Ecco quello che ci aveva detto Prodi due anni fa…
La redazione
Pubblichiamo il resoconto dell’incontro "Diamo all’Italia un governo di pace" tra la Tavola della pace e Romano Prodi dell’8 settembre 2005 a Perugia nella Sala dei Notari.
Il dibattito (*)
Flavio Lotti
Cari amici, siamo giunti all’incontro con Romano Prodi, leader della coalizione che si candida a cambiare il nostro paese.
Questo incontro si svolge nella sessione d’apertura dell’Assemblea dell’Onu dei Popoli per una ragione molto semplice: perché non possiamo pensare di cambiare il mondo se non cominciamo a cambiare il nostro paese.
Per preparare questo incontro, signor Presidente, abbiamo cercato di fare un riassunto dei fatti, solo dei fatti, che hanno caratterizzato il governo attualmente in carica; abbiamo iniziato a preparare un rapporto sulla politica estera e della difesa del Governo Berlusconi. Glielo consegniamo, signor Presidente, come un promemoria delle cose che vorremmo che il suo Governo non facesse mai.
“L’Italia è diventata un problema per il mondo” abbiamo scritto, con grande difficoltà e sofferenza, nell’appello di convocazione della Marcia Perugia-Assisi. Questo incontro nasce proprio da questa consapevolezza: perché sappiamo che le decisioni che il nostro governo assume ogni giorno non hanno un impatto solo sulla vita degli italiani, ma anche sulla vita della gente di tutto il mondo.
Ecco perché noi la ringraziamo, signor Presidente. Grazie per aver accettato questo nostro invito, e per aver seguito anche la prima parte dei lavori della nostra Assemblea dell’Onu dei Popoli. Sappiamo che altri non lo avrebbero fatto.
Grazie di aver accettato questo incontro con il movimento per la pace: una di quelle realtà che molti politici cercano di evitare.
Oggi sono qui rappresentate molte organizzazioni. Nel programma che le abbiamo consegnato c’è un elenco molto lungo di rappresentanti di istituzioni locali e di associazioni che oggi sono presenti con i loro massimi esponenti e che rappresentano milioni di persone nel nostro paese.
Non sono solo delle persone che hanno delle idee: sono persone che operano, che agiscono, che lavorano. Non l’abbiamo invitata qui perché abbiamo delle idee da presentarle. La legittimità di questo incontro nasce dal nostro impegno quotidiano, dal nostro fare quotidiano.
Noi non siamo una lobby. Non siamo qui per cercare di ottenere qualcosa per noi. Sappiamo che la stragrande maggioranza degli italiani chiede e sostiene politiche di pace (Lo confermano tutti i sondaggi, e non solo sulla guerra in Iraq). E invece abbiamo un governo, che, come ha ricordato Eveline Herfkens, molto spesso si è dimostrato sordo e avaro.
Anche tra coloro che oggi stanno all’opposizione c’è qualcuno che preferisce mantenere le distanze da quelli che lavorano per la pace. Qualche giorno fa ho sentito un leader dell’opposizione dire che, se serve, occorre avere il coraggio di fare la guerra. Lo stesso leader ha detto che un politico serio deve essere anche sordo agli umori dei cittadini.
Il problema è, dunque, capire se le questioni di cui oggi ci occupiamo sono umori o se non debbano invece essere trattate in modo diverso; se i 3 milioni di italiani che sono scesi per strada il 15 di febbraio sono “un umore” o se invece sono persone che si sono rimboccate le maniche e messe sulle spalle un bel carico di responsabilità.
Sappiamo che lei non è tra coloro che dividono i “pacifisti” dai “pacificatori”. Sappiamo che lei queste differenze non le ha fatte e che qualche volta si è preso la stessa accusa che spesso ci sentiamo rivolgere, quella di essere Ponzio Pilato. Sappiamo che abbiamo grandi responsabilità e che abbiamo un grande compito dinnanzi: ricostruire la politica estera dell’Italia. Perché di ricostruzione dobbiamo parlare, tanto è il degrado in cui siamo precipitati.
Per questo noi crediamo sia necessario lavorare insieme, promuovere, come non è mai accaduto, un vero dialogo e una vera cooperazione con la società civile e con gli enti locali.
L’impresa che sta davanti a noi è troppo grande per essere delegata soltanto agli esperti e agli addetti ai lavori.
Signor Presidente, questa è la nostra prima domanda: Questo incontro sarà uno spot, un’occasione unica e irripetibile, oppure sarà l’inizio di un cammino “insieme”?
Romano Prodi
Rispondo rapidamente alla domanda. Uno spot no di certo, perché si son dette cose troppo grosse per fare uno spot. Se sarà un cammino “insieme” lo decideranno gli elettori, quindi su questo non so darvi una risposta. Vi so dire però una cosa certa: tutti i discorsi che ho sentito, ho cercato di tradurli in numeri, in impegni concreti, in decisioni, proprio perché sento che da queste assemblee deve venire il coraggio per tradurre tutto in decisioni concrete. Questo è il sentimento con cui ho seguito i discorsi precedenti.
Flavio Lotti
Signor Presidente, abbiamo bisogno di ritornare a sperare, in tanti, nella politica e nella possibilità che la politica rimetta al centro questi problemi.
Per condurre questo incontro abbiamo invitato un giornalista che ha cercato di riproporre i problemi del nostro paese e del mondo, cercando di dare delle risposte e di trovare delle soluzioni positive: Giovanni Floris. Grazie di aver accettato di esser qui con noi.
