Forum della Cooperazione, si comincia
Luciano Scalettari
Qualche polemica e tante attese. Ai lavori, voluti dal ministro Riccardi, partecipano il premier Monti, il ministro degli Esteri Terzi e il Commissario europeo Pielbags.
“La cooperazione internazionale che vogliamo”. Titolo diretto e chiaro. Come del resto il contenuto. È il documento presentato nei giorni scorsi dall’Associazione delle Ong Italiane (Aoi), da Cini e da Link 2007, organismi che rappresentano insieme la quasi totalità del mondo del volontariato italiano nel mondo. In vista del Forum sulla Cooperazione che si tiene a Milano il 1° e 2 ottobre, voluto dal ministro Riccardi, le Ong hanno voluto in pochi e chiari punti le priorità del nostro aiuto allo sviluppo verso i Paesi del Sud del mondo.
Il documento indica innanzitutto la “necessità di un salto culturale, imposto dai cambiamenti della globalizzazione”, per “superare la tendenza all’introversione e valorizzare le capacità di proiezione internazionale”. La cooperazione allo sviluppo, sottolineano le Ong, è “una componente qualificante delle relazioni internazionali del nostro Paese, dato che contribuisce a incidere sulle dinamiche della globalizzazione per ridurre i problemi e le cause della povertà e degli squilibri globali, che rischiano di coinvolgerci tutti”. È inoltre “doverosa e necessaria, per dare credibilità e riconoscimento politico al ruolo dell’Italia nel mondo”, ed è “nostro interesse stabilire rapporti di cooperazione con Paesi che, se adeguatamente sostenuti, potrebbero non solo accelerare il processo di emancipazione economica e sociale ormai avviato, ma anche divenire partner preziosi in processi di sviluppo a vantaggio reciproco”.
Aoi, Cini e Link 2007 analizzano anche la situazione della realtà italiana: “Anche se molto è stato fatto”, scrivono, “la cooperazione allo sviluppo non è riuscita ad acquisire un ruolo politico centrale e permanente nella politica internazionale dell’Italia”. Darti e cifre lo confermano: “Gli stanziamenti per la cooperazione gestita dal ministero degli Esteri sono diminuiti dell’88% in soli quattro anni. Mentre a livello europeo la media degli stanziamenti per lo sviluppo ha superato lo 0,40% del PIL, l’Italia è, nella realtà, al di sotto dello 0,15%”. E ciò, insieme agli impegni non mantenuti, “ha reso spesso inutile o ininfluente” l’azione italiana. “L’immagine internazionale dell’Italia si è così logorata, fino ad essere ritenuta inaffidabile”.
La qualità della cooperazione allo sviluppo è una delle grandi attenzioni delle Ong. Il testo sottolinea che essa può essere garantita solo mettendo in pratica alcuni principi fondamentali: la coerenza delle politiche ai fini dello sviluppo, la relazione di partenariato, l’efficacia degli aiuti e dello sviluppo, la trasparenza, la garanzia del finanziamento senza discontinuità, la professionalità. Per le Ong, la dimensione europea della Cooperazione allo sviluppo dovrà assumere un ruolo crescente, con una maggiore attenzione e partecipazione dell’Italia, che dovrà essere “più presente oltre che più attiva nella definizione delle politiche e delle scelte e nell’attuazione della cooperazione europea”; fare propri ”i principi e le linee politiche e operative adottati a livello europeo”.
Lo stesso ruolo andrebbe ritrovato anche a livello del sostegno alle agenzie internazionali e delle Nazioni Unite (la cosiddetta cooperazione multilaterale), dove l’Italia sta perdendo credibilità. Il documento suggerisce anche alcuni criteri per un’attenta definizione delle priorità geografiche e settoriali dell’aiuto ai Paesi poveri del nostro Paese. Le Ong considerano l’istituzione del Ministro per la cooperazione internazionale e l’integrazione come “un’innovazione positiva perché ha ridato centralità politica all’aiuto pubblico allo sviluppo, come parte integrante e qualificante della politica internazionale dell’Italia”, anche se le poche deleghe ricevute hanno lasciato aperti conflitti di competenza e ridotto il ruolo del Ministro.
Ma il nostro volontariato internazionale chiede di più: una nuova “architettura istituzionale, politica e gestionale, che assicuri maggiore coerenza, efficacia, professionalità, trasparenza”. Propongono perciò la creazione “di un alto riferimento politico dedicato alla cooperazione allo sviluppo: un ministro alla presidenza del Consiglio, con specifico dipartimento, oppure un viceministro agli Esteri, con delega sull’intera materia e partecipazione al Consiglio dei Ministri”; e “un Comitato interministeriale per definirne gli indirizzi e la programmazione pluriennale e garantire la coerenza, ai fini dello sviluppo, dell’insieme delle politiche relative ai Paesi partner, o che possano influire su di essi». Le Ong insistono anche sul fatto che si arrivi alla nascita di un Fondo unico, che dia coerenza ai relativi capitoli di spesa per la cooperazione, che oggi sono divisi in mille rivoli e nei bilanci delle singoli amministrazioni.
E chiedono la creazione di “un’Agenzia attuativa, allo scopo di garantire le competenze necessarie, appropriati processi di carriera professionale, accumulo di conoscenze e valutazioni, strumenti tecnici e di controllo, autonomia gestionale e procedurale, pur nella severità della gestione”. Infine la nuova legge sulla cooperazione (quella attuale ha ormai 25 anni): negli ultimi tempi se ne parla con insistenza vista l’accelerazione ai lavori impressa dalla Commissione Esteri del Senato. Le Ong rinnovano la richiesta urgente di un nuovo testo normativo: “Occorre mettere fine ai quindici anni di tentativi falliti di riforma legislativa, chiudendo definitivamente la fase della legge 49 del 1987”. “Questo Parlamento ha la possibilità di farlo”, scrivono, “a tre condizioni: approvando in Senato, con emendamenti migliorativi, il testo unificato prodotto in questi mesi dalla Commissione Esteri; recependo, nel successivo passaggio alla Camera, le proposte condivise che emergeranno dal Forum; favorendo le opportune sinergie tra Parlamento e Governo”. In conclusione, le Ong sottolineano di esprimere le proprie posizioni “forti della loro storia, della pluridecennale esperienza operativa in quasi tutti i Paesi del Sud del mondo, fino all’‘ultimo miglio’ e le più gravi crisi umanitarie, avendo fatto tesoro degli errori e arricchite dall’incontro e confronto continuo con i partner, le comunità e istituzioni locali e nazionali dai Paesi in cui hanno operato”.
Fonte: www.famigliacristiana.it
30 settembre 2012