Flavio Lotti: Perché vado a Kabul
Flavio Lotti
Alla vigilia dell’11 settembre un gruppo di associazioni pacifiste va in Afghanistan. Il coordinatore della Tavola della pace spiega perché…
Dietro ad ogni guerra c’è il dolore incommensurabile di tanta gente comune senza volto né storia. Cosa sappiamo noi degli afgani che ancora oggi sono intrappolati nella guerra? Cosa sappiamo noi del loro dolore e delle loro sofferenze quotidiane? A dieci anni dall’11 settembre ho deciso di andare a Kabul per incontrare le vittime di questa tragedia infinita. Ci vado con uno dei familiari delle vittime americane dell’attentato alle Torri Gemelle e un gruppo di amici della Tavola della pace. Insieme vogliamo compiere un gesto di solidarietà e di vicinanza nei confronti di un popolo martoriato dalla guerra e dall’assurda pretesa di fermarla con un’altra guerra.
Dieci anni fa gli avevamo promesso libertà e democrazia e abbiamo finito con l’aggiungere altra violenza, altro dolore, altri lutti. Il metro per misurare l’immenso disastro provocato dall’11 settembre e da questi dieci anni di “guerra al terrorismo” probabilmente non è ancora stato inventato ma agli afgani non serve. Abbiamo pianto i morti di New York, piangiamo ogni volta che uno dei nostri soldati torna a casa avvolto nel tricolore: non possiamo ignorare il dolore straziante degli afgani e degli iracheni che per lungo tempo continueranno a soffrire le conseguenze delle nostre decisioni più scellerate. Parliamo di oltre 225.000 persone uccise e di centinaia di migliaia di corpi feriti e mutilati.
Con questo spirito vado a Kabul. Per fare i conti con le nostre responsabilità, perché sento il dovere di reagire al menefreghismo e al cinismo con cui trattiamo questa vicenda, per cercare di rompere, anche solo con un gesto, questa micidiale spirale di violenza, guerra e terrorismo, per cercare di ricucire una ferita ancora drammaticamente aperta, per capire come possiamo fare.
Dopo dieci anni di “guerra al terrorismo” abbiamo il dovere di guardare in faccia la realtà e trovare il modo per fermare questa strage di vite umane, di legalità, di diritto e di diritti. La guerra ha clamorosamente fallito i suoi obiettivi, bisogna dunque smettere di farla e impegnarci a costruire, passo dopo passo, le condizioni per un futuro diverso. Non si tratta solo di riportare a casa i nostri soldati senza spargere altro sangue, ma di imboccare decisamente una strada nuova. Per questa ragione, a Kabul incontreremo e ascolteremo alcuni dei protagonisti nascosti e ignorati del futuro dell’Afghanistan, quelle organizzazioni della società civile che alla democrazia e ai diritti umani ci credono davvero e che ci dobbiamo impegnare a sostenere. A loro consegneremo anche un nuovo invito a partecipare alla Marcia Perugia-Assisi del prossimo 25 settembre. Camminare insieme ci aiuterà a vincere la paura e a rigenerare la speranza che cambia le cose.
Fonte: Terra
1 settembre 2011