Egitto: la rivoluzione un anno dopo, continua
Giulia Sudano
Oggi grande manifestazione in Piazza Tahrir per il primo anniversario della sollevazione contro Hosni Mubarak. Bilancio di un anno esaltante. Ma la rivoluzione non è terminata, continuerà.
“#25Jan C’è ancora speranza”, “#25Jan la seconda parte sta per cominciare”. Il canale Twitter #25Jan è un fiume in piena. Straripa delle speranze e della voglia di riscatto dei giovani egiziani, determinati più che mai in vista del primo anniversario dell’inizio della rivoluzione a impedire che quest’ultima resti incompiuta. E’ partito il conto alla rovescia per il prossimo 25 gennaio. La schiacciante vittoria elettorale delle forze islamiche nell’elezione della camera bassa del parlamento e i feroci scontri di fine novembre e metà dicembre fra manifestanti e militari nei pressi di Piazza Tahrir, sembrano aver dato alla ricorrenza un significato e un’importanza che vanno al di là del semplice cerimoniale. Per i movimenti rivoluzionari, il 25 gennaio rappresenta un nuovo trampolino di lancio per far ripartire il processo di cambiamento, iniziato con la caduta del presidente Mubarak e in seguito tradito dal Consiglio Supremo delle Forze Armate che ne ha assunto ad interim i poteri esecutivi.
Gli scontri di metà dicembre, la cui immagine simbolo è divenuta la scena del pestaggio e del parziale denudamento di una donna velata da parte di un gruppo di soldati, hanno profondamente segnato la società egiziana. Un numero crescente di politici, giornalisti, attivisti, ha reagito richiedendo il rapido passaggio dei poteri esecutivi dal consiglio dei militari a un’autorità civile. Nel corso di una conferenza stampa lo scorso 20 dicembre, la Coalizione della Gioventù Rivoluzionaria e il gruppo “We are all Khaled Said” (Siamo tutti Khaled Said-uno dei gruppi promotori della manifestazione del 25 gennaio 2011) hanno avanzato la proposta di anticipare le elezioni presidenziali alla data simbolica del 25 gennaio. La proposta, oltre a generare i forti dubbi degli analisti politici per la breve tempistica e per le conseguenze dell’elezione di un presidente con eccessivi poteri prima della redazione della nuova costituzione, ha incassato il netto rifiuto dei Fratelli Musulmani. Non ha avuto migliore fortuna Ibrahim Eissa, caporedattore del quotidiano Al-Tahrir, con la sua idea del passaggio immediato di consegne dal Consiglio Supremo delle Forze Armate al futuro presidente della Camera, in attesa delle elezioni presidenziali previste il prossimo giugno. I Fratelli Musulmani hanno rifiutato poiché non intendono accettare proposte che si discostino dalla dichiarazione costituzionale, a cui tutte le forze politiche hanno aderito lo scorso marzo. Mentre, le forze liberali e secolari hanno declinato lo scenario proposto da Eissa, perché favorirebbe i Fratelli Musulmani, in quanto detentori della maggioranza parlamentare. La terza ipotesi in circolazione, già emersa nel corso degli scontri di fine novembre, consiste nella formazione di un consiglio presidenziale temporaneo, a cui lo SCAF affiderebbe i suoi poteri esecutivi in attesa delle elezioni presidenziali.
Il dibattito sul passaggio dei poteri esecutivi dai militari a un’autorità civile è stato portato in strada lo scorso 4 gennaio da decine di attivisti, capitanati da Alaa Abdel-Fattah, il blogger egiziano rilasciato il giorno di Natale dopo circa due mesi di carcere per l’accusa di aver incitato alla violenza contro le forze armate, nel corso della manifestazione del 9 ottobre dei copti cristiani davanti a Maspero (edificio della tv di stato). E’ stata un’interessante occasione di confronto di diversi e anche contrastanti punti di vista. Abdel-Fattah ha sottolineato la necessità che i cittadini mantengano alta la pressione sui parlamentari neoeletti affinché realizzino le domande della rivoluzione e ha ribadito che la responsabilità politica della popolazione non può esaurirsi nel semplice voto. Haitham El-Shawaf, coordinatore generale dell’Alleanza delle Forze Rivoluzionarie che riunisce circa 60 partiti e movimenti rivoluzionari, ha rifiutato invece l’idea di cedere l’autorità esecutiva all’attuale parlamento dominato dalle forze islamiche.
