Filippo Grandi (Onu): il blocco di Gaza è illegale
Michele Giorgio, Il Manifesto
Il soffocamento di Gaza si ripercuote anche sul governo di Hamas, lascia spazio ai gruppi più piccoli e radicali, col rischio di una maggior anarchia. Intervista a Filippo Grandi per otto anni Commissario Generale dell’Unrwa.
Dopo otto anni passati a dirigere l’Unrwa, Filippo Grandi nelle scorse settimane ha terminato il suo incarico di Commissario Generale dell’agenzia dell’Onu che assiste i profughi palestinesi. Per Grandi sono stati anni di duro lavoro in un clima regionale che si è fatto sempre più complicato per l’aggravarsi della guerra civile siriana che ha travolto anche i campi profughi palestinesi e per il blocco israeliano ed egiziano della Striscia di Gaza. Lo abbiamo incontrato prima della sua partenza da Gerusalemme.
Per i palestinesi, soprattutto per i profughi, è tutto molto più difficile
Negli ultimi due anni abbiamo visto un accumularsi di tensioni e di crisi che hanno costituito il contesto in cui abbiamo lavorato. Penso in primo luogo alla guerra civile, atroce, in Siria, ma anche alla transizione in Egitto, così difficile e complicata, che a sua volta ha un’influenza sulla situazione a Gaza che rimane una zona occupata per via di un blocco che si complica e non si semplifica. Penso anche alla Cisgiordania e a questa occupazione (israeliana, ndr) che nonostante tutti i tentativi e gli sforzi rimane un’occupazione pesantissima per i civili e anche per i rifugiati palestinesi.
Le difficoltà finanziarie dell’Unrwa sono anche figlie del disinteresse crescente verso i profughi palestinesi?
I motivi sono diversi, tuttavia dobbiamo sfatare una cosa alla quale credono in molti: che i donatori non sostengano più l’Unrwa. L’anno scorso abbiamo ricevuto circa un miliardo di dollari e questa è la donazione più ampia mai ottenuta dall’Unrwa in qualsiasi anno della sua esistenza. La realtà è che, a causa di tutte queste crisi (nella regione), i nostri bisogni crescono a una velocità maggiore di quella dei contributi. La situazione dei profughi palestinesi in Siria richiede molte risorse e Gaza ha bisogno ancora di tanto aiuto. Detto ciò è reale anche la questione sollevata dalla domanda. Un interrogativo aleggia sulla cooperazione: fino a quando dovremo continuare a sostenere cinque milioni di rifugiati (palestinesi) senza che per loro ci sia una soluzione in vista? Per chi si pone quell’interrogativo la risposta è legata al successo del negoziato (israelo-palestinese). In caso di un fallimento potrebbe essere messa in discussione persino l’Unrwa.
In casa palestinese da tempo si discute sul ruolo dell’agenzia
È chiaro che i palestinesi hanno bisogno di una risposta politica ai loro problemi. E dico di più, hanno bisogno di una risposta che giunga da mediatori imparziali e che le loro ragioni siano trattate in modo equo e responsabile. Questo è quello di cui hanno bisogno in primo luogo i palestinesi, non dell’assistenza. Però sin quando queste soluzioni non saranno trovate, è meglio avere una istituzione come l’Unrwa. Perché non avere oggi l’Unrwa in Medio oriente significherebbe lasciare 500 mila bambini palestinesi senza un’istruzione. L’Unrwa è una agenzia umanitaria ma ha anche offerto opportunità per una vita migliore ai profughi con le scuole, i centri di formazione professionale, la microfinanza, la salute.
Da Israele non poche volte sono arrivate accuse all’agenzia.
L’Unrwa rispetta il mandato ricevuto dall’Onu. Le accuse di essere una minaccia alla sicurezza di Israele arrivano da settori marginali, di appoggio, anche di propaganda talvolta, che non dicono la verità. Ad esempio affermano che le 700 scuole dell’Unrwa fanno propaganda anti-israeliana. Noi usiamo i curriculum dei paesi dove si trovano le nostre scuole che danno una narrazione araba (degli eventi e della storia, ndr), così come nelle scuole israeliane c’è una narrazione israeliana. In realtà l’Unrwa (nelle scuole) evita nel modo più assoluto che ci sia qualche forma di incitamento all’odio e alla discriminazione, abbiamo un ottimo programma sui diritti umani, unico in questa regione.
