F35: il Canada dice no, l’Italia continua a spendere
Francesco Vignarca - www.vignarca.net
Il Canada ha deciso di “resettare” la propria partecipazione al programma, mentre in Italia è passata la riforma dello strumento militare e l’acquisto di pezzi per nuovi caccia prosegue.
Alla fine è successo, la notizia è arrivata: per la prima volta un Paese partecipante al progetto del cacciabombardiere F-35 Joint Strike Fighter ha deciso di fermarsi, di resettare la propria partecipazione. Si tratta del Canada che, dopo diverse indiscrezioni dei giorni scorsi, ha ufficialmente deciso di fermarsi per valutare costi ed implicazioni della scelta. In una dichiarazione resa ai media dal ministro della Difesa Peter MacKay si è sottolineato come il progetto non sia ancora definitivamente accantonato ma che il governo “non deciderà quale aereo da guerra comprare fino al definitivo completamento di tutti i complessi passi di valutazione” che una scelta del genere deve comportare.
Il Governo canadese era da tempo messo sotto pressione sia dall’opinione pubblica che dall’opposizione per la sua adesione al programma Joint Strike Fighter, avvenuta acriticamente e senza una reale valutazione dei costi (ed anzi con alcune omissioni strategiche sui dati per ottenere voto positivo in Parlamento). Dopo altri casi di sospensione (Norvegia, Australia) o voti parlamentari di cancellazione della partecipazione non ancora però messi in opera dal Governo (Olanda) il caso canadese costituisce finora la più grande rottura del fronte delle nazioni sviluppatrici e produttrici del super-caccia stealth di quinta generazione che da tempo sta però sperimendanto enormi problemi tecnici e una mostruosa crescita dei costi di produzione. Ma soprattutto la decisioen del Governo di Ottawa dimostra come le voci che anche in Italia da tempo si levano contro questo aereo d’attacco, che ormai è davvero e senza dubbio il più costoso progetto miltiare della storia, non siano solo delle cassandre idealiste e figlie di utopia pacifista ma abbiano invece fin da subito centrato i problemi di questa situazione.
Cercando quindi di contribuire a far ragionare anche il nostro Governo, che su questo progetto continua a voler mettere troppi miliardi di euro. La decisione è sicuramente derivata da approfondimenti tecnici, ed in particolare da un recente rapporto elaborato da KPMG ha infatti determinato un costo per i circa 40 anni di vita del caccia in oltre 40 miliardi. L’audit esterno indipendente ha essenzialmente certificato questi costi arrivando ad una cifra complessiva (considerando anche eventuali perdite di aerei) di quasi 46 miliardi, cioè almeno tre volte tanto le prime previsioni governative. In precedenza anche gli uffici dell’Auditor General (equivalente ad una nostra Corte dei Conti) e il Capo di Stato Maggiore della Difesa avevano sollevato dubbi sia sui costi che sugli aspetti tecnici.
Ma la decisione di oggi non deriva solo da passaggi tecnici, quanto soprattutto da un grosso dibattito a livello di opinione pubblica e da un alto confronto politico-istituzionale. Tutte cose che mancano nel nostro paese, con la stampa – tranne qualche eccezione – e le televisioni distratte sul tema delle spese militari e del caccia F-35 in particolare e la politica che rimane davvero sorda a qualsiasi appello di buon senso.
Non a caso nelle scorse settimane è stato bocciato dalla Camera un Ordine del Giorno alla legge di stabilità che chiedeva di ripensare l’acquisto dei caccia e pochi giorni fa si è arrivati all’approvazione della Legge Delega per la riforma dello strumento militare che, nonostante pareri anche informati, di fatto spienerà la strada a nuove risorse e nuovi poteri decisionali del Ministero della Difesa in relazione all’acquisto di nuovi sistemi di armamento. Compresi, ovviamente, i cacciabombardieri F-35.
