Gaza-Israele: una guerra a senso unico
NEAR EAST NEWS AGENCY
Da Piombo Fuso ad oggi, è stato Israele a infrangere ogni tipo di tregua. A cui si aggiunge la sproporzione di forze tra i razzi dalla Striscia e gli F16 israeliani.
Tradotto da Elvira Panaccione da Le Monde Diplomatique
Per comprendere l’escalation a Gaza, bisogna sempre ricordare alcuni dati circa questo territorio (360 km², più di 1,5 milioni di abitanti, cioè oltre 4 500 persone al km² – il che ne fa uno dei luoghi del pianeta con la più alta densità di popolazione), che Israele occupa dal 1967.
Anche se l’esercito si è ritirato, i contatti con il mondo esterno sono sempre controllati da Israele; la circolazione all’interno della stretta striscia di terra è limitata e continua il blocco avviato da anni: per le Nazioni Unite, Gaza resta un territorio occupato.
I dati che seguono sono forniti dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari nei Territori Palestinesi (OCHA OPT), in un documento del giugno 2012 intitolato «Five Years of Blockage: The Humanitarian Situation in the Gaza Strip»:
Nel giugno 2007 il governo israeliano decide di intensificare il blocco del territorio, già severamente «controllato».
Il 34% della popolazione (e la metà dei giovani) è disoccupato.
L’80% della popolazione dipende dall’aiuto alimentare.
Il Pnl per abitante era, nel 2011, inferiore del 17% a quello del 2005 (in termini costanti).
Nel 2011, un camion al giorno usciva da Gaza con prodotti per l’esportazione, cioè meno del 3% della cifra del 2005.
Il 35% delle terre coltivabili e l’85% delle acque pescose sono parzialmente o totalmente inaccessibili agli abitanti di Gaza in seguito alle restrizioni israeliane.
L’85% delle scuole deve operare in regime di «doppio turno» (uno la mattina, l’altro il pomeriggio) -, a causa della sovrappopolazione.
Ogni guerra è accompagnata da un’intensa propaganda e il governo israeliano è diventato maestro in questo campo. Già al tempo dell’offensiva del dicembre 2008-gennaio 2009, si era vista un’ondata mediatica (Marie Bénilde, «Gaza:du plomb durci dans les têtes»). Intellettuali francesi, tra cui l’incredibile Bernard-Henri Lévy, avevano contribuito alla disinformazione.
L’uomo assassinato da Israele, Ahmed Jabari, era il capo dell’ala militare di Hamas (su questa organizzazione, leggere «Qu’est-ce que le Hamas?»). Molti media lo presentano come «un terrorista» responsabile di tutti gli attacchi contro Israele. La realtà è piuttosto diversa dal ritratto – anche al di là dell’uso del termine «terrorismo», come minimo ambiguo.
Ancora una volta, è un giornalista israeliano Aluf Benn a far notare («Israel killed its sub contractor in Gaza» Haaretz, 15 novembre): «Ahmed Jabari era un subappaltatore, incaricato della sicurezza di Israele nella Striscia di Gaza. Qualifica che può sembrare assurda a chi, nelle ultime ore, lo ha visto descrivere come un “arciterrorista”, “il capo del personale del terrore” o come “il nostro Ben Laden”».
«Eppure è stata questa la realtà negli ultimi cinque anni e mezzo. Israele ha preteso da Hamas che rispettasse la tregua nel Sud e la facesse rispettare dalle numerose organizzazioni armate della Striscia di Gaza. Ahmed Jabari è l’uomo a cui era stato affidato questo compito».
Basta guardare i grafici pubblicati dallo stesso Ministero degli Esteri israeliano circa i lanci di razzi («Palestinian ceasefire violations since the end of Operation Cast Lead», 14 novembre 2012), per rendersi conto che, nel complesso, la tregua era stata effettivamente rispettata. L’hanno interrotta i raid dell’esercito israeliano del 7 e 8 ottobre 2012, poi del 13 e 14 ottobre, che hanno provocato un’escalation che non si più fermata. E, alla vigilia dell’assassinio di Jabari, una tregua era stata concordata dall’Egitto, il che conferma la testimonianza del militante per la pace Gershon Baskin, ripreso da Haaretz, «Israeli peace activist: Hamas leader Jabari killed amid talks on long-term truce», 15 novembre).
Tutte le escalation fanno seguito a omicidi mirati di militanti palestinesi a Gaza. Le esecuzioni extragiudiziarie sono una pratica antica del governo israeliano (a cui gli Stati uniti si sono adeguati da tempo). Avete detto «terrorismo»? (da leggere assolutamente «De Gaza à Madrid, l’assassinat ciblé de Salah Shehadeh», di Sharon Weill, Le Monde Diplomatique, settembre 2009).
Lo scenario era stato esattamente lo stesso nel 2008. Mentre la tregua veniva rispettata dai palestinesi dal giugno 2008 («List of Palestinian rocket attacks on Israel, 2008», Wikipedia), era stato l’assassinio di sette militanti palestinesi nel novembre a portare all’escalation e all’operazione Piombo Fuso.
Sulle violazioni israeliane dei cessate il fuoco nel corso degli ultimi anni, si può leggere Adam Horowitz, «Two new resources: Timeline of Israeli escalation in Gaza and Israel’s history of breaking ceasefires» (Mondoweiss, 14 novembre 2012).
D’altra parte, è difficile parlare di un confronto tra due parti: gli F-16 israeliani e i razzi palestinesi non sono armi equivalenti. Lo prova il bilancio delle vittime, a partire dalla tregua del gennaio 2009 seguita all’operazione Piombo Fuso.
L’organizzazione israeliana di difesa dei diritti umani B’Tselem fa il conto dei palestinesi e degli israeliani uccisi a Gaza dal 19 gennaio 2009 al 30 settembre 2012 («Fatalities after operation “Cast Lead”»): 271 palestinesi (di cui 30 minorenni) contro 4 israeliani.
Le cifre parlano da sole.
Fonte: http://nena-news.globalist.it/
24 novembre 2012