Gigliola aveva voglia di fare qualcosa di concreto. Ha adottato un bambino palestinese
Pietro Scarnera
L’adozione a distanza è un gesto importante per aiutare i bambini e le bambine palestinesi. L’adozione di fa sentire come il colibrì di una famosa fiaba africana, che portando una goccia d’acqua, aiuta a spegnere un incendio.
Sono sempre i più deboli le prime vittime di una guerra. E chi è più debole di un bambino? Ma aiutare i più piccoli a crescere e a studiare è anche l’unico modo per costruire un futuro migliore. Ecco perché le adozioni a distanza sono così importanti. La Tavola della Pace e il Coordinamento degli enti locali per la pace e i diritti umani invitano ad aderire al progetto “Ho un figlio anche io! Lo sostengo a distanza”, per aiutare i bambini palestinesi. Gli scontri, le tensioni e il progressivo deteriorarsi delle condizioni di vita in Palestina danneggiano prima di tutto i più piccoli. Il quadro è allarmante, come emerge dei dati: dal 2000 oltre 500 bambini hanno perso la vita in scontri e attentati, 9.000 hanno riportato ferite, mentre a Gaza la mortalità infantile è aumentata del 20% in quattro anni. Ma c’è qualcosa di concreto che tutti possono fare. Bastano 50 euro al mese per adottare un bambino e garantirgli alimentazione, cure mediche e istruzione. L’adozione a distanza può essere sottoscritta da singoli, famiglie, gruppi ma anche scuole ed enti locali. Molti lo hanno già fatto negli anni passati, e alcuni ci hanno raccontato la loro esperienza. Gigliola, insegnante di Estetica all’Università di Perugia e ora in pensione, voleva fare qualcosa di concreto per aiutare gli altri e così ha adottato Asma, una ragazzina di 12 anni che abita a Ramallah. “Mi fido molto di chi gestisce l’iniziativa – dice – e poi mi sono sempre interessata alla situazione palestinese, ho anche degli amici palestinesi”. Dopo diversi anni di adozione, Gigliola è estremamente soddisfatta, tanto che ha convinto anche altre persone a seguire il suo esempio. “Uno dei motivi per cui tengo a questa esperienza – continua – è che la condivido con gli amici: ci mostriamo a vicenda le foto dei bambini e parliamo dei loro progressi”. E anche se non si sono mai viste, Gigliola tiene la fotografia di Asma proprio accanto a quella del suo nipotino. Per Villelma, invece, un’impiegata del Comune di Marsciano, l’adozione a distanza è nata da un’adesione profonda agli ideali che animano la Tavola della Pace. “Inizialmente si trattava di un’adozione ‘collettiva’ – spiega –, decisa insieme a un gruppo di colleghi. Avevamo adottato tre bambini, naturalmente senza sceglierli, e le spese divise fra noi erano facilmente affrontabili”. Villelma ricorda l’entusiasmo nello scoprire quello che si può fare per qualcuno con i pochi soldi che si spendono quotidianamente al bar, ma di questa esperienza, iniziata nel 2003, Villelma cita in particolare un episodio: l’incontro con un ragazzo palestinese, beneficiario di un’adozione ma ora in Italia. “Ci ha raccontato – prosegue Villelma – quanto fossero importanti per lui, nei momenti più difficili, quei pacchi che arrivavano da un paese così lontano”. E ancora la gioia dei bambini adottati nel ricevere i pacchi dono, il “sentirsi un po’ palestinesi” e la sensazione di essere come il colibrì di una famosa fiaba africana, che porta una goccia d’acqua per aiutare a spegnere un incendio. Ora Villelma continua l’esperienza dell’adozione aiutando Ala’, un bambino di Ramallah. “Io ho quattro figlie – conclude – e lo sento un po’ come il mio primo figlio maschio”.