F35, Renzi ne taglia uno solo. Contenti ora?
Checchino Antonini
Renzi fa campagna elettorale e fa finta di tagliare il più inutile e costoso programma di spese militari della storia. Ma la spesa militare italiana è opaca.
F35: il “taglio” è una presa in giro, una messinscena per “votatori utili”. Secondo le anticipazioni fornite alla stampa il ddl approvato ieri dal Consiglio dei Ministri prevede di coprire lo sgravio IRPEF con un taglio di 153 milioni di euro sugli F35. «Se davvero la cifra in gioco è quella annunciata, pari a circa l’1,5% dei costi complessivi stimati per l’acquisto dei 90 cacciabombardieri, siamo alla farsa. Il cambiamento consisterebbe solo nella rinuncia a un F35 e qualche bullone in più», fa sapere la rete Sbilanciamoci! che, insieme alla campagna Taglia le ali alle armi, chiede da tempo la cancellazione di un programma che non rafforza la nostra sicurezza ed è utile solo per chi con le armi fa grandi affari.
«Anche in questo caso il Governo Renzi sembra privilegiare la comunicazione alla politica. Eppure cancellare il programma di acquisto degli F-35 sarebbe uno dei modi migliori per dimostrare che la distanza tra la società e chi la governa può ridursi, che una volta tanto i diritti della maggioranza dei cittadini possono prevalere sugli interessi e i privilegi delle caste militari e delle aziende che producono strumenti di morte». Ma guerra e affari sono i pezzi pregiati del Dna del Pd e dei suoi soci delle larghe intese. Vale la pena ricordare che fu Prodi, nel 2007 a iniziare la consuetudine di spese militari maggiori della somma di tutte le altre spese sociali.
Interpellato da Popoff, l’Archivio Disarmo, spiega che è «ancor più importante è il processo in atto relativo all’elaborazione del modello di difesa e del conseguente libro bianco, di cui ha parlato il ministro Pinotti. Questo ci consentirà di definire quale difesa e quali sistemi d’arma servono alle nostre FF.AA. Un dato è certo: il Documento Programmatico Pluriennale per la Difesa per il triennio 2013-2015 presentato al Parlamento dal Ministro della Difesa Giampaolo Di Paola tempo fa è assai scarno di informazioni e evidenzia l’attuale braccio di ferro in corso tra l’esecutivo e il legislativo», dice Maurizio Simoncelli, presidente dell’archivio.
Il dato italiano, nelle stime del Sipri, istituto internazionale con sede a Stoccolma, sembra attestare un lieve calo (stima in discesa da 34 a 32,7 miliardi di dollari). «Ma in tal senso – commenta Simoncelli – va ricordato che per diversi anni l’istituto svedese non è stato in grado di conteggiare con chiarezza il bilancio militare del nostro Paese». Ad esempio lo scorso anno la cifra era esplicitamente indicata come “stima probabile” e non valore derivante dai bilanci. «Il valore riportato per il 2013 si avvicina invece molto al dato di circa 24 miliardi di euro (con trasformazione effettuata a cambi attuali) che la Rete Italiana per il Disarmo ha effettuato durante lo scorso anno a partire da dati ufficiali di Bilancio del Governo», conclude Simoncelli. Da notare infine come il dato di incidenza della spesa militare sul PIL ricavato dal SIPRI (che riporta la cifra di 1,6% basata su dati del Fondo Monetario Internazionale) risulta essere sensibilmente più alto di quanto affermato da tutti i Governi recenti, e di qualche punto superiore alle stesse stime NATO (anch’esse maggiori di quelle governative).
In base alle cifre qui sopra, le spese militari del Belpaese ammontano a 70 milioni di euro al giorno per forze armate, armi e missioni militari all’estero. La Nato dichiara che la spesa italiana per la difesa ammonta a 20,6 miliardi di euro, equivalenti a oltre 56 milioni di euro al giorno senza contare, però, la spesa per altre forze non permanentemente sotto comando Nato, ma assegnabili a seconda delle circostanze. «Né comprende le spese per le missioni militari all’estero, che non gravano sul bilancio del ministero della difesa. Ci sono inoltre altri stanziamenti extra-budget per il finanziamento di programmi militari a lungo termine, tipo quello per il caccia F-35 – ha scritto Giorgio Beretta, analista di OPAL, Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa – il budget ufficiale conferma che la spesa militare Nato ammonta a oltre 1000 miliardi di dollari annui, equivalenti al 57% del totale mondiale. In realtà è più alta, in quanto alla spesa statunitense, quantificata dalla Nato in 735 miliardi di dollari annui, vanno aggiunte altre voci di carattere militare non comprese nel budget del Pentagono – tra cui 140 miliardi annui per i militari a riposo, 53 per il «programma nazionale di intelligence», 60 per la «sicurezza della patria» – che portano la spesa reale Usa a oltre 900 miliardi, ossia a più della metà di quella mondiale». Gli Usa puntano ad appioppare quote maggiori ai propri alleati di una spesa destinata ad aumentare con l’allargamento e il potenziamento del fronte orientale. A questo è servita la visita di Obama in Italia. In generale, i nuovi dati del SIPRI sulle spese militari mondiali del 2013 evidenziano una diminuzione di esse presso i paesi occidentali (tra cui gli USA – 7,8%), che comunque rimangono quelli con il più alto budget per la difesa, spendendo sette volte più della Russia e il triplo della Cina. Aumentano significativamente Cina (+7,4%), Russia (+4,7) e Arabia Saudita (+14%), seguite nel trend in crescita anche dall’Africa (+8,3%). «Il quadro generale appare pertanto preoccupante proprio per l’aumento generalizzato delle spese militari in diverse aree del pianeta», scrive ancora l’Archivio Disarmo. Infatti suscitano particolare preoccupazione sia l’area mediorientale, sia quella africana. Ciò però non deve fare pensare che la spesa militare sia in effettivo calo, perché stiamo comunque parlando di un livello che rimane ben superiore alle quote di spesa del periodo finale della Guerra Fredda. “In realtà la spesa militare mondiale si sta solamente redistribuendo, con il nuovo protagonismo della Cina e di altri Paesi asiatici” commenta Francesco Vignarca coordinatore di Rete Disarmo. Praticamente immutate nel 2013 le spese militari mondiali: circa 1750 miliardi di dollari investiti in eserciti ed armamenti. Invano, l’esperto Onu Alfred De Zayas chiede che gli Stati invertano le loro priorità di spesa, privilegiando l’investimento sullo sviluppo umano e non sugli armamenti «per la promozione di un ordine internazionale democratico ed equo» ha ricordato in occasione della GDAMS, giornata globale di azione del 14 aprile contro gli armamenti, promossa a livello mondiale dall’International Peace Bureau, la più antica associazione umanitaria mondiale per la diffusione dell’idea del pacifismo vincitrice del Premio Nobel per la pace nel 1910. Scorrendo i dati diffusi dal SIPRI è interessante notare come i primi quindici Stati siano da soliresponsabili di oltre l’80% della spesa militare complessiva, con gli Stati Uniti e la Cina ai primi due posti in grado di sfiorare da soli la metà della somma complessiva (si attestano sul 47%). Tutti questi elementi saranno ribaditi il 25 aprile nel corso di “Arena di Pace e Disarmo” a Verona, come base di nuove azioni e campagne lanciate dalle reti ed organizzazioni della società civile italiana legata ai temi del pacifismo e del controllo degli armamenti (per tutti i dettagli www.arenapacedisarmo.org).
Fonte: http://www.globalist.it
21 aprile 2014