Giovanni Floris
Buonasera, grazie a voi di avermi invitato perché è un’occasione molto importante non solo dal punto di vista sociale, politico e civile ma anche da quello prettamente professionale. Abbiamo avuto una prima parte dei lavori di alto livello di contenuto e adesso abbiamo l’occasione di sentire il Presidente Prodi rispondere a domande concrete non solo in vista del lavoro per cui viene candidato, cioè quello di essere il futuro primo ministro italiano, ma anche per quello che ha fatto, perché primo ministro è già stato oltre che presidente della Commissione europea.
Allora, presidente Prodi, non si può che partire con le domande di Eveline Herfkens, che sono state così dirette e nette che probabilmente hanno esaurito tutto il dibattito. Se il presidente Prodi da risposta a quello che ha chiesto lei possiamo anche andare via. Allora, la prima domanda era sull’impegno dell’Italia nella lotta alla povertà e a favore dello sviluppo.
Romano Prodi
Non mi costa rispondere, perché devo semplicemente riprendere dichiarazioni che ho già fatto e che, quindi, non sono uno spot.
Qual’è l’impegno che mi prendo? L’impegno che mi prendo è di mantenere quello che è stato promesso, basta. Noi ci siamo impegnati solennemente per lo 0,7% e siamo allo 0,17%. Quindi è inutile star lì a far discorsi, anzi posso dirvi “non prendo nessun impegno”, ma mantenere semplicemente gli impegni presi, basta. Neanche ho da metterlo in programma questo, un paese serio se scrive 0,7% fa 0,7.
Io vi dico l’esperienza, che per me è stata un’esperienza dura, anche perché poi avevo un ruolo importante, in questi anni abbiamo trasformato l’Unione europea nel massimo donatore del mondo, abbiamo fatto le cose sul serio onestamente e quando mi son trovato in questi 10 anni – non so se sono stato quello che ha fatto più G8 di tutti, perché ne ho fatti 3 come presidente del Consiglio italiano e 5 come presidente della Commissione Europea su 10 – vi riferisco una cosa che per le persone estranee è inconcepibile, per me è stata una sorpresa: l’impegno ogni anno prima dell’1% poi dello 0, 7% e il rinnovo dell’impegno l’anno nuovo come se niente fosse, per dieci anni;
con una complicazione, qui dobbiamo stare molto attenti: ogni anno per salvare l’anima, l’opinione pubblica, una grande campagna specifica, che prendeva e prende tutti i mass media, tutte cose belle intendiamoci, un anno l’Aids, un anno la malaria, un altro anno l’acqua, ma se uno va a fare la somma dell’impegno in questi settori, non ci avviciniamo nemmeno lontamente allo 0,7%.
Quindi il discorso è: 0,7%. In quale direzione? Qui c’è un secondo aspetto da mettere in rilievo, che risponde alle domande di Aminata Traorè: l’Europa ha un impegno specifico che è l’Africa… Dell’Africa non se può curare il mondo: se ne deve curare l’Europa, perché ha una missione particolare, una storia specifica, una vicinanza geografica… questa è la direzione in cui dobbiamo procedere.
In questi anni, aiutando l’Africa, io ho preso una decisione alla Commissione Europea (può esser anche che quando l’ho presa ero io stesso preoccupato): quella di dare all’Unione africana le risorse perché possa intervenire con truppe di pace per risolvere i conflitti. Perché un’altra cosa è certa: che l’Africa deve essere messa in grado di gestirsi come Africa. Quindi il grosso problema politico è l’Unione africana, le associazioni regionali, questo dare all’Africa un respiro politico, non solo un aiuto economico, altrimenti non si esce dal problema.
Giovanni Floris
Presidente, i tempi del passaggio allo 0,7% degli aiuti? Poi chiedeva la Herfkens se ci sarà un apposito Ministero per lo Sviluppo o un fondo contro la povertà?
Romano Prodi
Sui tempi: certamente nell’ambito della legislatura. Spero prima, se si riesce in un triennio, …bisogna vedere i conti,… perché queste cose vanno fatte con precisione, ma questa è la regola che ci diamo.
Sul Ministero, sabato scorso ho avanzato una proposta; ma qui c’è un altro problema che dobbiamo affrontare: quando si parla di queste cose la stampa non le riporta, non interessano nulla. Sabato ho fatto un discorso su questi temi e ho detto: “cosa è successo in questi anni in Italia?”.
E’ successo che dando i fondi per lo sviluppo al Ministero degli Esteri, ogni volta che c’era una spesa da fare di qualsiasi tipo, i fondi venivano tolti allo sviluppo e utilizzati per altre cose. Allora ho proposto, non un Ministero -ma su questo possiamo anche discutere- ma un’Agenzia per lo Sviluppo. Un’Agenzia separata perché l’importante è avere una struttura, come ha detto Eveline, che risponda direttamente, che abbia un bilancio autonomo che non si può toccare e che abbia capacità decisionali. Se deve essere Agenzia o Ministero, dipende dalla struttura. Io, in questo momento, propenderei per l’Agenzia ma veramente qui siamo al fatto organizzativo. Il problema è darle una forza autonoma, perché ripeto, ogni anno, per lo sviluppo, si è messo in bilancio una somma più elevata, poi ad ogni bisogno si è attinto a questo bilancio, anche per obiettivi a volte completamente opposti.
Giovanni Floris
Grazie Presidente, mi sembra che Eveline Herfkens si dimostri soddisfatta delle sue risposte.
Adesso dobbiamo iniziare il dialogo tra il Presidente Prodi e alcuni rappresentanti di associazioni ed Enti Locali che si sono iscritti a parlare. Coinvolgeremo naturalmente anche Terni, dove si sta svolgendo l’Assemblea dell’Onu dei Giovani. Ascoltiamo intanto Massimo Rossi, Presidente della Provincia di Ascoli Piceno.
