Gaza: questa è una guerra inutile!


Pino Finocchiaro


Intervista a Manuela Dviri, scrittrice nata a Padova ma israeliana per scelta. Manuela è un ebrea che ama Israele e la Palestina. Che ama la pace e odia tutte le guerre. Come quella guerra in Libano, nel 1998, che gli ha strappato il figlio Yoni, di vent’anni.


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Gaza: questa è una guerra inutile!

“Sapessi cosa ci fanno gli israeliani”. “Anch’io sono israeliana”. “No, tu non hai nessuna colpa”. Manuela Dviri, scrittrice nata a Padova ma israeliana per scelta crede nel dialogo e non ha mai perso i contatti con un amico palestinese dandone conto in una rubrica sulla Gazzetta dello Sport. Manuela narra della speranza e del dialogo, che non si spengano mai, che non s’interrompano mai. Manuela è un ebrea che ama Israele e la Palestina. Che ama insomma la pace e odia tutte le guerre. Come quella guerra in Libano, nel 1998, che gli ha strappato il figlio Yoni, vent’anni, soldato dell’Idf ucciso da un razzo mentre indossava la divisa. Una madre che ha replicato pronta alla lettera del capo dello stato gridandogli in faccia. “Sei sicuro che ti ricorderai di mio figlio?”.

E’ il dissenso di un’ ebrea che ama Israele e la Pace. E’ il dissenso di una donna cosciente che questo dissenso è possibile in Israele e nel mondo occidentale ma non sarebbe mai ammesso per la madre di un martire di Hamas. Ed è una differenza importante.
“Questo disastro umanitario era evitabile solo evitando la guerra. In una zona come Gaza è impossibile non uccidere civili”. “Buona parte della società israeliana si è chiusa in se stessa nella propria sofferenza. Come avvenne per la guerra del Libano nel nord di Israele. Fatica a capire che c’è una sofferenza anche dall’altra parte. C’è una chiusura alla sofferenza dell’altro”.

Lei ha avuto una reazione diversa. Quando suo figlio è rimasto ucciso undici anni fa in Libano, alla lettera del capo dello stato ha risposto, no grazie.
“Beh, ma io sono una. Altre pensano in altro modo. Pensano che le guerre siano un punto di inizio. Si inizia dalla guerra per andare alla tregua. La guerra diventa un modo per dialogare. Ora stiamo dialogando sparandoci. Io professo il dialogo vero, quello che può essere più difficile, più stressante di quello della guerra. Però costa molto meno in vite umane. Costa molto meno in assoluto. Pensiamo a quello che abbiamo speso per armarci, sia da parte di Hamas, sia da parte nostra – per armarci e per ucciderci – se lo avessimo speso in altro modo, il Medio Oriente sarebbe un altro. Gaza sarebbe un’altra. La vera vittoria sarebbe vedere un territorio come quello di Gaza aperto al mondo. Una striscia lungo il mare piena di alberghi, ricchezza e tranquillità. In questo caso, alla fine, anche il fanatismo musulmano, perché stiamo parlando di Hamas, non di chierichetti. Sono fanatici, fondamentalisti religiosi. Basta guardare come trattano le loro donne. Se ci fosse più ricchezza, più lavoro quel mondo sarebbe diverso. Ci sarebbero più opportunità per le donne”.

E le donne non riescono a far sentire la differenza.
“Ma no, parlano gli uomini di Hamas, non le donne. Le donne sono solo madri di martiri…”

E non possono dissentire…
“Ma nessuno può dissentire dalla voce ufficiale. Ricordiamo cosa è successo tra Hamas e Fatah. C’è stata una guerra fratricida. Ricordo di aver visitato in ospedale dei palestinesi di Fatah e parlavano di Hamas molto peggio di come ne parlino gli ebrei. E’ tutto molto complicato”.

C’è un problema di comunicazione. Al di là delle prese di posizione su Haaretz di Gideon Levy ci sono molti intellettuali palestinesi e israeliani che esprimono dissenso ma le loro voci non giungono sui quotidiani e sui grandi circuiti televisivi.
“E’ vero. I grandi mezzi di comunicazione non hanno notizie. Al contrario di quanto è successo durante la guerra nel Libano, durante la quale i soldati partivano da casa col telefonino in tasca e chiamavano la famiglia e spiegavano dove si trovavano e cosa stavano facendo; quando partivano le critiche nei confronti dei comandanti che dovevano far così, dovevano far colà; stavolta l’esercito è partito preparato. La campagna è stata preparata a lungo, nessuno ha potuto portare niente, nessun telefonino, nessun giornalista, tranne gli embedded, nessuno in realtà è a gaza tranne le troupe televise di Gaza che trasmettono poi le immagini che vediamo. La comunicazione è ben altra. C’è una sorta di censura militare per cui gli stessi esperti politici e militari hanno ben poco da dire. A questo punto l’opinione pubblica è compatta dietro al governo. Compatta con percentuali tra l’80 e il 90 per cento. Tanto per Israele. Le voci contrarie sono poche, si sentono poco. Pochi vogliono ascoltare. Ma ci sono quelli che continuano a parlarsi”.

E la politica? Come parla la politica?
“Ehh. La politica parla con i missili, con le bombe. Oh, con questo non intendo giustificare quel che sta facendo Hamas. Per carità di Dio. Mai, mai, mai vorrei essere sotto il governo di Hamas. Non lo auguro a nessuno. Però, penso che le guerre siano una barbarie. Soprattutto le guerre inutili come questa. Perché alla fine non potranno ucciderli tutti. Anche andando casa per casa. Quindi, continueranno ad esistere”.

Insomma, forse la tregua è vicina, ma la pace, il dialogo, restano distanti, tanto distanti dal Medio Oriente.

Pino Finocchiaro

Fonte: Articolo 21

12 gennaio 2009

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