Eritrea, l’UE finanzia il regime di Afewerki mentre ogni giorno fuggono migliaia di persone
la Repubblica
Petizione su Change promossa da Mussie Zerai, sacerdote eritreo candidato al Premio Nobel per la Pace.
I richiedenti asilo che arrivano sulle coste italiane sono in gran parte eritrei. Ogni mese circa 5000 persone, soprattutto giovani, fuggono dal regime di Isaias Afewerki, che nega ogni forma di democrazia, ogni libertà, anche la più elementare, avendo trasformato il Paese del Corno d’Africa in una “galera a cielo aperto”. In questi giorni, la Commissione Europea sta negoziando con l’Eritrea un nuovo pacchetto di aiuti allo sviluppo, di oltre 300 milioni di euro. A molti non è chiaro come queste risorse verranno impiegate e, al momento, non risultano accordi con il governo eritreo sul rispetto dei diritti umani.
Petizione promossa da un candidato al Premio Nobel. “Se l’Unione Europea volesse davvero migliorare la situazione in Eritrea e fermare l’esodo – si legge nel documento che accompagna una petizione alla quale si può aderire sulla piattaforma di su Change.org – per concedere quegli aiuti dovrebbe vigilare sull’uso che ne farà il governo, porre come condizione il rispetto delle libertà fondamentali e l’avvio di vere riforme democratiche”. La petizione è promossa da Mussie Zerai, sacerdote eritreo candidato al Premio Nobel per la Pace e presidente dell’Agenzia Habeshia, impegnato nell’assistenza dei rifugiati e migranti in Italia e in Europa, e dal giornalista Vittorio Longhi. Co-promotore Anton Giulio Lana, dell’Associazione Legalità e Giustizia, impegnata nel volontariato sui temi della legalità e dell’antimafia.
ONU: “Possibili crimini contro l’umanità”. “Il governo eritreo – si legge ancora nel documento diffuso – è responsabile della sistematica e grave violazione dei diritti umani, che ha creato un clima di paura in cui ogni forma di dissenso è repressa, dove una vasta parte della popolazione è costretta al lavoro forzato e alla reclusione, mentre centinaia di migliaia di persona fuggono dal paese per rifugiarsi in Europa, dopo viaggi pericolosi, estenuanti e costosi. Alcune di queste violazioni – conclude la nota che accompagna la petizione – potrebbero essere definite crimini contro l’umanità”. Sono infatti queste le conclusioni a cui è giunta la Commissione di inchiesta sui diritti umani in Eritrea, istituita dal Consiglio ONU dei Diritti Umani nel giugno 2014.
Perdere la libertà restando o la vita fuggendo? Vittorio Longhi è un giornalista italiano di origine eritrea. Nell’ottobre del 2013 era a Lampedusa, il giorno dopo il naufragio in cui quasi 400 persone persero la vita. Erano tutti eritrei. Nell’hangar dell’aeroporto ha incontrato i sopravvissuti che piangevano i loro morti, tra le bare messe in fila. “In quel pianto straziante – dice Longhi – c’era una richiesta d’aiuto al mondo intero, affinché nessuno sia più costretto a scappare da quel Paese. Fu quel giorno – dice Longhi – che decisi di andare in Eritrea. Volevo vedere da vicino che cosa succede realmente. Lì ho trovato la disperazione di chi è costretto a scegliere tra perdere la libertà restando, o rischiare di perdere la vita fuggendo”.
“Nessun aiuto senza garanzie democratiche”. L’appello alla Commissione Europea e ai governi dell’UE, contiene una serie di richieste che ruotano attorno ad un concetto semplice: “Non concedete il nuovo pacchetto di aiuti allo sviluppo, e ogni altra forma di sostegno economico, fino a che il governo eritreo si impegnerà in modo vincolante a garantire la tutela dei diritti umani fondamentali e ad attuare vere riforme democratiche, anche consentendo agli osservatori internazionali di entrare nel Paese. Più in particolare si chiede:
1) Libertà per tutti quelli che sono detenuti in modo arbitrario, tra cui dissidenti e giornalisti;
2) Libertà di espressione e di associazione;
3) Elezioni libere e democratiche con un sistema multipartitico;
4) Fine del servizio militare obbligatorio e a tempo indeterminato;
5) Fine di ogni forma di lavoro forzato e di trattamenti abusivi, innanzitutto la tortura.
“Non servono soldi, ma più libertà”. “Fino a che lo stato di diritto non sarà ripristinato, rinnoviamo le raccomandazioni della Commissione di inchiesta ONU, affinché chi scappa dall’Eritrea abbia il diritto all’asilo o ad altre forme di protezione internazionale. Per fermare l’esodo dall’Eritrea non servono altri soldi, ma democrazia e libertà”.
Fonte: www.repubblica.it
1 luglio 2015