Etiopia: guerra nel Tigray e non solo
il Manifesto
Crisi federale . 222 morti nella regione di Benishangul-Gumuz dopo la visita del premier Abiy Ahmed. Divisione di terre, potere e risorse alla base delle crescenti violenze in diverse zone del Paese
Da quando è diventato primo ministro Abiy Ahmed ha portato avanti la sua politica del medemer (sinergia) che in sintesi consiste nel promuovere una distribuzione non etnica dei poteri e dei ruoli. E questo ha paradossalmente generato una serie di conflitti di tipo (apparentemente) etnico. Forse perché il cambiamento è stato troppo repentino, ma sono emerse fortissime tensioni in diversi parti dell’Etiopia perché l’etnia è un modo per gestire poteri economici e politici che non possono passare di mano senza che chi viene estromesso non reagisca.
A PARTE IL CASO più clamoroso del Tigray dove l’allontanamento della classe dirigente del partitolo al potere nella regione (Tplf) è avvenuto al prezzo di una guerra che è stata pagata con la vita da migliaia di persone (non si sa quante perché i canali di comunicazione sono stati chiusi) anche se il premier l’ha definita law enforcement (ripristino della legalità). Vi sono stati continui episodi di violenza: solo per stare ai più recenti il 23 dicembre, successivamente alla visita del premier nella regione di Benishangul-Gumuz (Etiopia occidentale), nel villaggio di Bekoji sono state uccise 222 persone secondo quanto dichiarato alla Reuters da un volontario della Croce Rossa. L’esercito ha ucciso più di 42 assalitori e oltre 40mila persone sono fuggite dalle loro case.
L’esercito ha anche arrestato cinque attuali (ed ex) funzionari del governo regionale. La regione ospita diversi gruppi etnici tra i quali vi sono cresciute fortissime tensioni negli ultimi anni sulla distribuzione della terra, in particolare tra gli agricoltori della vicina regione Amhara e i Gumuz. Violenze che si ripetono costantemente in diversi stati della federazione etiope verso le minoranze etniche, spingendo il Paese verso derive balcaniche.
SEMPRE PER QUESTIONI legate alla terra sono stati uccisi il 15 dicembre in territorio sudanese 4 uomini, tra cui un ufficiale dell’esercito e 27 militari sono rimasti feriti. L’esercito sudanese ha accusato l’esercito etiope e le milizie (Amhara) di aver attaccato un’unità di fanteria all’interno del territorio sudanese. Il problema è che la linea demarcazione è incerta e risale al 1902 quando fu concluso un accordo per tracciare il confine tra la Gran Bretagna, allora potenza coloniale in Sudan, e l’Etiopia.
La zona oggetto di contesa è la pianura di al-Fashqa dove contadini Amhara e sudanesi si contendono la coltivazione dei fertili terreni. I premier dei due Paesi Abdalla Hamdok e Abiy Ahmed si sono incontrati a margine del vertice Igad a Gibuti concordando una riunione a Karthoum per definire i problemi del confine.
A complessificare le questioni ci sono le istituzioni internazionali che cercano di agire in modo diplomatico, ma i cui effetti potrebbero non essere lineari. L’Unione europea ha deciso di sospendere il versamento di 88,5 milioni di euro di aiuti (60 milioni destinati allo sviluppo delle linee logistiche e di connessione tra l’Etiopia e i Paesi vicini, 17,5 milioni destinati al settore della sanità e 11 milioni per la creazione di posti di lavoro) all’Etiopia previsti per fine anno: a causa «delle circostanze attuali l’Ue non può fornire il sostegno finanziario previsto».
LA SOSPENSIONE NON RIGUARDA «i programmi umanitari dell’Ue sul campo o altre misure di sviluppo che continueranno normalmente», ha precisato la portavoce Pisonero-Hernandez. L’Alto rappresentante degli Esteri dell’Unione europea, Josep Borrell, ha dichiarato che «l’Ue sta seguendo da vicino la crisi in Etiopia ed è preoccupata per la situazione umanitaria, per le violazioni dei diritti umani e di targeting etnico. Le continue segnalazioni sul coinvolgimento continuo di attori non etiopi sollevano ulteriori preoccupazioni».
Dal lato tigrino prosegue il dibatto sull’intervento dell’Eritrea negato dalle autorità, ma ricorrente nei racconti dei rifugiati fuggiti in Sudan e da fonti diplomatiche (Stati uniti in primis), c’è poi la terza via di chi considera possibile che l’Eritrea abbia approfittato della situazione per regolare i conti con membri dell’opposizione residenti nei campi profughi del Tigray. Un rifugiato del campo di Adi Harush, a sud di Hitsats, ha dichiarato al Guardian che «soldati eritrei accompagnati da truppe etiopi hanno pattugliato il campo a caccia di individui, il loro obiettivo principale penso fossero i membri dell’opposizione».
LA DIPLOMAZIA E LE ISTITUZIONI internazionali sembrano muoversi in ordine sparso, ognuno sembra pensare ai “suoi interessi”, ma è forse tempo di considerare il corno d’Africa nella sua totalità. La nuova via della seta, ha dichiarato Romano Prodi, dovrebbe passare anche da qui.
Il 5 giugno 2021 sono previste le prossime elezioni e le rivalità su terra, potere e risorse potrebbero portare ad ulteriori violenze, per questo è quanto mai urgente una via di scambio, collaborazione e progresso. Se non di seta, anche di raion andrebbe bene.
Fabrizio Floris
Il Manifesto
27 dicembre 2020