Massimo Rossi
Buonasera onorevole Prodi, anch’io la ringrazio per aver accettato questo confronto. La mia Provincia, quella di Ascoli Piceno, così come le Province, i Comuni, le Regioni che sono qui, sono consapevoli di essere province planetarie, comuni planetarie e quindi portatori di responsabilità ed istanze da rivolgere a chi governa o si candida a governare. Responsabilità e istanze che partono da noi, dalle scelte che facciamo sullo sviluppo, sull’uso delle risorse, sulla difesa della gestione democratica e pubblica dei beni comuni, sulle scelte che poi incidono sulla vita e sul futuro dei nostri cittadini.
A quattro anni dall’11 settembre, alla luce della scia di sangue che non accenna a diminuire, emerge il fallimento della strategia della guerra contro il terrorismo. E allora, di fronte alla crisi iraniana, le chiedo, anche a nome dei fratelli, amici iraniani che vivono nelle nostre comunità e che con noi sono impegnati per la pace, e anche alla luce di quello che è scritto nel suo programma per le primare in cui rivendica con orgoglio alcune missioni militari: “Se la sente d’impegnarsi ad operare affinché una crisi come quella iraniana possa essere risolta imboccando la strada della diplomazia anziché quella delle armi?”.
Romano Prodi
Innanzitutto non rivendico con orgoglio nessuna impresa militare. Richiamo la missione in Albania che è stata l’unica vera grande missione di pace fatta in questi anni, una missione in un paese che stava andando allo sfascio. Siamo andati, abbiamo tenuto insieme il paese e… siamo venuti via immediatamente con la gratitudine di tutte le parti politiche del paese. Questo è quello che io rivendico, ed è, ripeto, l’unico caso che si è verificato di una missione in cui si sia fatto uso della forza per scopi assolutamente ed esclusivamente di pace: questo io rivendico.
Quello dell’Iran è un problema che mi sta molto a cuore. Ho sempre pensato che il problema iraniano dovesse essere affrontato con equilibrio e saggezza. Non è a caso che io sia stato il primo leader occidentale ad andare in visita ufficiale in Iran. E non ci sono andato contro gli Stati Uniti ma discutendo col Presidente degli Stati Uniti tre volte prima di andare: perchè era opportuno che questo paese fosse richiamato alla osservanza delle regole internazionali ma non fosse isolato. Questa è una regola fondamentale, seria, della democrazia. Vede, io credo che sull’Iran ci sono stati grandi errori da un lato e dall’altro. Credo che bisogna fare tutto il possibile perché non avvenga una politica nucleare dannosa per tutti, ma con un rapporto stretto, forte, diretto con il governo iraniano. L’Unione Europea ha tenuto una strada giusta in materia. Credo che si debba proseguire nella direzione intrapresa, che ha dato, anche se non definitivi, gli unici frutti di speranza degli ultimi tempi nei rapporti con l’Iran. Questa è la politica che si deve seguire riguardo all’Iran, altrimenti, qualora ci fosse un nuovo focolaio di tensione, il mondo sarebbe davvero fuori controllo, definitivamente.
Giovanni Floris
Presidente, in vista di un governo da lei presieduto, come potrebbe trovare un amalgama tra chi vuole escludere la guerra dagli strumenti della politica, come diceva il Presidente della Provincia e chi, come diceva l’esponente del centro-sinistra citato da Flavio Lotti, considera la guerra uno strumento della politica, anche se in determinate circostanze?
Romano Prodi
Non ho nulla da fare: c’è l’art. 11 della Costituzione. Basta. Scusate: la Costituzione, il problema della Costituzione è imparare a rispettarla, questo è quello che dobbiamo abituarci a fare. Non abbiamo bisogno di tante parole. “L’Italia ripudia la guerra”, punto. C’è scritto “ripudia”.
Giovanni Floris
La parola a Rosa Rinaldi, vicepresidente della Provincia di Roma, prego.
Rosa Rinaldi
Buonasera. Intanto voglio dire che trovo importante quest’assemblea, perché sono convinta che la coerenza sta nel fatto che quello che pensiamo di fare attraverso l’Onu dei popoli, quello che pensiamo di fare nel mondo, dipende molto da quello che facciamo o non facciamo nei nostri territori. E giacchè oggi siamo qui con molti ospiti internazionali che noi amministrazioni locali abbiamo ospitato nell’ambito dell’ iniziativa “Adotta un popolo”, vorrei chiedere al candidato presidente Prodi quali sono le politiche che intende adottare verso questi popoli che vengono qui da noi e vengono indicati con il nome di “clandestini”, “immigrati” e fanno fatica ad assumere un diritto di cittadinanza.
Vorrei sapere se pensiamo che la Bossi-Fini vada cancellata; se pensiamo che la politica dell’immigrazione non vada più coniugata con la politica della sicurezza, perché spesso queste cittadine e cittadini del mondo sono alla ricerca di una sicurezza che li faccia uscire dalla povertà, dall’insicurezza della guerra e dei conflitti che colpiscono i loro paesi.
La sicurezza è una questione talmente seria che io credo non possa essere legata solo alla politica dell’immigrazione. Pensiamo poi a come li accogliamo, ai centri temporanei in cui c’è una doppia cittadinanza: accogliamo questi cittadini del mondo che fuggono dai loro paesi facendoli prigionieri. Di fronte a tutti questi problemi c’è bisogno di impegni concreti.
E ancora: lo diciamo da tanto tempo, lo chiedono in tanti: si può scrivere nel programma del prossimo governo che il rinnovo del permesso di soggiorno, le questioni legate all’immigrazione, possono essere trasferite dalle Questure e dalle Prefetture agli Enti Locali? Possiamo riconoscere il diritto di voto agli immigrati e dare loro la possibilità di sentirsi cittadini, come ha tentato di fare, per esempio, il Comune di Genova. Su questi problemi noi siamo impegnati e chiediamo di misurare le coerenze di tutti. Grazie.
