F-35, affare di Stato


Stefania Elena Carnemolla


Ma la Lockheed non è nuova ad affari di tangenti….


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L’F-35, il caccia supertecnologico da combattimento concepito con il suo potenziale altamente offensivo per le moderne operazioni militari, è l’aereo più stravagante del mondo. S’alza in volo e perde pezzi, vede un fulmine e gli s’incenerisce l’ala, un temporale potrebbe fargli esplodere il serbatoio, il casco del pilota è difettoso, le turbine si crepano, il software zoppica, le armi non si parlano, il freddo gl’impalla il dispositivo di carica delle batterie, tanto da costringere i tecnici a tenere l’aereo negli hangar di notte, in duello il pilota non riuscirebbe a vedere chi gli vola dietro, con il rischio d’essere abbattuto.

Un fulmine a ciel sereno, il rapporto del Pentagono sulle pecche di questo prodigio al contrario dell’ingegneria aeronautica. Fortuna per la Lockheed Martin, colosso dell’industria bellica e aerospaziale americana, cui il 26 ottobre 2001 il Pentagono assegnò il contratto per lo sviluppo del prototipo X-35, dal 2006 F-35, che al Ministero italiano della Difesa c’è l’ammiraglio Giampaolo Di Paola, uno che con Leon Panetta al Pentagono, paladino dell’F-35, era di casa. Prima che nel febbraio 2013 a Fort Meyer, in Virginia, Obama congedasse il suo segretario alla Difesa, Panetta s’era incontrato a Roma con Napolitano, Monti, Di Paola e Terzi, felice che l’Italia fosse ancora dalla parte dell’industria aeronautica statunitense, quella dell’F-35, per Panetta, l’aereo del futuro, per Di Paola, ministro della Difesa del governo Monti, la scelta, nonostante tutto, migliore per l’Italia. Perché?

La costruzione dell’F-35, contrariamente a quanto sostenuto in ambienti politici, militari e istituzionali, avrà solo “minime ricadute occupazionali”: lo dimostrano studi di settore, lo pensano, sotto sotto, anche a Novara-Cameri, dove nella base dell’Aeronautica Militare, dopo un accordo fra Ministero della Difesa, Lockheed Martin e Alenia Aeronautica, della galassia Finmeccanica, sono sorti nel 2011 alcuni hangar per la costruzione di ali e tronconi di fusoliera, nonché per l’assemblaggio degli F-35 per l’Italia e il mantenimento, supporto logistico e aggiornamento dei velivoli.

L’F-35 piace alla Lega Nord, visto che il progetto con sigillo romano parlerà piemontese. Nel 2011 Umberto Bossi, allora ministro delle Riforme del governo Berlusconi, si recò a Novara-Cameri con Roberto Cota, governatore del Piemonte, ospite di alti ufficiali e dei vertici di Alenia Aeronautica. Tradizionalmente ostile ad azioni militari, sull’F-35, velivolo ad alto potenziale offensivo, Bossi fece, invece, retromarcia, perché “se non lo facevamo noi, lo facevano altri”, e fortuna che Cota era stato “lungimirante a mettere il cappello sul progetto”. Perché l’F-35, considerato che non ci sarà alcuna ricaduta di know-how con la Lockheed Martin capofila del progetto, che ha già fatto sapere di non voler trasferire ai propri partner nessuna conoscenza tecnologica? C’aveva creduto il piemontese Guido Crosetto, sottosegretario della Difesa del governo Berlusconi, per il quale quella di Novara-Cameri rappresentava un’operazione, poco importa se decisa in una “fase critica per la finanza pubblica”, che avrebbe consentito di portare “in casa le tecnologie più avanzate del mondo”. C’aveva creduto l’Aeronautica Militare, certa che il progetto avrebbe condotto a “importanti opportunità e ricadute sull’industria italiana in termini di partecipazione industriale al lavoro e di trasferimento di tecnologie”.

E oggi che l’F-35 si sta rivelando un imbroglio, il ministro Di Paola e l’Aeronautica Militare tentano di correre ai ripari. I difetti, dicono, ci sono, è vero, ma tutto si sistemerà, quando in ambienti aeronautici più di un esperto ha, invece, messo nero su bianco che l’F-35 ha anche difetti strutturali originari e pertanto impossibili da eliminare. Si vede che all’Aeronautica Militare davvero non è bastato l’F-104 Starfighter, anche questo della Lockheed, in dotazione alla propria flotta e tristemente famoso come bara volante e fabbrica di vedove. Perché l’F-35, nonostante l’Italia non sarebbe, comunque, costretta a pagare alcuna penale in caso di abbandono del progetto? E ancora, perché l’F-35, nonostante i tanti difetti e i costi lievitati nel tempo, tanto d’aver mandato in soffitta l’idea originaria di un caccia all’avanguardia low cost? Altri partner stanno riconsiderando il progetto, non l’Italia. Cosa lega davvero l’Italia all’F-35?

