Freedom Flotilla 2: “Vogliamo ricordare al mondo che Gaza è sotto assedio”
Michela Perathoner
Dieci navi di aiuti umanitari dirette verso Gaza: è la Freedom Flotilla 2
Dieci navi di aiuti umanitari dirette verso Gaza: è la Freedom Flotilla 2 – Stay Human che ha fatto proprio il motto del volontario italiano Vittorio Arrigoni trucidato a Gaza. A poco più di un anno dal primo drammatico tentativo, cercherà di sfidare l’embargo imposto da Israele agli abitanti della Striscia. “Quello che conta, più che il valore dei beni che potranno trasportare, è il valore mediatico e di sensibilizzazione dell’intera azione”, spiega Lucia Pantella, espatriata italiana che vive e lavora a Gaza City, raccontando qual è oggi la situazione nella Striscia, perché nonostante l’apertura di Rafah poco è cambiato per la popolazione e qual è, visto da chi con l’embargo ci convive quotidianamente, il significato della Freedom Flotilla 2.
A un mese dall’apertura del valico di Rafah tra Gaza ed Egitto, a cui a livello mediatico è stato dato grande risalto, cosa è cambiato?
Si tratta di un argomento caldo, in quanto tutti parlano di Rafah e della sua apertura. A mio avviso, però, la situazione è peggio di prima, nel senso che mentre precedentemente c’era una procedura che, per quanto limitata, nel bene e nel male regolava il passaggio, adesso la situazione è caotica, le procedure cambiano di giorno in giorno, non c’è coordinamento tra le autorità a Gaza e quelle egiziane e tutto ciò a livello di libertà di movimento rende le cose ancora più difficili. Il grande risalto mediatico che è stato dato all’apertura, peraltro molto legata anche ai processi di riconciliazione nazionale, e la forte politicizzazione della questione sono avvenuti a scapito dei gazawi: per loro, alla fine dei conti, viaggiare è diventato ancora più difficile rispetto a prima, con qualche eccezione. Chi ha un permesso di lavoro o di residenza in Egitto riesce ora si sposta meglio, ma si tratta di quelle persone che anche in precedenza potevano viaggiare. Per tutti gli altri le cose sono ancora più problematiche, perché cambiano le procedure, capitano giorni interi in cui il confine è chiuso per motivi burocratici o per fattori che dipendono da dinamiche politiche condizionate dalla notevole politicizzazione del contesto. Certo, c’è stato un momento di speranza all’inizio, però in questo momento prevale la frustrazione.
E la questione dell’embargo imposto da Israele in ogni caso non è stata risolta o affrontata…
La questione dell’embargo, che peraltro è molto complicata, rimane. C’è stata un’evoluzione rispetto all’anno scorso, e nell’ultimo periodo si cerca di sensibilizzare sulla questione ambientale, ovvero su tutto ciò che riguarda l’inquinamento, l’acqua, l’elettricità. La mancanza di elettricità, infatti, tornerà ad essere un problema nei prossimi mesi (con tutto quello che comporta: mantenimento beni alimentari, funzionamento condizionatori aria, industrie, fabbriche, produzione, trasporti – ndr): mentre attualmente il Governo sta fornendo più elettricità, anche perché ci sono stati gli esami di maturità dei ragazzi, da inizio luglio in poi chi non ha un generatore avrà grosse difficoltà. E anche per chi ce l’ha, il costo della benzina e la mancanza di pezzi di ricambio rappresentano un problema.
Vi è poi tutta la questione di vulnerabilità rispetto alla situazione esterna- ogni volta che ci sono dei momenti di crisi, come ad esempio in seguito alla rivolta in Egitto, la popolazione è sottoposta a condizioni di stress e si ritrova a dovere affrontare problemi quotidiani legati alla diminuzione delle importazioni. Anche se i problemi poi si risolvono, tutto questo rende la vita problematica giorno dopo giorno: ecco perché Gaza rimane fondamentalmente una situazione di emergenza.
Cosa si prospetta per le nuove generazioni?
Per quanto riguarda la libertà di movimento, direi che ne soffrono soprattutto i giovani tra i 18 e i 25 anni a soffrire della situazione. Loro ricevono stimoli dall’esterno, si trovano a dover prendere decisioni legate allo studio e al lavoro e sicuramente si trovano ad affrontare la frustrazione legata al fatto di non poter uscire dai confini di Gaza. Non credo vi siano maggiori possibilità per le nuove generazioni, anche se chiaramente questo dipenderà da quanto succederà in futuro: il processo di riunificazione è stato visto all’inizio con entusiasmo e speranza, ma adesso la questione è stata molto ridimensionata, anche dal punto di vista dell’impatto che potrebbe avere sulle persone locali. La chiusura di Gaza diventa sempre più “chiusura”, c’è sempre meno comunicazione con l’esterno e questo porta con sé gravi conseguenze sulle generazioni future. E’ questa la cosa più triste.
A parte l’impossibilità di viaggiare, quali rimangono i principali problemi per i minori?
Quelli della vita quotidiana: dal sovraffollamento scolastico, che porta ad avere cinquanta bambini in una classe e quindi a un arretramento generale a livello educativo, alla mancanza di curricula aggiornati, all’aumento del lavoro minorile soprattutto in zone pericolose come la buffer zone e i tunnel, all’ aumento della violenza e all’affiliazione dei ragazzini a movimenti e gruppi di resistenza. Vi è, in generale, un peggioramento continuo.
Tra qualche giorno partirà una nuova Freedom Flotilla – cosa vi aspettate a Gaza?
Ci si aspetta che non arriverà mai. Sicuramente è una provocazione, ma non armata: è più che altro un atto di forza. Così come Israele compie un atto di forza tenendo sotto assedio Gaza e limitando a tre miglia nautiche lo spazio marino, la Freedom Flotilla 2 è un atto di forza della comunità internazionale alternativa che mette in discussione l’assedio stesso in un momento in cui sembra essere tollerato dalla comunità internazionale predominante. Il valore della Flotilla si sviluppa soprattutto a livello mediatico e sta nella sensibilizzazione: serve a far ricordare a tutto il mondo che Gaza è sotto assedio, e quindi ha un impatto positivo. La motivazione umanitaria probabilmente è abbastanza limitata: i beni vengono trasportati, ma la cosa principale è ricordare cosa sta succedendo e che nessuno fa niente per cambiare la situazione.
Fonte: Unimondo.org
30 giugno 2011