Giovanni Floris
Allora, il problema dell’emigrazione da problema di sicurezza a problema politico, dalla paura all’integrazione.
Romano Prodi
Lei ha fatto non solo domande generali, ma anche specifiche e io non voglio sfuggire alle domande specifiche. Cominciamo dall’ultima. Io credo che sia un gran sollievo per le autorità di polizia non aver più a che fare con funzioni che non sono proprie della polizia. C’è un indubbiamente un problema di ordine pubblico che riguarda la criminalità nelle migrazioni, ma questa sarà fatta con la normale attività.
Io credo che il compito di gestire il problema delle migrazioni non possa che essere trasferito a coloro che hanno una capacità di impegno progressivo. Per i poveri Enti Locali sarà un peso e bisognerà dare loro anche i mezzi necessari per intervenire. Ma… sono profondamente convinto che questa sia una strada da percorrere.
Ci sono delle assurdità. Ormai il permesso di soggiorno arriva sempre dopo il periodo in cui sarebbe necessario. Ormai una buona parte dei nostri immigrati sono persone perennemente a caccia del permesso di soggiorno. Questa è un motivo in più per fare il passaggio delle funzioni agli enti locali. Poi, occorre vedere se debbano essere i comuni più grandi ad occuparsene,… questo è un aspetto che dobbiamo in qualche modo verificare; ma questo passaggio va fatto. E’ il Comune che deve provvedere ai problemi della convivenza sociale, dell’abitazione, a tutti gli aspetti che sono legati al problema dell’immigrazione.
Per quanto riguarda la legge sull’immigrazione, chiamiamola “abolizione”, chiamiamola “riforma”,… qui si usa il termine “abolizione” e allora mi adeguo anch’io: in poche parole, bisogna cambiarla radicalmente.
Quello di oggi è proprio un concetto di immigrazione e un conseguente meccanismo completamente diverso di quello che noi vogliamo. Oggi uno entra sostanzialmente come clandestino, e non può entrare che in questo modo, e poi comincia la via crucis. Il problema è che l’immigrazione deve essere gestita con i paesi di provenienza e deve essere seguita come una risorsa per il nostro paese, perché lo è, è inutile negarlo, è una risorsa indispensabile per il nostro paese: ma è una risorsa che si basa su persone e come tali devono essere trattate. Terzo principio: qualsiasi sia la forma di immigrazione, deve, con il tempo dovuto, la dovuta procedura, sbocciare una possibilità di cittadinanza.
Non esiste una politica dell’immigrazione seria che non possa dare all’immigrato che lo vuole la possibilità di essere cittadino italiano. Il numero di coloro che diventano cittadini italiani in questo momento è sostanzialmente trascurabile, nonostante i matrimoni e le nascite nel paese… Questa è una roba che non ha alcun senso, che va contro tutti i criteri che fondano l’immigrazione.
Naturalmente io penso con molta sincerità al fatto che si debba anche insegnare l’italiano, le regole della Costituzione e di comportamento della nostra società e che si faccia anche una bella cerimonia in cui i nuovi venuti siano proclamati cittadini italiani, come avviene in alcuni paesi che hanno una grande tradizione, perché la cittadinanza è un fatto grosso, importante. Per tutti gli immigrati che vogliono essere cittadini italiani, questa è la regola che noi dobbiamo avere.
Infine c’è il problema del diritto d’asilo. E’ un piccolo problema quantitativo, qualcuno dice “trascurabile”… ma è un grande problema di principio. Noi non abbiamo una regola per il diritto d’asilo: la dobbiamo mettere! Senza non è da paese civile.
Giovanni Floris
Presidente, in tema di sicurezza, che idea si è fatto dell’espulsione dell’Imam di Torino e della chiusura della scuola di via Quaranta a Milano?
Romano Prodi
Onestamente non me ne sono fatto alcuna idea, perché mi mancano gli elementi di giudizio. Uso dare risposte oneste e chiare… Non lo so, non lo so.
Giovanni Floris
Anche sulla scuola di via Quaranta? Bisogna avere delle cognizioni…
Romano Prodi
Io, quello che voglio in questi casi, è che vengano rese chiare tutte le motivazioni, le procedure, tutto quello che viene fatto. Questo è quello che io esigo. Solo allora posso dare un giudizio serio. Mi fanno pensare i tempi in cui vengono attuate queste cose, i modi, la pubblicità,… tutti questi aspetti,… però dico, il giudizio va dato sui fatti.
Giovanni Floris
Sentiamo se da Terni Enzo Nucci ha già delle domande da porci, un paio magari…..
Romano Prodi
…Terni non risponde.
Giovanni Floris
Non ti si sente, si vede che applaudite, ma non ti si sente… Eccovi… No. Va bene, continuiamo a provare. Noi intanto andiamo avanti. Appena vi sentiamo vi ridiamo la linea.
Paolo Beni, Presidente nazionale dell’ARCI, ci porta a parlare di Iraq.
Paolo Beni
Sì, vorrei affrontare la questione dell’Iraq. Credo che il fallimento della strategia di Bush in Iraq sia sotto gli occhi di tutti. La situazione peggiora di giorno in giorno. Il paese è totalmente fuori controllo, in balia della violenza, del terrore, a rischio di guerra civile. Dunque, dobbiamo innanzitutto dirci che aveva ragione quella moltitudine che due anni fa riempì le piazze di questo paese, interpretando il comune sentire del popolo italiano. Quella diffusa volontà popolare fu tradita dalla scelta del nostro governo di partecipare all’occupazione militare.
