Georgia, la nuova Cecenia
Andrea Riscassi
"Dal crollo dell’Unione sovietica è in corso una difficile partita a scacchi per capire dove finisca l’Occidente e dove inizi l’Oriente". La stessa sorte della Cecenia sta ora toccando la Georgia, ed è di nuovo guerra.
Quando Anna Politkovskaja parlava del rischio di cecenizzazione della Federazione Russia forse non pensava che i metodi utilizzati da Vladimir Putin nel Caucaso settentrionale si sarebbero estesi anche al Caucaso meridionale. L’Ossezia del sud è una regione della Georgia. Così come la Cecenia è una repubblica della Federazione russa. Dalla fine dell’Urss l’Ossezia meridionale si è proclamata indipendente. Lo stesso aveva fatto la Cecenia, per piegare la quale l’esercito russo ha scatenato due guerre. La seconda delle quali, pur vittoriosa, ha ucciso un decimo della popolazione cecena.
Ora l’esercito georgiano ha deciso di passare alle vie di fatto per cercare di riportare sotto il controllo di Tbilisi quelle terre che da Tbilisi vogliono andarsene. In questi anni la Russia ha lavorato pesantemente ai fianchi della Georgia. Qualche mese fa ha deciso rapporti commerciali stabili con le repubbliche secessioniste della Georgia. In questi fazzoletti di terra ha distribuito a piene mani passaporti e ora de facto l’attacco lanciato dai soldati georgiani è stato sferrato contro cittadini russi. Lì peraltro la forza di interposizione (i cosiddetti caschi blu) è composta solo da soldati russi. È una forza di interposizione farsa che protegge solo una parte. Lo stesso avviene in Transnistria, provincia secessionista della Moldavia. Sono terre russofone e filorusse, che Mosca ha sempre foraggiato per mantenere instabili i paesi confinanti, per tenerli sotto giogo. Ora la Moldavia (che ora si chiama Moldova) sembra “aver capito” e si sta riavvicinando alla Russia di Putin.
La Georgia invece va per la sua strada, ossia verso gli Stati Uniti, verso la Nato. Avrebbe volentieri stabilito rapporti più stabili con l’Unione europea, ma Bruxelles vive una fase di anoressia democratica e non si guarda più attorno. Sono anni che la Russia minaccia la Georgia. Due anni fa per l’arresto di spie russe in territorio georgiano, Mosca ha scatenato un embargo durissimo. Ha persino espulso migliaia di georgiani con aerei cargo, senza sedili, come merci che non servono più. La Russia non accetta che i paesi ex sovietici si avvicinino all’Occidente. E noi occidentali sembriamo disinteressati alla sorte di queste popolazioni.
La Georgia non ha capito la lezione con le buone e ora la Russia passa alle maniere forti, con una reazione sproporzionata. L’ex tenente colonnello del Kgb sta facendo vedere in queste ore chi comanda a Mosca. È Putin a rappresentare la Russia ai giochi olimpici. È lui qualche ora dopo ad atterrare vicino allo scacchiere di guerra. È lui che decide di far bombardare villaggi georgiani a decine di chilometri dall’Ossezia del Sud.
Giornali e tv italiane hanno ricordato in queste ore come dalla Georgia passi uno dei pochi oleodotti che porta petrolio dall’Asia all’Europa (via Turchia) senza attraversare la Russia. L’Unione europea vorrebbe in realtà che anche il gas arrivasse più o meno per lo stesso tragitto. Il progetto di Bruxelles si chiama Nabucco. Ma è un’opera che difficilmente verrà messa in scena. La Russia di Putin con Gazprom ha blindato i paesi che detengono i giacimenti e ha convinto alcuni paesi europei a creare un gasdotto che passi sempre dalla Russia saltando altre nazioni che sognano l’Occidente (leggi Ucraina tornata “arancione”). Questo progetto di gasdotto (South Stream il suo nome) è stato progettato non solo dai russi ma anche da noi italiani, dall’Eni, ovviamente. Il conflitto che in queste ore si sta scatenando nel Caucaso non ci deve essere quindi così indifferente, né è così distante come sembra.
Dal crollo dell’Unione sovietica è in corso una difficile partita a scacchi per capire dove finisca l’Occidente e dove inizi l’Oriente. Una battaglia fatta di embarghi, gasdotti, bandierine piantate sul fondo del Polo Nord, cacciabombardieri in volo, scudi spaziali, spie avvelenate col Polonio, e – come si vede in queste ore – anche Mig, carri armati e morti sulle strade. Un confronto al quale, come da cinquant’anni partecipano solo due attori: Mosca e Washington. Bruxelles sembra sempre il pompiere addormentato che si accorge dell’incendio quando ormai la casa è avvolta dalle fiamme. Il conflitto covava da mesi. Possibile che nessuno dei numerosissimi politici e funzionari europei se ne sia accorto? E ora cosa faranno? Manderanno un po’ di soldati danesi a brindare con i generali putiniani? O finalmente diranno qualcosa senza aspettare che la Casa Bianca (quella americana, non quella dove ora sta Putin) dia la linea?
La Russia da anni prova a vedere fino a che punto può sfidare le coscienze europee. Nessuno ha detto niente per le guerre cecene (fatte in violazione di qualunque codice militare) e al Cremlino sembrano convinti che nessuno si straccerà le vesti nemmeno per i georgiani i quali, poveri illusi, da anni sventolano la bandiera europea alle finestre.
Tbilisi ha scherzato col fuoco in queste ore. E la strada delle armi non è la scelta giusta per risolvere alcun conflitto. Ma Mosca sta approfittando della situazione per dare una lezione a tutti i paesi ex sovietici. La cecenizzazzione dell’ex Urss può partire dalla Georgia. Ma questa volta, magari, non tutti gli europei staranno in silenzio.
Ci vendono (a caro prezzo) il loro gas. Ma sono certo che non basterà per comprare tutte le coscienze.
Fonte: Articolo 21
10/08/2008