamas  ed Hezbollah come “pistole puntate” su Israele, per destabilizzarlo dall’interno e in prospettiva per destabilizzare l’intera regione.”.

Un suo giudizio sulla puntata di Anno Zero dedicato alla guerra in Gaza?

“L’ho trovata vergognosa! Ma non mi sorprende più di tanto. Quella non è informazione, in quanto sostituisce le facili emozioni alla cognizione dolorosa di un processo che avuto tempi lunghi, che ha molte facce ed è di una complessità terribile. La trasmissione di Santoro assumeva a priori l’esistenza di un colpevole, ovvero Israele, e su questo ha costruito l’intera trasmissione".

***

Furio Colombo questa volta la Giornata della Memoria cade subito dopo la guerra a Gaza e,quindi, ha un significato molto particolare.
”Obietterei a questa tua affermazione! Sono conscio del fatto che l’attacco durissimo a Gaza si riflette in questa situazione e tuttavia, però, essa riflette in modo conscio o inconscio, ma certamente ansiogeno, il legame oscuro ma continuamente presente nei giudizi politici di oggi del rapporto fra ebrei e israeliani, fra  ebrei come popolo del mondo e israeliani come cittadini, politici e militari di un paese contemporaneo. E’ verissimo che Israele esiste non solo per il bisecolare reclamo del sionismo, ma anche per l’orrore della Shoah. E tuttavia richiamare la Shoah quando si discute della politica israeliana  è  un errore storico, senza altre analogie nella storia contemporanea e un disorientante riferimento. Per almeno due ragioni. La prima perché i giudizi a carico di Israele sono immensamente più inesorabili di quelli che si danno a carico di qualsiasi altro popolo e anche i giudizi che si pronunciano sulle azioni e i suoi atti sono senza precedenti nei confronti di qualsiasi altro popolo. Date le cose come sono, la gravità e il peso immenso delle proteste che pesano su Israele non ha analogie. Ci siamo dimenticati di chi ha ucciso i 186 bambini di Beslam, nel 2004, la strage dei  terroristi  forse ceceni o forse fondamentalisti islamici nell’Ossezia del Nord? Ci siamo dimenticati il nome della repubblica, del governo, eppure non è un episodio isolato, ma legato alla strage e alle vendette dei ceceni. Ci importa qualcosa dei ceceni? C’è da qualche parte nel mondo, ma soprattutto in Italia, qualche donna in nero che sosta a ricordare le decine di donne in nero, tutte vedove di ceceni, trucidate dai russi, tutte uccise con un gas misterioso nel 2002 al teatro Dubrovka di Mosca, di cui non abbiamo mai chiesto ragione a nessuno. C’è qualche donna in nero che le testimonia, che le ricorda ? E poi con quale rapidità ci siamo dimenticate delle rovine di Grosny? Una rapidità  con cui non ci dimenticheremo mai delle rovine di Gaza! Ora, se è giusto ricordare le rovine di Gaza, sarebbe giusto e indispensabile ricordare anche la distruzione totale della Cecenia. Anche perché la Cecenia  è stata distrutta da un popolo che tutti consideriamo amico, i russi, e abbiamo continuato a considerare amico, i russi. Ed è stata distrutta da un governo, quello di Putin   la cui bandiera nessuno ha mai bruciato e al cui governo nessuno ha mai dato del nazista. Quindi, il fatto stesso che nel giorno della memoria, che ricorda la strage nazista di ebrei, zingari e omosessuali, ma soprattutto i 6 milioni di ebrei, è abbastanza assurdo che si faccia un collegamento quasi istintivo, asserendo che non possiamo ricordare quello che hanno fatto i nazisti, perché gli stessi ebrei-israeliani si sarebbero trasformati in nazisti.”.

Perché questo “strabismo” politico e culturale quando si tratta di Israele e dei palestinesi?

“Intanto, non c’è rapporto tra quello che potrebbe essere definito l’errore strategico, reagire in quel modo come ha fatto Israele, e quella che è la ragione politica, lo stato d’assedio di cui Israele soffre fino a soffocare, fino al terrore. Ovviamente, per ragione di elementare normalità di ragionamento, c’ è una grossa differenza tra quello che può essere l’errore di un soldato israeliano oggi e quello che è successo, a causa del più grande “pogrom” organizzato dalla nazione più acculturata del mondo come quella tedesca, contro i  nonni di quel soldato odierno. E questo tipo di relazione non la chiediamo a nessuno. In questo momento, Somalia, Etiopia ed Eritrea sono in  preda a convulsioni continue  e noi italiani non ci rimproveriamo mai di esserne la causa. Ma agli israeliani gli diciamo continuamente:”proprio voi vi siete trasformati da vittime in carnefici”. Quindi, ogni tentativo di mettere in ombra il giorno della memoria, per quello che è successo in modo terribile oggi  a Gaza, non è mai stato messo a carico di alcun altro paese. Vorrei ricordare che rispetto al tema delle stragi e delle colpe, non bisogna dimenticare gli orrori della guerra, come l’inutile bombardamento e l’orrenda strage di Dresda, fatta dagli inglesi che provocarono decine di migliaia di morti civili, a guerra ormai già conclusa. Ora, su questi episodi non si tratta di parlare d’altro, ma ogni terribile episodio della storia va analizzato, i reperti tremendi della storia vengono archiviati caso per caso, magari con orrore, ma poi dimenticati, e comunque mai attribuiti a chi li ha fatti. Anni dopo, o decenni dopo, forse! Soltanto per Israele, e dunque per gli ebrei, una parte dell’opinione pubblica esige che ci sia, invece, una fedina penale che non si cancella mai.”.

Le ultime manifestazioni contro Israele, rispetto al passato, hanno una partecipazione in maggioranza di islamici, che spesso si ritirano anche in preghiera. Non ti sembra che la sinistra cerchi di celare un antisemitismo con le ragioni dell’umanitarismo contro Israele ritenuta comunque la cattiva di turno?
“Problema grossissimo è che la sinistra non è più alla testa di nulla e quindi è ingiusto attribuirle il disegno di qualcosa. Nel bene e nel male, e in questo caso nel male ( non la preghiera ma l’evidente antisemitismo), si tratta di fenomeni che preoccupano proprio perché avvengono spontaneamente, perchè non partono da alcuna casa politica. Non si  dirigono verso alcuna casa politica, continuano ad essere forti e anche più forti che nel passato, ma non hanno una testa. Questo fatto dovrebbe preoccupare molto di più, di quanto sia già grande la preoccupazione del riemergere dell’antisemitismo. Perché la politica “cieca” può andare in qualunque direzione”.

Fonte: Articolo21

24 gennaio 2009

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