Oggi noi abbiamo una grande aspettativa: ci auguriamo che il futuro governo di centro-sinistra promuova una svolta decisa del nostro paese e dell’Unione Europea sull’Iraq. Noi siamo convinti che l’unica via di uscita sia favorire il dialogo e la pacificazione fra le varie componenti della popolazione irachena, in modo da consentire al popolo iracheno di prendere in mano il proprio destino e il proprio futuro. Ma siamo convinti che la condizione preliminare necessaria perché questo possa avvenire sia la fine dell’occupazione militare e quindi, per quanto riguarda il nostro paese, il ritiro del contingente militare.
Io credo che il popolo della pace non comprenderebbe esitazioni o ripensamenti su questo punto da parte del governo di centrosinistra. Quindi formulo due richieste: la fine della missione italiana e un nuovo impegno del nostro paese nell’ambito dell’Unione europea per mettere in campo una credibile iniziativa politica e diplomatica delle Nazioni Unite. Chiediamo di tenere fede a questi impegni.
Infine, l’ha già detto Romano Prodi, ma lo voglio ribadire: il rispetto dell’art. 11 ha per noi un significato preciso, perché ripudiare la guerra vuol dire decidere di non utilizzare né giustificare l’uso della forza neppure quando vengono utilizzate giustificazioni umanitarie, perché la guerra non è mai utile. E’ la politica che deve costruire le condizioni di convivenza e dell’affermazione dei diritti di tutti i popoli. Noi ne siamo convinti.
Giovanni Floris
Senta, le chiedo di precisare: la guerra nemmeno sotto l’egida dell’Onu?
Paolo Beni
Noi siamo convinti che la guerra sia uno strumento sbagliato comunque.
Romano Prodi
Un’osservazione e poi alcune conclusioni operative, anche perché su questo argomento, onestamente, mi sono sempre pronunciato con le stesse parole, mai un passo avanti, mai un passo indietro.
Se vuole ricominciare con le parole, io ho detto che qualora vincessimo le elezioni, sarà fatto immediatamente un calendario per il ritiro delle nostre truppe dall’Iraq, e, secondo, sostituendo le nostre truppe con un intervento di pace per la ricostruzione sociale, politica e materiale dell’Iraq. Ripeto la stessa frase, a costo di essere monotono, perchè sia chiaro che questo è un impegno, perché sia chiaro che su questo non mi sono mosso né passo avanti né un passo indietro per molti mesi, in modo che l’opinione pubblica sappia con chiarezza che cosa intendiamo fare.
Devo però aggiungere che negli ultimi mesi c’è un grande ripensamento, molto forte nell’opinione pubblica americana, prima a livello intellettuale, poi sempre a livello più diffuso e ho anche una sensazione: che quello che è successo la scorsa settimana a New Orleans, avrà un’importanza enorme anche dal punto di vista della politica estera: perché questo legame strano, casuale se volete, dello smantellamento dello stato sociale da un lato e dell’impegno bellico dall’altro, questo fatto che la storia ha improvvisamente legato insieme, non può non avere conseguenze politiche. Quando voi leggete che il 40% della guardia nazionale, non solo il 40% ma la parte, diremmo così “il cervello “ della guardia nazionale, la parte strutturata, la parte più capace di intervenire (nella guardia nazionale abbiamo tante cose, abbiamo i signori grassi, abbiamo i soldati forti) ecco, tutta la parte strutturata della guardia nazionale della Luisiana era in Iraq. Allo stesso tempo, si notano improvvisamente le conseguenze dello smantellamento dello stato sociale, ovviamente non un lavoro di pochi anni, un lavoro che probabilmente durerà più di una generazione, probabilmente da dopo la presidenza Johnson in poi negli Usa lo stato sociale è sempre stato messo in disparte, Clinton tentò, se vi ricordate, un discorso di assicurazioni sulla salute ma è stato bocciato. Quindi, dopo lo smantellamento dello stato sociale vediamo le conseguenze di un disastro nazionale di proporzioni molto grandi, in cui si sente lo stato federale che vi dice “mah, avevamo demandato questo potere allo stato” mentre lo stato dice “dovevano provvedere i comuni”, poi ci si accorge che non c’erano nemmeno gli autobus per portare via la gente. Allora questo grido del Sindaco che avete visto alla televisione “andate, scappate!” è qualcosa di angoscioso per uno stato moderno, perché non ha detto “scappate che vi diamo i mezzi”, ma “scappate se potete scappare”. E allora chi non è potuto scappare…
Tutto questo non può non avere delle conseguenze sul modello dello stato. Questo è un fatto che cambierà le elezioni di medio termine dell’anno prossimo, ma probabilmente cambierà anche la storia americana, pensiamoci su… Improvvisamente, casualmente, ha legato questo dramma dello spostamento delle spese verso l’area militare con una tragedia corposa in cui la povera gente è rimasta vittima. L’America è un grande paese, e credo che su questi temi mediterà a fondo. Mi auguro che le energie migliori, nelle prossime settimane, nei prossimi mesi, faranno sentire una voce che secondo me prevarrà negli Stati Uniti.
Giovanni Floris
Presidente, il ritiro delle truppe dall’Iraq, a suo modo di vedere, quali tempi tecnici impone? Quanto ci vuole?
Romano Prodi
Mah,… non sono mica il Generale in capo!… Diciamo la verità: ha già cominciato il Governo, zitto zitto per non metterlo troppo in mostra, ma 300 persone in meno già ci sono; quindi, voglio dire, non ci vuole molto. Quando dico un calendario, dico un calendario serio, concreto e veloce, questo vuol dire il calendario. Non è mio uso prendere in giro nessuno come la favola di Bertoldo.
