“Fare pace”, in un libro l’analisi e l’invito di Giulio Marcon


Redattore Sociale


Nel nuovo libro del portavoce della campagna ‘Sbilanciamoci!’ un’analisi delle politiche pacifiste dal dopoguerra ad oggi e un diario dalle zone calde del pianeta, con reportage e racconti delle esperienze del movimento pacifista italiano ed europeo.


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"Fare pace", in un libro l’analisi e l’invito di Giulio Marcon

Un’analisi delle culture pacifiste dal dopoguerra alla temperie attuale passando per l’11 settembre, in cui emergono le peculiarità di diverse e spesso convergenti politiche pacifiste e anche le criticità di un movimento forte ma mai abbastanza da condizionare in maniera significativa le scelte di guerra dei governi. E’ quella che propone Giulio Marcon nel suo libro “Fare pace. Jugoslavia, Iraq, Medio Oriente: culture politiche e pratiche del pacifismo dopo il 1989”, fresco di stampa per la collana I Quaderni delle Edizioni dell’Asino.
 
Prima degli anni Ottanta le culture pacifista si incardinavano essenzialmente su 4 filoni (di pensiero e di pratiche): il movimento nonviolento, il cattolicesimo sociale di base e delle chiese evangeliche, la tradizione di sinistra e del movimento operaio, la spinta del movimento studentesco reduce dalle battaglie degli anni Sessanta.Con gli anni ottanta irrompe il pacifismo come soggetto sociale e politico
di massa (e per certi versi globale). Di fronte ai cambiamenti geopolitici e ai neoliberismi, le categorie degli anni ottanta non funzionano più. I nuovi assetti in costruzione sono complessi e di difficile decifrazione. Dopo la guerra degli Stati Uniti in Afganistan, la minaccia di una nuova guerra contro l’Iraq ha provocato la più grande mobilitazione contro la guerra realizzata dal 1945 a oggi. Tanto che il “New York Times” ha evocato per questo movimento, dopo le manifestazioni per la pace del 15 febbraio 2003 in tutto il mondo, l’appellativo di “seconda superpotenza mondiale”.
La guerra in Iraq ha rappresentato un nuovo spartiacque per il pacifismo europeo e mondiale, in un contesto mondiale in cui la guerra è assurta a strumento della politica estera. “La valutazione dell’impatto del pacifismo, in questo contesto, è di complessa declinazione” avverte l’autore. “Da una parte quasi nessuna guerra è stata impedita o fermata grazie alla mobilitazione del pacifismo”. Però, a livello internazionale alcune iniziative pacifiste o riconducibili al movimento per i diritti umani hanno portato a risultati concreti: la firma di alcuni trattati internazionali come quelli sulle mine anti-uomo e sulle armi nucleari, l’istituzione della Corte penale internazionale e  dei tribunali internazionali per la ex Jugoslavia e il Ruanda. Invece, assai minori risultati hanno portato le campagne per la riforma delle Nazioni Unite.
 
Il saggio sulla storia del pacifismo introduce alla seconda parte del libro: un diario, scritto da protagonista e testimone diretto, con reportage e racconti delle esperienze del movimento pacifista italiano ed europeo dai principali luoghi dei conflitti dalla caduta del muro di Berlino: le “guerre fratricide” in Jugoslavia e la “guerra umanitaria” in Kosovo, i conflitti in Palestina e in Medio Oriente (“Time for peace”), la “guerra infinita” in Iraq, i conflitti nella ex Unione Sovietica (“I pacifisti e Gorbaciov. Il giorno del golpe”).
Un viaggio “dal di dentro” nella cultura e nelle pratiche del pacifismo italiano tra interventi di solidarietà, aiuto umanitario, nonviolenza e disobbedienza civile. Racconti di vicende concrete, drammatiche, “messe a continuo confronto – spiega l’autore – con le idee, le convinzioni e le proposte che il pacifismo e l’intervento umanitario hanno sedimentato in questi anni, con contraddizioni, dilemmi,conflitti etici e politici”. Racconti in cui si stagliano, nitide, figure che hanno fatto la storia del movimento per la pace essendone spesso i fari illuminanti come Alexander Langer e don Tonino Bello.
Si raccontano, da parte di chi le vicende le ha vissute direttamente, momenti cruciali dei conflitti, delle scelte politiche relative, i dilemmi di un pacifismo in prima linea. Si chiede Marcon: “Cosa succede alla convinzione della nonviolenza, quando ti trovi nella Sarajevo assediata e i suoi abitanti ti chiedono di rinunciare ai tuoi principi pacifisti invitandoti a fare qualcosa per far tacere i cecchini che sparano dalle colline sulle persone in coda per il pane o per riempire una bottiglia d’acqua?
E che cosa deve fare l’operatore umanitario quando un governo inizia una guerra (Kosovo, 1999) e nello stesso tempo ti propone (grazie alla Missione Arcobaleno) di coprire con una montagna di soldi la tua organizzazione, soldi da utilizzare a fin di bene per i profughi? Oppure, cosa succede alla tua storica convinzione di assoluto sostegno al principio di autodeterminazione del popolo palestinese, quando la confronti con il diritto alla sicurezza nelle discussioni in un kibbutz o con i pacifisti israeliani?”
Emerge con forza  il “conflitto doloroso tra credenze ritenute fino a poco tempo prima assolute e inamovibili e la realtà che le rimette in continua discussione, provocando uno smottamento non solo delle ideologie e delle culture politiche, ma anche dei comportamenti individuali”.

Articolo di Elisabetta Proietti

Fonte: Redattore Sociale

13 ottobre 2011

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