Gheddafi sfida l’Onu con nuovi raid. Pronto l’intervento militare alleato
lastampa.it
Avverrà tra poche ore secondo Parigi. Cacciabombardieri da Francia, Usa, Canada, Norvegia, Gran Bretagna. Ci sarà anche il Qatar dopo l’ok della Lega araba. Non partecipano i tedeschi. L’Italia darà le basi non gli aerei.
Gheddafi lancia la sfida all'Onu. Le forze fedeli al leader libico hanno bombardato oggi la città di Misurata, controllata dai ribelli, dopo una notte di scontri d'arma da fuoco: lo ha detto un portavoce dei ribelli. "Decine di bombe di qualsiasi tipo sono state sganciate sulla città da ieri sera", ha indicato questo portavoce sotto copertura di anonimato. "Ci sono sempre scambi di colpi d'arma da fuoco intensi in città", ha aggiunto, affermando di ignorare il numero di vittime per il momento.
L'Alleanza, però, è già pronta a intervenire. Le operazioni militari sulla Libia per fermare le forze di Muammar Gheddafi avverranno «in tempi rapidi». E' «questione di ore», e la Francia vi parteciperà. Lo ha detto il portavoce del governo francese, Francois Baroin. La stessa fonte ha sottolineato che «l’intervento militare non sarà un’occupazione del territorio libico, ma un dispositivo di natura militare per proteggere la popolazione libica e aiutarla a realizzare la sua aspirazione di libertà». Anche il Qatar ha annunciato che parteciperà alla no fly zone sulla Libia: è il primo paese arabo a dichiarare la sua partecipazione dopo l’ok della Lega Araba all'approvazione ieri della risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu. E mentre anche la Norvegia annucia stamane la partecipazione alle operazioni militari al fianco di Stati uniti, Canada e Gran Bretagna, sui tempi dell'intervento non c'è chiarezza. La Royal Air Force britannica si è detta pronta a mobilitarsi per fare rispettare la no-fly zone sulla Libia, ma fonti di Downing Stret, secondo la Bbc, si sono mostrate caute sull’ipotesi che gli aerei britannici possano raggiungere lo spazio aereo libico «nel giro di ore» e non si sono volute sbilanciare su un calendario preciso dell’azione militare. Il premier, David Cameron, presiederà a breve una riunione del governo e farà una dichiarazione sulla questione dinanzi alla Camera dei Comuni.
Seif al-Islam, figlio del leader libico, commenta dal canto suo le notizie sulla «no fly zone» con un «La Libia non ha paura». Ieri il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato la risoluzione 1973 che autorizza la no fly zone sulla Libia e il ricorso a «tutte le misure necessarie» per proteggere la popolazione civile dalla minaccia rappresentata dalle forze leali al colonnello Muammar Gheddafi, fatta eccezione per un intervento terrestre. La misura è stata varata con dieci voti favorevoli, zero contrari e cinque astenuti, tra cui Cina e Russia, che non hanno esercitato il proprio diritto di veto, e Germania.
Funzionari americani ed europei hanno subito fatto sapere che un attacco aereo contro le forze fedeli a Gheddafi è possibile «nell'arco di ore». E nella notte il presidente degli Stati uniti Barack Obama ha chiamato il capo di stato francese Nicolas Sarkozy e il primo ministro britannico David Cameron per coordinare una strategia: «La Libia deve conformarsi immediatamente alla risoluzione e le violenze contro la popolazione civile devono finire», hanno concordato i tre leader.
Alla notizia dell'approvazione della no fly zone, scene di giubilo hanno avuto luogo a Bengasi, dove i ribelli potrebbero essere presto attaccati dalle truppe di Gheddafi. Anche se ieri sera, secondo quanto riferisce la Cnn, le autorità di Tripoli avrebbero cambiato strategia: «Ho appena ricevuto una chiamata da uno dei figli di Gheddafi, Seif – ha spiegato un corrispondente della Cnn a Tripoli, Nic Robertson. – Ha detto che stavano cambiando tattica su Bengasi, che l'esercito non sarebbe entrato in città. Prenderà posizione attorno al bastione dei ribelli». La ragione di questo cambiamento di tattica «è che si aspettano un esodo umanitario. La gente avrà timore di ciò che potrà accadere e Seif Al-Islam ha detto che l'esercito andrà lì per aiutarli a uscire dalla città».
Tripoli, che si è detta pronta a un cessate il fuoco, ha fatto sapere che «la risoluzione traduce un atteggiamento aggressivo della Comunità internazionale, minaccia l'unità della Libia e la sua stabilità».
Intanto, l'Unione europea ha salutato con soddisfazione l'approvazione della risoluzione 1973 e si è detta pronta a metterla in pratica, nei limiti delle sue competenze. La Nato, da parte sua, esaminerà oggi il testo della risoluzione per decidere la sua strategia. Qualsiasi decisione della Nato si baserà sulle tre condizioni che ha ricordato giovedì scorso il segretario generale Anders Fogh Rasmussen, cioè la necessità dimostrata di un intervento, l'esistenza di un mandato giuridicamente chiaro e il sostegno delle organizzazioni regionali interessate, ha sottolineato una fonte diplomatica.