La posizione di El-Shawaf è esemplificatrice di un pericoloso antagonismo che va prefigurandosi fra molti gruppi rivoluzionari, che sentono di mantenere la legittimità “rivoluzionaria”, e i partiti politici, che hanno ottenuto la legittimità “rappresentativa” derivante dal processo elettorale. Nell’attuale contesto politico post-elezioni, se il blocco rivoluzionario si contrapporrà al nuovo parlamento, divenuto il detentore della legittimità popolare grazie all’elevata affluenza elettorale (circa il 50%), correrà il grave rischio di perdere la propria credibilità e legittimità simbolica. Del resto, gli scontri iniziati lo scorso 19 novembre avevano già evidenziato la presenza di numerosi segmenti della società contrari alla proteste verso i militari, perché convinti che potessero ostacolare la transizione democratica del paese e incrementare le perdite economiche, già stimate intorno ai 7,5 miliardi di dollari dal gennaio scorso. Una realtà confermata dai numeri della piazza che non si sono mai avvicinati all’obiettivo prefissato del milione. A questo proposito, è significativo riportare anche le parole pronunciate nel corso della manifestazione del 4 gennaio dall’attivista Ziad Aly, pubblicate dal quotidiano egiziano Al-Ahram il giorno seguente: “mi guardo intorno e quel che vedo sono le solite facce […] non potremo essere efficaci fino a quando un maggior numero di persone non si unirà a noi”.
Le iniziative dei movimenti giovanili e degli attivisti, finalizzate a richiamare i propri sostenitori in piazza il 25 gennaio e ad accrescere la consapevolezza degli obiettivi e delle richieste rivoluzionarie, si moltiplicano sempre di più con l’avvicinarsi dell’attesa ricorrenza. Ad esempio, l’Associazione Nazionale per il Cambiamento, guidata da Mohammed El-Baradei, sta promuovendo numerose campagne per coinvolgere i cittadini a partecipare alle manifestazioni del 25 gennaio, inclusa una campagna porta-a-porta per distribuire cd e posters che documentano le violazioni commesse dai militari. La Coalizione della Gioventù Rivoluzionaria del 25 gennaio sta pianificando come coinvolgere gli egiziani nelle zone rurali a partecipare alle manifestazioni. Il movimento del 6 Aprile, uno dei principali organizzatori delle manifestazioni che hanno portato alla caduta del presidente Mubarak l’11 febbraio 2011, ha annunciato giovedì scorso di voler organizzare delle marce quotidiane in preparazione dell’ “Iniziativa dell’Unità” che ha programmato il 25 gennaio, con lo scopo di coordinare tutte le attività dei rivoluzionari nel restante periodo di transizione politica.
Prosegue anche la campagna “Liars” (Bugiardi), promossa da numerosi attivisti e movimenti, a seguito degli scontri fra manifestanti e militari davanti la sede del consiglio dei ministri il 16 dicembre, per incrementare la consapevolezza del pubblico sulle violazioni commesse dal Consiglio Supremo delle Forze Armate. La campagna si è ormai estesa in tutto il paese in maniera spontanea e decentralizzata con lo scopo di diffondere un’informazione alternativa rispetto a quella promossa dai media statali sui fatti accaduti in piazza Tahrir fra novembre e dicembre scorsi. Ogni cittadino può organizzare in un luogo pubblico una proiezione dei video e delle foto che mostrano gli abusi dei militari contro i manifestanti negli scontri degli ultimi mesi, perché, come ripetono i promotori su Twitter, “la campagna non ha coordinatori ed è una proprietà pubblica”.
Le forze rivoluzionarie sono determinate a continuare la loro azione per portare a termine la rivoluzione e il primo anniversario del suo inizio rappresenta un importante appuntamento politico. Ad ogni modo, la partita rivoluzionaria non si gioca a Piazza Tahrir il 25 gennaio, ma tutti i giorni nelle strade, nelle moschee e nei vari luoghi di aggregazione sociale del paese. Molti attivisti ne sono ormai consapevoli. La rivoluzione continua.
Fonte: http://nena-news.globalist.it/
25 Gennaio 2012