Anche i palestinesi protestano, ad esempio perchè il personale internazionale è retribuito molto meglio di quello locale. L’agenzia è stata anche accusata di aver raggiunto una sorta di intesa con Tel Aviv per licenziare i dipendenti che hanno avuto problemi con la sicurezza. Accusa che voi avete respinto con sdegno.
Andiamo per ordine. Le remunerazioni. L’Unrwa ha un personale di circa 30mila persone impiegate in scuole, strutture sanitarie e altri settori. Più del 99% dei dipendenti è palestinese. I funzionari internazionali sono meno di 200. Di tutte le agenzie delle Nazioni unite al mondo siamo quella che ha la percentuale più bassa di personale internazionale. Il personale straniero è pagato secondo i parametri dei funzionari internazionali dell’Onu e sulla base di convenzioni sancite dagli Stati membri. Invece gli stipendi dei funzionari e degli impiegati palestinesi sono adeguati al livello degli stipendi dei funzionari statali dei paesi in cui si trovano. In Cisgiordania e a Gaza l’Unrwa ha come parametro l’Autorità nazionale palestinese. All’origine dello sciopero recente dei dipendenti dell’Unwra c’era proprio la richiesta di un aumento dei salari. L’agenzia ha però accertato che gli stipendi dei suoi dipendenti sono in media superiori del 21% rispetto a quelli degli impiegati dell’Anp e non ha potuto accogliere la richiesta. Comunque è stata raggiunta un’intesa per migliorare le condizioni dei dipendenti locali.
E la presunta intesa con Israele sulla sicurezza?
Smentisco categoricamente, perchè l’Unrwa non ha canali di questo tipo con qualsiasi autorità di sicurezza di Israele, dell’Anp e di qualsiasi altra parte. L’Unrwa gestisce la questione della partecipazione alla politica del suo personale in modo molto preciso. Essendo personale delle Nazioni unite, non può prendere parte ad alcuna attività politica. Quando l’Unrwa riceve informazioni che uno dei suoi impiegati ha partecipato ad azioni politiche o che hanno comportato l’uso della violenza, allora avvia un’indagine. Se la persona chiamata in causa ha svolto effettivamente attività politiche, allora non può rimanere. Ma è una questione solo di statuto dell’Unrwa che tutti sono chiamati a rispettare, non di un intervento di altre parti. Mi rendo conto della difficoltà di gestione di tutto questo. Noi chiediamo la neutralità ma la neutralità è difficile per i palestinesi che sono parte in causa in un conflitto. Devo dire che il personale dell’Unrwa è molto disciplinato ma ci sono stati casi di dipendenti che hanno preso parte ad attività politiche e che sono stati licenziati per violazione dello statuto. Ma unicamente sulla base di decisioni e considerazioni dell’agenzia.
Parliamo della situazione di Gaza e del campo profughi palestinese di Yarmouk in Siria.
Una premessa bisogna sempre farla. Noi lo diciamo all’inizio di qualsiasi dichiarazione relativa a Gaza. Il blocco israeliano è illegale ai sensi del diritto internazionale. In questa situazione cerchiamo di fare il massimo per alleviare la situazione disperata degli abitanti di Gaza e per continuare il nostro lavoro. Con questo governo israeliano, ad esempio, per mesi c’è stato uno stop all’ingresso dei materiali di costruzione necessari per i nostri progetti. Adesso va meglio ma abbiamo dovuto rinegoziare tutti i progetti che erano già stati approvati dalle stesse autorità israeliane. Dall’altro lato gli sviluppi politici interni all’Egitto, contrari ad Hamas a Gaza, sono sfociati nell’apertura intermittente del valico di Rafah, in verità quasi sempre chiuso. Questo soffocamento di Gaza sta avendo ripercussioni anche per il governo di fatto di Hamas, che è in difficoltà e questo sta offrendo spazio di manovra a gruppi più piccoli e più radicali. Tra i rischi perciò c’è anche quello di una maggiore anarchia. Per questo è importante che ci sia una riconciliazione interna palestinese, per mettere fine all’isolamento di Gaza, e che Israele e l’Egitto tolgano il blocco che, ripeto, è illegale per il diritto internazionale.
E Yarmouk assediato dall’esercito siriano e occupato da formazioni ribelli armate?
Non è il mio ruolo addossare la responsabilità ad una o all’altra parte. Credo anche che non serva farlo. Quello che posso dire è che a Yarmouk, ma accade anche in altre parti della Siria, le due parti in lotta non acconsentono a far passare gli aiuti destinati ai civili rimasti intrappolati. La responsabilità di questa situazione va attribuita ad entrambe le parti.
Fonte: http://nena-news.it/
26 aprile 2014