Una cortina fumogena che non aiuta di certo a capire e permette la reiterazione di enormi fandonie (ormai quella sulle penali non si può più raccontare) soprattutto sull’aspetto del ritorno occupazionale, che ancora pochi giorni fa veniva fissato in un’audizione parlamentare dal generale De Bertolis in circa 10.000 posti di lavoro… mentre anche Finmeccanica ufficialmente ha dovuto ammettere un massimo di 3-4000 occupati ma solo nelle fasi di picco. Come è possibile tutto questo? Proprio mentre anche negli Stati Uniti si levano alti i dubbi di carattere politico generale (recentemente espressi anche in un approfondito e completo editoriale del New York Times in cui il programma JSF veniva definito “too big to fail but too big to succeed”) e anche di natura tecnica: sono 190 le problematiche di gestione del programma che un Auditor ha inviato ufficialmente al Pentagono, che per risolvere i problemi sta addirittura mettendo sotto contratto aziende esterne allo scopo!
Di Paola F35Ma forse la poca chiarezza che si cerca di mantenere nel nostro paese sul caccia F-35, tra cui memorabile è l’ammissione di costi più alti rispetto a quanto da sempre affermato ufficialmente e in programmi televisivi dalla Difesa, serve solo a poter continuare con calma a proseguire comcretamente nel progetto. Sia con la costruzione della FACO a Cameri (la fabbrica di assemblaggio pagata integralmente dai contribuienti) sia con l’acquisto pezzo per pezzo dei caccia per le nostre Forze Armate. E la frase “pezzo per pezzo” non è casuale, poiché in questo tipo di acquisizioni militari non c’è una semplice fattura o un acquisto definito in un certo istante. Ma quello che succede è che poi i soldi pubblici si devono impiegare.
Un po’ di chiarezza la chiediamo a Silvio Lora-Lamia, esperto del settore e analista del programma F-35 per Analisi Difesa, che sottolinea: “Anche notizie di stampa hanno riportato come i primi tre aerei siano stati acquistati in via definitiva, cioè versando tutto il denaro, salvo il saldo finale che si paga di solito alla consegna. Dei successivi aerei (lotto 7 e forse lotto 8) sono stati solo versati degli anticipi per i famosi “long-term item”, cioè alcune parti speciali dell’aereo che devono essere ordinate per tempo e quindi contrattualizzate e pagate in anticipo”. Anche per il Joint Strike Fighter il processo di acquisto di ogni lotto annuale si estende su circa tre anni, per questo esiste una sovrapposizionme di ordini e relativi contratti delle diverse tranche, per cui non è possibile dare sempre un numero certo di aerei effettivamente comprati dal nostro paese
“Per chiarire ulteriormente – continua Lora-Lamia – ai 34 milioni di dollari già versati per i 3 aerei del Lotto 7, dovranno aggiungersi nel tempo altri ordini/contratti per i vari pezzi d’aeroplano, fino alla conclusione del processo di acquisto, prevista salvo ritardi entro fine 2013. Questo se tutto filasse liscio:
infatti le contrattazioni Lockheed Martin-Pentagono per i prezzi degli aereei del lotto annuale al quale appartengono anche i prinmi 3 F-35A italiani (il LRIP-6 del 2012) sono ancora in alto mare, ma c’è da supporre che questo non condizioni più di tanto il nostro contratto”. E comunque alla fine pagherebbero sempre i contribuenti, perché se alla fine il prezzo finale sarà piu alto di quello stabilito quando due anni fa in sede di contrattazione dei “long-term item” di questi aerei, finirà che verseremo un saldo più “salato”. Un altro dei motivi per cui le campagne contro i caccia F-35 hanno da sempre sottolineato come non ci si possa fidare dei conteggi di prezzo “tranquillizzanti” che il Ministero della Difesa cerca sempre di diffondere. E già adesso Lockheed Martin sta continuando a macinare fatturato su questi aerei italiani: di pochi giorni fa è la notizia che ulteriori 30 milioni di dollari le sono stati concessi per alcuni pezzi del lotto 7, che inizialmente doveva appunto prevedere solo 3 caccia ma ora ne ipotizza ufficialmente già 4. Nel silenzio totale della politica e del media.
Fonte: www.altreconomia.it
13 dicembre 2012