Giovanni Floris
Questa estate c’è stato il dibattito tra la cosiddetta ala radicale del centro-sinistra e la cosiddetta ala riformista. L’ala radicale prevedeva tempi tecnici, l’ala riformista diceva “con calma”; alla fine voleva andare via più tardi Bertinotti di quanto non volesse andare via… C’è stato un giornale che ha fatto i calcoli…
Romano Prodi
Appunto. Qui c’è un impegno serio. Ho ribadito i termini politici che bisogna mettere in atto. Qual’è la cosa più importante? Non è mica il tempo o i giorni: è l’aiuto alla ricostruzione in Iraq, perché quello che è successo con il caso della moschea, dice la tragedia di questo paese. Lì è l’impegno più forte e più serio, quello è il problema vero.
Giovanni Floris
Terni? Riproviamo? No, non èancora il momento… Allora, Luigi Bobba, presidente Nazionale delle Acli. Prego
Luigi Bobba
Abbiamo visto nelle ultime settimane qualche segnale positivo dal Medio Oriente, con il ritiro dalla striscia di Gaza, e siccome sappiamo che quell’area, in qualche modo, è un po’ il termometro che misura la temperatura del mondo dei conflitti, cogliamo questi segnali positivi come una strada possibile per la pace, quella “road map” in cui erano coinvolti i grandi attori internazionali, Unione Europea compresa.
Essendo stato a Gerusalemme qualche mese fa, il Nunzio Monsignor Sambi, riassumeva in cinque punti la questione della pace o della pacificazione, ovvero dell’obiettivo di giungere a due stati per due popoli, e riconoscere quindi una possibilità di pacificazione di quell’area. Il primo problema è il muro; il secondo problema è la violenza, l’intifada, il terrorismo; il terzo problema sono gli insediamenti; il quarto è lo status della città di Gerusalemme; il quinto, forse meno evocato, ma altrettanto importante, la questione dell’acqua, visto che il Giordano disseta non solo gli israeliani o palestinesi, ma anche gli stessi giordani.
Diceva il Nunzio che se si riuscisse a dare una risposta a queste cinque questioni, probabilmente ci sarebbero le condizioni effettive per una pacificazione. Siccome l’Unione Europea è un soggetto importante, sia perché finanzia l’Autorità palestinese, sia perché Israele è legata negli accordi del partenariato euro-mediterraneo, credo che avere una politica da parte dell’Italia sia un elemento qualificante anche di un’azione di governo. In questi anni non abbiamo visto un gran che su questa questione che è così vicina a casa nostra.
Infine una seconda e ultima questione. Mi rivolgo non solo al politico Romano Prodi ma anche al cristiano Romano Prodi: cosa pensi della denuncia che proprio qualche giorno fa, il francescano Custode di Terra Santa, padre Pizzaballa, ha fatto delle grandi difficoltà o meglio delle crescenti difficoltà in cui vivono le comunità cristiane in quella terra, difficoltà che si possono anche riassumere in un numero: i cristiani erano il 14%, oggi sono il 2% , cristiani non solo i cattolici; quindi rischiamo di essere un vaso di coccio tra due vasi di ferro – il mondo arabo-musulmano e il mondo ebraico-. E’ una questione che credo ci debba stare a cuore, sia per l’equilibrio di una comunità di una terra che ha dato vita alle tre grandi religioni e sia per il ruolo che i cristiani svolgono in quella terra.
Romano Prodi
Sull’ordine dei problemi che il Nunzio poneva, sono perfettamente d’accordo. In questi giorni, ed è un fatto di straordinaria importanza, si è affrontato un problema come quello di Gaza che un anno fa sembrava irrisolubile. Dobbiamo dare atto che c’è stato un grande coraggio di due vecchi d’Israele, Simon Peres e anche Sharon, col quale avevo avuto scontri durissimi, ero stato anche accusato di terrorismo perché noi distribuivamo i libri ai bambini delle scuole palestinesi.
Devo dare atto che ha avuto coraggio, perché quando un politico provoca la scissione del proprio partito e quindi si scava la possibilità del potere futuro, vuol dire che ha coraggio. Questo però è un primo passo: il muro resta, gli insediamenti restano,… c’è chi dice che l’uscita da Gaza è perché non era “tenibile”, …ma lasciamo stare questi aspetti. E’ un fatto positivo, che da’ spazio al dialogo.
Ora però c’è un problema: tutto rischia di fermarsi nuovamente. Spero che venga preso in considerazione, in modo un po’ serio, dalla riunione dei Ministri delle finanze. Un discorso molto serio è il problema dell’acqua, il problema dell’energia… Ci sono progetti che hanno vent’anni, venticinque anni. Io venti anni fa avevo in mano un progetto di gas naturale che coinvolgeva Gaza. Non è ancora stato fatto niente. Quindi: o noi ci muoviamo in coerenza con questo, oppure… noi allontaniamo la pace e non la avviciniamo.
Muro, intifada, insediamenti, Gerusalemme, acqua e energia sono i veri problemi. Invece di acqua metterei “acqua, energia e lavoro” perchè la disoccupazione, la tragedia di Gaza è che ormai da generazioni non c’è più speranza di una vita economica autonoma. Se Gaza nella nuova condizione politica non è accompagnata da una nuova condizione economica, tra poco ricominciano le tensioni, ricomincia l’intifada, ricomincia la tragedia.