Il Canada, da parte sua, ha già fatto sapere di essere pronto a inviare sei cacciabombardieri CF-18 per partecipare alle operazioni militari per la messa in pratica della no fly zone, al fianco di Stati uniti, Francia e Gran Bretagna. Per il dispiegamento dei velivoli serviranno circa 24 ore.
Non parteciperanno all'intervento militare, invece, i soldati tedeschi. Sulla no fly zone Berlino si è astenuta: comporta «rischi e pericoli considerevoli», ha spiegato il ministro degli Esteri Guido Westerwelle. «La nostra posizione nei confronti del regime libico resta però la stessa: il dittatore deve fermare immediatamente tutte le violenze contro il suo popolo, deve lasciare il potere e subire le conseguenze dei suoi crimini», ha commentato il capo della diplomazia di Berlino.
Fonte: www3.lastampa.it
18 marzo 2011
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La risoluzione varata dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu nella notte permette bombardamenti mirati a difesa di Bengasi e dell’Est della Libia liberata dagli insorti. Anche se non è dato sapere quando verranno attuati, Rasmussen ha fatto sapere già ieri pomeriggio che «la Nato è pronta», e che se ne parlerà oggi alla riunione del Consiglio Atlantico. E l’Italia, in considerazione anche della sua posizione particolarmente esposta nel Mediterraneo, per la presenza sul campo di operatori umanitari, nonché per la speciale conoscenza di tutti gli attori che operano sul terreno della crisi libica, è stata costantemente informata delle decisioni – che al momento in cui scriviamo sono ancora a geometria variabile – prese all’Onu a New York e, soprattutto, al Dipartimento di Stato a Washington e al quartier generale del Patto Atlantico a Bruxelles.
Di più: all’Italia è stato chiesto quali misure avrebbe voluto veder inserite nella risoluzione Onu. Alla telefonata di Hillary Clinton, che era al Cairo, ha risposto un Franco Frattini appena uscito dal vertice di Palazzo Chigi sulla Libia mercoledì sera. Il ministro ha ricordato che «l’obiettivo deve essere il cessate il fuoco», e che l’Italia consiglia «il blocco navale, per motivi di sicurezza e per il rischio immigrazione», oltre che per poter fermare le navi operando in modo che l’embargo venga rispettato. E la no fly zone, da istituire comunque sotto egida Onu, «va portata avanti in un quadro di legittimazione regionale». Quest’ultimo punto si è tradotto nella missione che l’Unione Africana disporrà in Libia già domenica prossima al fine di un ultimo tentativo per convincere Gheddafi a mollare, e che dovrebbe essere condotta dai presidenti del Sud Africa, dell’Uganda e del Mali, e al quale potrebbe aggiungersi anche la Nigeria.
Hillary Clinton ha risposto, sul punto della legittimazione regionale, di aver contattato dal Cairo Paesi della Lega araba «disponibili all’implementazione della no fly zone». Tradotto: a partecipare ai bombardamenti mirati al fine di neutralizzare l’aviazione del Colonnello. Questi Paesi sembra siano del Golfo, a cominciare dal Qatar, mentre l’Egitto ha fatto ufficialmente sapere che non parteciperà all’operazione. Centrale nella determinazione americana, spiegano fonti diplomatiche, è stato proprio il consenso della Lega Araba, e anche la disponibilità dell’Italia ad accogliere positivamente la richiesta interventista, di bombardamenti mirati e no fly zone in Libia, di Francia ed Inghilterra. Al recente G8 di Parigi l’Italia l’aveva detto, niente in contrario di fronte a tutto quello che occorrerà mettere in campo per ottenere il cessate il fuoco. E in quella sede era stato anche offerto un «monitoraggio» delle posizioni delle tribù. Per quanto possibile, visto che sono 140 in tutto, 30 solo le più grandi.
All’implementazione della no fly zone non è previsto partecipi attivamente l’Italia. Non perché Gheddafi ci abbia minacciato, assieme alla Francia, di ritorsione, né perché l’adesione alla Nato sia «non belligerante», dato che come ricorda spesso il presidente della Repubblica (anche ieri nel discorso per il centocinquantenario dell’Unità), l’Italia dà all’Alleanza «partecipazione attiva». No, è che «è impossibile, dato il nostro passato coloniale proprio in Libia» ha ripetuto, trovando condivisione, il ministro degli Esteri a tutti gli interlocutori internazionali. L’Italia darà, ovviamente, le basi. Continuando a tenere, per quanto possibile e finché l’offensiva sarà ancora diplomatico-militare, il fronte degli aiuti umanitari in Cirenaica.
Il vertice che mercoledì sera si è tenuto a Palazzo Chigi ne ha disposti di nuovi, potrebbe essere prossimo l’invio di altre 65 tonnellate di beni di prima necessità a Bengasi. «Per avere rapporti con la Libia, non dev’essere più guidata da Gheddafi», diceva ieri pomeriggio Frattini ricordando la necessità di un cessate il fuoco. Ma a dare una svolta al tavolo delle trattative all’Onu è stata l’ennesima risposta negativa dei libici proprio a quella richiesta. In una lettera inviata a New York dal ministro degli Esteri libico si dice: «Abbiamo già attuato il cessato il fuoco e deciso un’amnistia generale, perseguiremo solo i terroristi». La prova di quanto Gheddafi teme la no fly zone.
Fonte: www3.lastampa.it
18 marzo 2011