Egitto, l’ora della giustizia sociale
NEAR EAST NEWS AGENCY
Adala Igtimaiyyah (giustizia sociale) è tra le richieste della rivolta egiziana. Durante il regime di Mubarak palazzinari e investitori hanno moltiplicato i loro profitti e fatto affari con una classe politica corrotta, a danno della maggioranza della popolazione.
‘Adala Igtima’iyyah (giustizia sociale) è tra le principali richieste della protesta egiziana iniziata il 25 gennaio. In un paese dalle fortissime sperequazioni sociali, la classe di businessmen legata ai Mubarak, gli uomini di governo del Partito Nazional Democratico (PND) e la stessa famiglia presidenziale si sono arricchiti negli ultimi decenni con manovre finanziare illecite e abusando del loro potere politico. Il tutto anche grazie ad un sistema economico neo-liberale che è sfuggito a qualunque tipo di controllo.
Una classe di palazzinari e investitori di vario genere ha goduto di protezione. Ha visto ascendere la propria stella economica con la scalata al potere politico di Gamal Mubarak. Personaggi come Ahmad ‘Ezz hanno moltiplicato i loro profitti e fatto affari con una classe politica corrotta, che si arricchiva con tangenti di vario genere strozzando l’economia del paese e il benessere della maggioranza della popolazione. Quartieri interi, alla periferia del Cairo, come il quartiere 6 Aprile, sono stati costruiti su terreno pubblico svenduto a basso costo. Non più tardi dell’estate 2010, lo scandalo Madinati (nuovo quartiere di lusso da costruire a 40 Km est del Cairo) rivelò le relazioni corrotte tra il gruppo immobiliare di Hisham Talaat Mustafa (membro del PND), l’Autorità Urbana e il Ministero per le Abitazioni.
L’arresto e l’avvio delle indagini sugli uomini simbolo del precedente regime, su Hosni Mubarak (ieri l’ex-ra’is è stato trasferito dall’ospedale di Sharm el-Sheikh al Centro Medico Internazionale delle Forze Armate fuori il Cairo) e sui figli ‘Alaa e Gamal segna un passo avanti, ma molta strada è ancora da percorrere. Il primo fermato d’eccellenza, a febbraio, è stato Habib al-‘Adly, ex-Ministro degli Interni – da metà anni novanta, un nome legato allo stato di polizia e di controllo egiziano e ora accusato di aver ordinato di sparare sulla folla in protesta, di aver creato un vuoto di sicurezza durante la rivolta e di corruzione. Recentemente, il cerchio di fermi cautelari e arresti si è concentrato su altri personaggi chiave del regime. La prigione di Tora ospita ora, tra gli altri, Safwat al-Sharif –ex-leader del PND e della camera alta del parlamento egiziano- Fathy Surur –ex-portavoce del Parlamento- Ahmad Nazif –ex-primo ministro- Gamal e Alaa Mubarak -figli dell’ex-presidente: il primo è stato leader della commissione politica del PND e era da tempo indicato come successore del padre alla presidenza, il secondo è un businessman cairota dell’ultima generazione. Tutti sono accusati di vari crimini compiuti contro i manifestanti durante i giorni della rivolta, ma anche di illeciti finanziari e abusi di potere.
A questo punto, la richiesta di un processo regolare contro Mubarak e i membri del suo regime, uno dei motivi chiave della mobilitazione, potrebbe essere finalmente soddisfatta. Il rischio è che l’avvio dell’inchiesta ai danni dell’ex-presidente, però, sia giunto troppo tardi e Mubarak abbia avuto tutto il tempo di mettere in regola i suoi conti. In quel caso, non solo molti degli illeciti di questi anni resterebbero impuniti, ma anche il danaro pubblico rubato alla popolazione egiziana potrebbe non essere mai restituito.
Negli ultimi mesi, infatti, una delle preoccupazioni principali è stata anche riuscire a bloccare tutti i conti all’estero dell’ex-presidente e della sua famiglia e aprire al più presto possibile le indagini sul loro conto. Al momento, la questione sembra giocarsi su due fronti: il danaro accumulato all’interno del paese e quello al sicuro all’estero.
