F35: già spesi 3 miliardi di euro
Giuliano Battiston
…ma sono «inutili e inaffidabili». Studi e dati della campagna «Tagliamo le ali alle armi»: dagli F35 nessun ritorno occupazionale o industriale.
Di fronte all’opacità del ministero della Difesa, la campagna «Tagliamo le ali alle armi» continua a proporre dati, analisi puntuali, numeri precisi sui costi del programma di acquisto e sviluppo per gli F-35, gli aerei da guerra che possono trasportare anche ordigni nucleari. Ieri a Roma Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Disarmo, e Grazia Naletto, portavoce della campagna Sbilanciamoci!, hanno presentato alla stampa i contenuti del loro ultimo dossier: Caccia F-35. La verità oltre l’opacità.
I numeri parlano di un programma estremamente costoso e inaffidabile, la cui sorte dovrebbe interessare non solo i pacifisti, ha sottolineato Vignarca, ma tutti coloro che «vogliono discutere nel merito il modello di Difesa che vogliamo, l’importazione generale delle scelte economiche e finanziarie del governo in un contesto di grave crisi». Secondo i dati, il costo per i 90 cacciabombardieri che l’Italia si è impegnata ad acquistare ammonterebbe a 14 miliardi di euro, a cui andrebbero aggiunti oltre 52 miliardi di euro per la gestione complessiva del progetto. I costi di ogni singolo F-35 sarebbero saliti a 135 milioni, mentre l’Italia – così si deduce dai contratti sottoscritti con gli Stati Uniti, resi noti per la prima volta – finora avrebbe speso già 3,4 miliardi di euro: 2,7 miliardi per la Faco (Final Assembly and Check Out), la linea di produzione italiana per l’assemblaggio delle ali e dei velivoli nella base aerea di Cameri, in provincia di Novara, e 721 milioni per le fasi di acquisto.
Costi aumentati, che hanno già portato il Canada ad azzerare la partecipazione al programma per gli F-35, l’Olanda a ridurre il numero di velivoli prenotati da 85 a 37, e che in Italia non possono essere giustificati dai ritorni occupazionali o industriali: per tutto il 2013, recita il dossier, «nonostante l’inizio di assemblaggio dei primi caccia italiani ed alcune assunzioni di giovani tecnici, gli occupati nella Faco di Cameri non hanno mai superato il migliaio». Quanto al ritorno industriale, attraverso l’incrocio di fonti diverse e alla documentazione fornita dalla stessa Lockeed Martin – l’azienda capo-commessa del progetto – il dossier conferma che finora per le aziende italiane c’è stato un rientro «di circa il 19% rispetto all’investimento pubblico: meno di 700 milioni di euro sui 3,4 miliardi già spesi dal governo».
Per la campagna, l’acquisto degli F-35 è costoso, inutile, insensato e tecnicamente ballerino: un rapporto del 29 gennaio scorso, trasmesso al Congresso degli Usa da Michael Gilmore, direttore della sezione per i test operativi e la valutazione della Difesa statunitense, elenca i difetti tecnici che rendono inaffidabili gli F-35. Nonostante questo, il governo italiano spenderà altri miliardi di dollari (sono quasi 2 quelli previsti soltanto nel periodo 2014–2016) per acquistare gli F-35. «Una scelta irresponsabile», per Grazia Naletto, che ha ricordato come nel triennio 2011–2013, l’Italia abbia sottoscritto contratti di acquisto di F-35 per «735 milioni di euro, di cui 480 solo nel 2013». Nel frattempo sono stati tagliati drasticamente il Fondo nazionale per le politiche sociali, mentre la sanità subirà un taglio di 1 miliardo e 150 milioni di euro nel 2015–2016.
I promotori della campagna chiedono che il Parlamento cancelli il programma per gli F-35, pretendendo «trasparenza e un’informazione corretta», come richiesto anche da Massimo Artini, deputato M5S e vice-presidente della commissione Difesa, di ritorno da un’ispezione nello stabilimento di Carneri. Per il deputato di Sel Giulio Marcon è necessaria e urgente «una nuova discussione parlamentare, quanto più unitaria e incisiva possibile, per rilanciare la cancellazione definitiva del programma sugli F-35». Una discussione che va avviata «non appena terminerà l’indagine conoscitiva della commissione Difesa», e che «oltre a dire un no definitivo agli F-35 impegni il governo a elaborare un nuovo modello di difesa sulla base del dettato costituzionale». I «Parlamentari per la pace», il gruppo di deputati e senatori di diverso orientamento politico impegnati sui temi del disarmo e della pace, avranno presto l’occasione di guadagnarsi sul campo il titolo che rivendicano.
Fonte: il Manifesto
18 febbraio 2014