Egitto nel caos, 22 milioni di firme contro Morsi
Francesca Paci
Otto morti in 48 ore di scontri. L’esercito pronto a intervenire. Oggi l’opposizione protesta in piazza Tahrir.
A piazza Tahrir sono tornate le tende. Non quelle cupe dei senza tetto che nei mesi dopo la rivoluzione del 2011 avevano approfittato della deriva anarcoide del post Mubarak per dividersi la terra di nessuno con malviventi, provocatori islamisti o nostalgici del regime e giovanissimi demoni dostoevskiani.
Le tende che oggi accoglieranno con caffè caldo i manifestanti in arrivo da ogni angolo del Cairo e dell’Egitto per contestare il primo anniversario della detestata presidenza Morsi hanno l’entusiasmo di due anni e mezzo fa, quando un paese coraggioso ma incosciente e ingenuo riuscì in 18 giorni ad aver ragione del trentennale regime del Faraone.
«Allora chiedevamo pane, libertà, dignità per i poveri e trasparenza politica, adesso vogliamo che se ne vadano i nuovi potenti responsabili del fallimento di quel programma, ossia i Fratelli Musulmani» spiega Sherif Abdel Monem nella sede scalcinata di Tamarod, in arabo ribellione, il movimento che in tre mesi ha calamitato almeno 10 mila volontari e raccolto oltre 22 milioni di firme contro Morsi, 9 milioni in più dei voti ottenuti dal primo presidente islamista d’Egitto. Sherif, 30 anni, un posto in banca e una lunga militanza politica a sinistra, registra le schede con nome, cognome, documento e autografo che continua a ricevere: «Quando abbiamo iniziato non ci credevamo. Con Mubarak non sarebbe stato possibile, eravamo terrorizzati perfino dal criticarne la camicia, invece la rivoluzione ci ha dato coraggio e la mediocrità di Morsi ci ha rafforzato».
Il morale è alto e lo spirito vivace, come testimoniano le t-shirt in vendita a Tahrir con Morsi che scappa travolto dal tifone «Tamarod» o gli onnipresenti cartellini rossi su cui, alla maniera calcistica, è scritto «espulsione». Ma se la prima rivoluzione è costata quasi mille vittime, la seconda potrebbe non essere meno violenta, almeno a giudicare dal bilancio degli ultimi tre giorni a Alessandria, Port Said e Mansura con 8 morti (tra cui l’americano Andrew Pochter), 606 feriti, 5 donne aggredite sessualmente.
«Ci aspettiamo scontri, ma la presenza dell’esercito e della polizia, ostili ai Fratelli Musulmani, incoraggeranno molte persone a scendere in piazza nonostante la paura» osserva Ayman Alkadi, attivista di Dustur, il partito dell’ex capo dell’Aiea el Baradei nonché una delle principali sigle del cartello delle opposizioni Fronte di Salvezza Nazionale. Per vedere i blindati in postazione bisogna andare alla sede della televisione di stato, al palazzo presidenziale o vicino all’ambasciata statunitense che, contrariamente all’invito al dialogo della Casa Bianca, resta un tabù tanto per gli islamisti radicali (unici alleati dei Fratelli Musulmani) quanto per piazza Tahrir, dove uno striscione accusa Obama di sostenere «i terroristi» con la sua indulgenza verso Morsi. Ma seppure in borghese i militari sono ovunque, pronti a impedire «il caos» come annunciato sibillinamente dal ministro della difesa el Sissi.
«Aspettiamo che dopo averci messo da parte il paese ci richiami per essere protetto dai Fratelli Musulmani, in fondo, per esempio, siamo noi che stiamo mettendo in difficoltà Morsi con Hamas distruggendo i tunnel del contrabbando a Gaza» racconta una fonte dell’esercito. Il presidente islamista in realtà ha i suoi bei guai anche in casa dove la disoccupazione ha superato il 13%, la crescita è la più bassa degli ultimi vent’anni, la valuta estera come il turismo è in fuga e il prestito di 4,8 miliardi di dollari atteso dal Fondo Monetario Internazionale rischia di rivelarsi un boomerang per via dei tagli necessari ai sussidi di cui vive il Paese. Ma i militari pensano assai più strategicamente di quanto stiano provando di saper fare i Fratelli Musulmani, avidi di potere con la foga dei parvenue. E lavorano per mantenere il controllo sulla politica accaparratosi dai tempi di Muhammad Ali.
A differenza del 2011 gli egiziani sono più consapevoli, confondono ancora l’opposizione con la protesta ma avanzano richieste concrete: dimissioni del presidente, governo provvisorio, nuove elezioni. Donne velate e non, cristiani, musulmani, tutti convinti che la partita non sia «il gioco a somma zero» vaticinato dall’analista Khalil Anani.
«Stiamo preparando i nostri attivisti a non rispondere se saranno attaccati» chiosa Sherif. La violenza è un gorgo e i ragazzi di «Tamarod» non vogliono annegare con gli ex amici barbuti.
Fonte: www.lastampa.it
30 giugno 2013