Il secondo problema non è di oggi; lei ha ragione. C’è una caduta totale della presenza dei cristiani in Medio Oriente, ma non solo in questa zona. Se voi vedete tutti i libri, tutte le analisi fatte sul Medio Oriente, questa è una tragedia degli ultimi 55 anni, quando è cominciata una tensione crescente fra le diverse religioni in Medio Oriente. Nessuno ricorda che, per secoli, c’è stata una buona convivenza fra cristiani, musulmani ed ebrei: non per decenni, per secoli e che questa convivenza può essere ricostruita. Ma dobbiamo anche dire che queste guerre hanno reso il problema quasi insolubile, perché la fuga dei cristiani si è ormai completata.
E’ tragico dirlo, ma l’ultimo paese in cui c’è stata la fuga dei cristiani è l’Iraq. L’Iraq era quello che aveva una minoranza cristiana più consistente, talmente consistente da avere anche il ministro degli esteri, da avere una comunità anche forte dal punto di vista economico… ormai questa si sta sciogliendo, e i cristiani scappano in tutte le parti del mondo. Quindi ho paura, Luigi, che questo patrimonio di convivenza sia ormai impossibile da ricostruire come era prima. Lo dobbiamo ricostruire con un paziente lavoro di rispetto, mettendo fine a queste idiozie sulle “lotte di civiltà”, a tutta quella cattiva stampa che abbiamo letto e visto in questi giorni. Dobbiamo ricostruire una convivenza che ormai è diventata minima,… dobbiamo salvarla dove ancora c’è e avere una prospettiva storica per ricostruirla. Purtroppo però, con enorme dolore, dobbiamo riconoscere che, negli ultimi cinquant’anni, questa convivenza concreta, che sarebbe stata uno strumento maieutico, da utilizzare per promuovere la convivenza fra i popoli, ormai si è quasi completamente perduta.
Giovanni Floris
Presidente, quanto può pesare sulla capacità di convivere, di tollerare, di confrontarsi con religioni e culture differenti, la frase del Presidente del Senato sul timore di una cultura meticcia che possa impossessarsi dell’Europa?
Romano Prodi
Non si concilia affatto. Quello è un altro mondo, basta.
Giovanni Floris
Quanto pesa però formalmente nelle vite, nella trasformazione anche culturale di un paese, nella sua evoluzione, il fatto che un’istituzione teme il mischiarsi delle culture e del confrontarsi? Quanto danno può apportare?
Romano Prodi
Il danno è enorme. Io spero solo che sia limitato, perché ho una grande fiducia nel popolo italiano. Quello che ha detto il Presidente del Senato è contro la nostra storia, la nostra cultura, contro le nostre radici. L’idea di parlare di meticciato in Italia, il paese in cui le ondate barbariche da tutto il mondo… io vengo dalla pianura padana che è il mondo più meticcio che esista nella storia della civiltà, sono arrivati tutti nella pianura padana… quindi, è andare contro la nostra storia. Ma il discorso è molto più serio: c’è una differenza di interpretazione del mondo.
Giovanni Floris
Riproviamo con Terni. Enzo?
Enzo Nucci
Ecco, ora forse ci sentite, siamo riusciti a risolvere i problemi tecnici che ci stanno affliggendo. Sentite e vedete l’applauso dei trecento giovani arrivati oggi qui a Terni per dar vita alla seconda Assemblea dell’Onu dei Giovani. Stiamo trasmettendo dalla biblioteca comunale di Terni, una struttura bellissima, che oltre a contenere libri è anche sede di manifestazioni ed incontri. Qui ci sono tanti giovani che vengono dall’estero. Voglio ricordarlo, a questa sessione dell’Onu dei giovani, ci sono giovani che sono convenuti qui a Terni dalla Bosnia, dal Guatemala, dal Libano, dalla Sierra Leone, dalla Palestina, dal Ghana, dal Kenya, dall’Ucraina, dalla Colombia e da Israele. Abbiamo con noi una giovane bosniaca che a nome di tutti gli ospiti stranieri presenti qui a Terni riporterà una domanda per Romani Prodi: una domanda, lo voglio sottolineare, che è stata avanzata da una ragazza israeliana ed è stata fatta propria da tutta questa delegazione straniera. Ecco, sentiamo appunto Meri Musa, bosniaca.
Meri Musa (traduzione)
Buon pomeriggio a tutti quelli che sono convenuti a Perugia e buon pomeriggio a Romano Prodi. Mi chiamo Meri Musa, sono della Bosnia Erzegovina, e faccio parte del gruppo internazionale dei partecipanti dell’Assemblea di Terni. Vorrei chiederle se nel caso in cui vincerete le prossime elezioni, quale sarebbe la vostra posizione sulle politiche di occupazione militare ed economica portate avanti da questo governo degli Stati Uniti?
Romano Prodi
Si riferisce all’Iraq? Dovrebbe specificare meglio, o è interessata più al caso bosniaco, dei balcani?
Meri Musa
No, io facevo una domanda più generale, sulla politica americana in generale.
Romano Prodi
Come ho detto prima, io credo che gli Stati Uniti in questo momento siano in una fase di ripensamento. La dottrina base è ancora una dottrina inventata dai neocons, ma tutte le analisi interne sostengono che gli Stati Uniti non si sentono in grado di aprire un altro fronte nel mondo. Questo è indubbiamente un messaggio che non si può non tradurre, a breve, in un tipo di politica.
Io credo anche che ci sia una maggiore consapevolezza di un altro fatto: noi parliamo sempre di Iraq, ma guardate che anche la guerra precedente, l’Afghanistan, non è ancora stata risolta. La situazione afgana, dal punto di vista della sicurezza, è in una difficoltà colossale. Recentemente ho preso parte ad una riunione di analisi sull’Afghanistan e il discorso era molto semplice: a Kabul c’è più o meno un po’ di sicurezza, almeno di giorno; nella frontiera ad ovest, cioè verso l’Iran, si può girare di notte, possibilmente in convoglio; nella parte verso il Pakistan non si gira né di giorno né di notte né in convoglio. Quindi è ancora una situazione durissima.
