Eritrei dimenticati in Libia. Nessun passo dell’ambasciata italiana


Umberto De Giovannangeli - L'Unità


Stanno morendo di fame. Dormono per strada. Nessun funzionario dell’ambasciata italiana né di altri Paesi terzi li ha visitati per sincerarsi delle loro condizioni. Continua l’odissea degli eritri ex segregati di Brak.


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Eritrei dimenticati in Libia. Nessun passo dell’ambasciata italiana

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A sfamarli non serve quel documento valido tre mesi. Liberi. Di morire di fame. Liberi. Di vivere dormendo per strada, senza un soldo. È la condizione disperata della stragrande maggioranza (almeno 190 su 205) degli eritrei ex segregati del carcere libico di Brak. A raccoglierne la richiesta di aiuto è, come sempre, Mussie Zerai, l’infaticabile sacerdote eritreo responsabile dell’ong Habesha, l'associazione che si occupa di accoglienza dei migranti africani in Italia: «Ho lanciato un appello – dice don Zerai a l’Unità – a tutte le organizzazioni umanitarie internazionali, perché si attivino per aiutare queste persone a sopravvivere, permettendo loro almeno di pagarsi un trasporto da Sebah a Tripoli». SENZA ASSISTENZA «Tutti possono visitare i centri di accoglienza, che pure abbiamo chiuso, e sincerarsi delle condizioni degli eritrei…», così aveva affermato alcuni giorni fa l’ambasciatore della Libia in Italia, Hafed Gaddur. A ciò che risulta a l’Unità, nessuno dei possibili visitatori, ha potuto raggiungere Sebah. «Nessuno, proprio nessuno, né di una Ong, né un diplomatico di un Paese terzo, né un funzionario dell’Onu», conferma Zerai. La campagna di denuncia ha prodotto un risultato: i 205 eritrei non sono più segregati a Brak. E questo è positivo. Ma il loro presente e il loro futuro è segnato dalla disperazione e dall’incertezza. Nonostante le assicurazioni fornite dall’ambasciatore Gaddur, le notizie che filtrano da Tripoli e che l’Unità ha raccolto, danno conto di persistenti ostacoli alla libertà di movimento di persone operanti nell’ambito dell’Unhcr (l’Agenzia dell’Onu per i rifugiati). Così come risulta che finora nessun funzionario dell’ambasciata o consolare italiano sia stato attivato per recarsi a Sebah. Un immobilismo tanto più ingiustificabile se si pensa che – come riportato da Il Manifesto e rilanciato da l’Unità – più di cento (103) dei 205 eritrei segregati a Brak erano stati respinti dall’Italia mentre provavano a raggiungere via mare Lampedusa. IMMOBILISMO «Aiutarli a raggiungere Tripoli è solo il primo passo – annota ancora Mussie Zerai – perché la soluzione a questa tragedia, come ad altre dello stesso segno, resta quella che dall’inizio avevano indicato i miei fratelli abbandonati: essere reinsediati in Italia o in un qualsiasi altro Paese dell’Europa che riconosce il diritto di asilo». L’alternativa non esiste. Se non sottoforma di una beffa atroce. Tra tre mesi, quando scadranno i permessi rilasciati dalle autorità libiche, i disperati di Sebah dovranno bussare alla porta dell’Ambasciata eritrea, per ottenere i documenti richiesti da Tripoli. Quello che i rifugiati eritrei non intendono fare. Perché dall’Eritrea sono fuggiti.

Fonte: l'Unità

22 luglio 2010

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