Egitto, sulle orme di Mubarak


Ibrahim Refat


La caccia al reporter è ripresa in grande stile in un Egitto dilaniato da una guerra civile strisciante. In meno di una settimana hanno pagato con la vita questa violenza insensata due giornalisti.


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Ci risiamo. La caccia al reporter è ripresa in grande stile in un Egitto dilaniato da una guerra civile strisciante. In meno di una settimana hanno pagato con la vita questa violenza insensata due giornalisti: Mick Dean, cameraman di Sky News, e Habiba Abd el-Aziz, giornalista del gruppo editoriale Gulf News di Dubai. Entrambi sono stati uccisi nello sgombro del sit-in dei pro-Morsi a Rabaa el-Adawia, compiuto mercoledì dalla polizia.

Almeno altri tre giornalisti egiziani hanno subito gravi ferite negli stessi incidenti. Domenica sono stati fermati e poi rilasciati quattro reporter italiani durante l’assalto alla moschea di al-Fatah in piazza Ramses al Cairo. Nella stessa caccia al giornalista scattata davanti alla moschea sono incappati due reporter turchi, Metin Turan e Hebaa Zaccaria, l’egiziana Shimaa Awaad e un altro reporter del Cairo Sherif Mansour. Questi ultimi tre sono stati rinchiusi nel carcere di Torah, dove è rinchiuso l’ex presidente Mubarak.

Nel caos che aveva dominato le strade della capitale domenica diversi colleghi egiziani e stranieri sono stati raggiunti da pallottole vaganti. Tra questi il capo della Foreign Press Association, il tedesco Volkand Winderfurhr, il quale però ha accusato gli islamisti di aver cercato di assassinarlo deliberatamente.
A parte il caso di Volkand, tutti gli altri possano essere considerati “incidenti sul lavoro”. Cose che capitano in tutte le zone calde del mondo (la Siria e l’Iraq ci insegnano molto al riguardo). Il guaio però è che le autorità egiziane sembrano aver avviato una sistematica campagna di ritorsione contro i giornalisti e gli uffici di corrispondenza di network televisivi “sgraditi” al nuovo potere in quanto “schierati” con i Fratelli Musulmani.

Una trentina di network islamici sono stati chiusi dal 4 luglio scorso. L’ufficio della tv iraniana al-Alam è stato perquisito dalla polizia e il titolare, Ahmed el-Siufi, è stato fermato per 24 ore. Per essere scarcerato ha pagato una cauzione pari ad oltre mille euro. Meno fortunato è stato Mohamed Bader, cameraman di al-Jazeera tv, schierata con la Fratellanza Musulman, langue in carcere da un mese. La sua unica colpa è quella di aver effettuato delle riprese dei disordini del 15 luglio in piazza Ramses sebbene il giudice lo abbia incriminato, alla stregua di numerosi dimostranti arrestati con lui in quell’occasione, per possesso di arma da fuoco. In gattabuia è finito pure il corrispondente di al-Jazeera Abdallah al-Shami, ma senza specifiche accuse.

Stamane è stato arrestato un cameraman della CNN perché gli hanno trovato addosso dei filmati dei tafferugli tra i sostenitori di Morsi e quelli della giunta militare.

Certo nemmeno il precedente regime fondamentalista di Morsi eccelleva nella difesa della libertà di stampa, non sono mancate intimidazioni, epurazioni e prepensionamenti di giornalisti scomodi a livello dei media di proprietà dello stato. Tuttavia, coloro che ora dai palazzi governativi promettono libertà di espressione e democrazia dopo l’attuazione della tanto declamata “road map” devono almeno lasciare in pace i media.

Fonte: Articolo21
19 agosto 2013

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