L’idea del caccia dell’era moderna piaceva a tutti. Piaceva a Beniamino Andreatta, ministro della Difesa del governo Prodi, che nel 1996 avviò la fase esplorativa per un’adesione dell’Italia al programma Joint Strike Fighter purché in ottica Nato. Piaceva a Massimo D’Alema, il cui governo firmò il 23 dicembre 1998, a fronte di un investimento pari a dieci milioni di dollari, un memorandum di accordo per la fase concettuale-dimostrativa. Piaceva a Silvio Berlusconi, sotto il cui governo l’Italia avviò nel 2001 una fase di negoziazione degli accordi internazionali per aderire alla successiva fase di sviluppo industriale. Piaceva ad Antonio Martino, ministro della Difesa del governo Berlusconi, e all’ammiraglio Di Paola, allora Segretario Generale della Difesa e Direttore Nazionale degli Armamenti, che su incarico del governo, ma anche per convinzione personale (in Italia è il primo sostenitore dell’F-35, dissero di lui i colleghi americani), volò a Washington, dove il 24 giugno 2002 firmò il Supplemento Bilaterale Italia-Usa al Framework MoU per la fase di System Design and Development, cui, il 23 luglio, seguì un documento di accordo e impegno finanziario pari a mille e ventotto milioni di dollari. Piaceva a Romano Prodi, che il 16 gennaio 2007, dopo aver informato il Parlamento sull’avanzamento del progetto, autorizzò uno stanziamento di novecentoquattro milioni di dollari. Piaceva al Senato e alla Camera dei Deputati, che l’8 aprile 2009 autorizzarono il governo Berlusconi all’acquisto di centotrentuno cacciabombardieri. Piace a Mario Monti, che, nonostante le finanze disastrate, s’è limitato a ridurre a novanta i velivoli destinati a Marina Militare e Aeronautica Militare, mentre, poco più in là, Enrico Bondi tagliava con l’accetta a danno dei cittadini servizi primari. Piace all’ammiraglio Di Paola, alla cloche dell’F-35 dai tempi di Washington, quand’era Segretario Generale della Difesa e Direttore Nazionale degli Armamenti, passando per il suo incarico di Capo di Stato Maggiore della Difesa e di presidente del Comitato Militare della Nato, mantenuto fino alla nomina a ministro della Difesa del governo Monti.

In Italia l’F-35 è stato ufficialmente concepito “semplicemente per ammodernare la flotta di Marina Militare e Aeronautica Militare”, con la sostituzione degli AV-8B Harrier, quindi degli AMX e dei Tornado, anche se molti, nell’ambiente militare, si sono chiesti se fosse davvero indispensabile (un ex ufficiale dell’Aeronautica Militare ha lasciato, ad esempio, trapelare come la Marina Militare ne abbia bisogno più per prestigio che per necessità). Per l’Italia l’F-35 è, comunque, più di ogni altra cosa, l’aereo della Nato, un sistema d’armi con cui condurre in coalizione operazioni altamente offensive.

La sua storia ricorda quella del Fiat G91. Nel 1954, sulla base di alcuni studi sulla difesa dell’Europa occidentale, la Nato bandì, infatti, un concorso per la realizzazione di un velivolo leggero d’appoggio tattico capace di decollare e atterrare su strisce erbose o su terreni semipreparati, primo passo verso il decollo verticale. Dal concorso uscì vittorioso il Fiat G91, caccia tattico leggero progettato dall’ingegner Giuseppe Gabrielli, direttore della Divisione Fiat Aviazione e ordinario del Politecnico di Torino, per l’attacco contro obiettivi terrestri mobili e fissi con bombe al napalm, razzi e armi di bordo, ricognizione fotografica a breve e medio raggio. Erano gli anni dello slogan Nato nuovi armi all’Europa, degli intrecci politici, finanziari, militari che, da lì a poco, portarono l’alleanza atlantica a scegliere un caccia di costruzione americana. Anche allora c’era la Lockheed, ora con il suo F-104, cui l’Italia industriale guardò con interesse per uscire dall’isolamento e poter tornare a competere nel settore militare. L’F-104 è necessario, si disse.

L’Hercules C-130 è necessario, si disse, invece, negli anni Settanta, nonostante alcuni ufficiali avessero giudicato quel quadrimotore da trasporto tattico della Lockheed un velivolo “troppo costoso” e “inadatto alla difesa del territorio nazionale”. Tempo dopo si scoprì che la Lockheed aveva corrotto politici, ex ministri e il top della Difesa italiana. Nello scandalo furono coinvolti il generale Duilio Fanali, il presidente di Finmeccanica Camillo Crociani, gli ex ministri Luigi Gui e Mario Tassani, i due ex presidenti del Consiglio Mariano Rumor e Giovanni Leone, all’epoca dello scandalo Presidente della Repubblica. Uno scandalo, quello delle tangenti Lockheed sulle commesse militari, che travolse anche politici, istituzioni e vertici militari della Germania Ovest, del Giappone, dei Paesi Bassi, dove fu coinvolta anche la monarchia. Né la Lockheed, dal 1995 Lockheed Martin, sembra aver perso le abitudini di un tempo se ancora il 27 agosto 1994 è stata accusata dalle autorità statunitensi di corruzione per l’esportazione di Hercules C-130.

Perché l’F-35 è così caro alla lobby politico-militare italiana? Perché, oggi come allora, si dice è necessario? Perché l’Italia difende la Lockheed Martin? Negli anni Settanta fu, con il suo giro di tangenti miliardarie, l’Hercules C-130, oggi l’affare di Stato è l’F-35. Un giorno non molto lontano forse si scoprirà cosa c’era dietro. Tangenti.

Fonte: http://notizie.tiscali.it/socialnews/Carnemolla
17 aprile 2013

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