Dai dati dell’Autorità del Controllo Amministrativo e dell’Autorità di Indagine sui Fondi Pubblici emerge che, solo nella sede di Heliopolis della Banca Nazionale d’Egitto, i Mubarak hanno a loro nome il corrispondente di più di 29 milioni di euro. Suzanne Mubarak, moglie dell’ex-presidente, ha sei conti bancari oltre a quello ultimamente molto discusso presso la Banca della Biblioteca Alessandrina con poco più di 100 milioni di euro (più volte in queste settimane si è cercato di verificare se il marito avesse accesso anche a questi soldi). ‘Alaa Mubarak sarebbe intestatario di un conto con più di 11,6 milioni di euro presso la Banca Nazionale d’Egitto, oltre ad altri nove conti bancari nel paese, Gamal, invece, detiene otto conti in banche differenti. In più, la famiglia detiene proprietà immobiliari remunerative nell’area del Sinai sul Mar Rosso.
Fuori Egitto, invece, i fondi della famiglia Mubarak sono divisi tra banche svizzere e britanniche e le proprietà immobiliari sarebbero in Gran Bretagna e Stati Uniti, legate ad agenzie di Londra, New York e Los Angeles. All’inizio di febbraio, la stima del Guardian che indicava 70 miliardi di dollari come ammontare della fortuna del presidente aveva mobilitato moltissimi cittadini ancora mai scesi in protesta, pochi giorni prima dell’allontanamento di Mubarak. La stima dei beni del ra’is è stata poi rivista più e più volte.
Al momento, la Svizzera ha congelato i conti che si ritiene appartengano all’ex-presidente egiziano in forma cautelare, esattamente come aveva fatto con Ben Ali. Questione diversa, invece, per i fondi britannici, che potrebbero essere già stati spostati altrove. La Procura Generale egiziana aveva richiesto alle autorità inglesi di bloccare i fondi dei Mubarak e di altri membri della loro cerchia più di un mese fa, fornendo i relativi documenti di prova. L’autorità in carica di congelare i conti, però, ha atteso la decisione a riguardo da parte dell’Unione Europea, che è arrivata solo il 21 marzo. Dalla Gran Bretagna, quindi, la segreteria del tesoro ha fatto sapere di non avere alcuna responsabilità sul danaro mosso e trasferito fuori dal suo territorio prima del 22 marzo. Ovviamente, Muhammad Mahsub, segretario del gruppo recentemente incaricato di recuperare il danaro della popolazione egiziana, non ha gradito questo atteggiamento. Mahsub ha fatto notare, ai microfoni del giornale locale Ahram Online, che, nel caso di Ghaddafi, i fondi trasferiti in Gran Bretagna sono stati congelati senza neanche una richiesta proveniente dalla Libia.
Proprio relativamente alla decisione presa dalle autorità europee sul blocco dei fondi dei Mubarak, una delegazione legale dell’Unione è arrivata al Cairo. La missione è incaricata di raccogliere tutti i documenti relativi sia alle appropriazioni indebite della famiglia Mubarak e del suo circolo di potere e che al trasferimento dei soldi all’estero. Come riportato dal giornale locale al-Masry al-Yowm, la decisione non è ancora stata completamente ratificata e l’unico paese che si è opposto è stato l’Italia.
In tutto questo valzer di cifre, è bene non dimenticare che i clienti del regime sono sempre stati molti. La genia di palazzinari che faceva affari a braccetto con Gamal Mubarak era in competizione con altri. Gli stessi generali dell’esercito, adesso a capo del periodo di transizione, hanno interessi economici estesi in tutto il paese. Non è mai stato un mistero che l’elefantiaca macchina da guerra egiziana fosse anche una macchina da soldi. Molti generali o quadri in pensione ricevono proprietà immobiliari remunerative di ogni tipo e veri e propri business. Anche per questa ragione, ovviamente, il Consiglio Supremo delle Forze Armate preme per un ritorno alle attività produttive e ad un’economia del turismo sicura e spinge per la stabilità. Molti degli attivisti e dei lavoratori ancora in sciopero, però, non hanno alcuna intenzione di tornare ad una normalità di miseria gestita da un regime che si è arricchito alle loro spalle e che ancora non è stato del tutto smantellato.
Fonte: NenaNews
19 aprile 2011