Poi c’è la situazione in Iraq. Io credo che la saggezza comporti che diventi quasi impossibile aprire un altro fronte nel mondo. Ma questo è un discorso militare che mi interessa fino a un certo punto.
Quello che noi vediamo adesso è che sta cambiando il mondo: state attenti che la grande, fortissima, rinascita dell’Asia, l’articolazione nuova di questi paesi con tassi enormi di sviluppo, stanno cambiando radicalmente i rapporti nel mondo. In un certo arco di tempo (che non sarà di un anno, di 5 anni, di 10 anni) il mondo da bipolare diventerà, non dico bipolare, ma tripolare, quadripolare… con tutta una serie di equilibri molto diversi da quelli di oggi…
A questo proposito non posso mai dimenticare l’opinione espressa dal Presidente cinese quando, a più riprese, gli ho parlato dell’euro, dell’Europa, come Presidente della Commissione Europea. Il suo discorso è stato di una chiarezza estrema: io, come Cina, comprerò e metterò nelle mie riserve una quantità di euro uguale a quella dei dollari, perché non amo un mondo monopolare ma amo un mondo multipolare e –questo è un discorso di grande interesse– se voi europei avrete una parola, allora sono sicuro che l’avrò anche io.
Questo è un concetto straordinario sul tipo di evoluzione del mondo, ma è anche un impegno per l’Europa. Ecco perché io porto continuamente avanti il discorso europeo: perché nel mondo di oggi nessun singolo paese europeo può avere alcuna voce nel mondo, nessuno può essere ascoltato, neanche la Germania, neanche la Francia, neanche la gran Bretagna. Allora diventa decisivo il discorso di un’Europa che si costruisce e che si costruisce nella pace. L’Europa è nata nella pace: questa non è retorica. Perché per cinquant’anni fuori dai confini dell’Europa ne abbiamo avuti di tutti i colori, dentro ai confini non abbiamo avuto neanche un conflitto, quindi abbiamo un record di pace, non è retorica. Dunque, io credo che l’Europa possa e debba aumentare la sua voce nel mondo: è una garanzia di equilibrio di cui noi abbiamo bisogno.
Giovanni Floris
Enzo, un’altra domanda?
Enzo Nucci
Sì: Fausto Pellegrini, collega di RaiNews24, ha raccolto un’altra domanda dei giovani qui raccolti a Terni
Fausto Pellegrini
Rimaniamo in tema di Europa. La domanda viene da vicino ed è un po’ un insieme di domande. La fa Giulia Martini, che arriva da Firenze ed è una studentessa. Parliamo un po’ di Europa e di una parola quasi dimenticata ma sempre importante, l’utopia.
Giulia Martini
Salve. La domanda è questa: l’Europa deve essere più concreta nella risoluzione delle controversie internazionali. Cosa potrebbe fare l’Italia per aiutarla a crescere in questa concretezza e quali azioni potrebbe quindi intraprendere? Per esempio, qual è il suo pensiero nei confronti di un possibile esercito europeo? Infine, la politica può rappresentare ancora il modo di trasformare la pace da utopia a realizzazione concreta attraverso politiche di pace?
Romano Prodi
Quello che può fare l’Italia è comportarsi da paese europeo: è di una semplicità estrema. Noi abbiamo sempre avuto una grande tradizione di paese che ha spinto avanti l’integrazione europea. E’ mancata solo adesso. Allora l’Italia esiste se riprende il suo ruolo di aiuto all’integrazione. E’ questo che dovrò fare, che farò, se avrò la responsabilità di governo: ritornare a fare proposte e a spingere per un ruolo sempre più integrato dei diversi paesi europei.
Ora abbiamo una sosta dovuta alla Costituzione che è stata bloccata,… bisogna avere pazienza. Non pensate che il cammino europeo si sia fermato. Si è interrotto per un attimo, come già nella nostra storia si era interrotto: pensate alla seggiola vuota di De Gaulle, pensate alla signora Thatcher… Il disegno europeo è così grande perché è un cambiamento del concetto di sovranità,… non pensate che possa avvenire pacificamente, democraticamente e in breve periodo di tempo; se lo vogliamo in pace e in democrazia ci vuole tempo, deve entrare nelle coscienze, deve entrare nell’esperienza.
Quindi io non sono affatto pessimista sul futuro dell’Europa. So che abbiamo fatto una sosta. So che questa bocciatura della Costituzione è un fatto grave, ma riprenderemo con proposte e l’Italia dovrà essere tra i paesi che fanno queste proposte. E tra queste proposte ci deve essere anche quella della costituzione di una struttura militare a scopo pacifico, come già abbiamo iniziato a creare, per interventi con le Nazioni Unite, a scopo di pace. Abbiamo interventi nei Balcani che stanno aiutando una situazione che altrimenti precipiterebbe in una difficoltà crescente.
Ecco, l’Europa io la vedo come uno dei grandi protagonisti del futuro del mondo. Ci vuole tempo, ma la sua forza economica, la sua tradizione, il modo con cui è nata… ne fa una struttura unica al mondo.
Quando io sono andato in giro per i parlamenti per promuovere l’allargamento dell’Unione Europea, mi sentivo veramente uno che aiutava l’esportazione della democrazia, un’esportazione vera, condivisa, in cui i parlamenti locali…
In Romania -lo ripeto e lo ripeterò sempre perché i giovani debbono ricordare queste cose- mi son trovato in un dibattito sull’Europa in parlamento. Tutti i partiti hanno parlato; …alla fine si è alzato un parlamentare che si è definito membro della minoranza non-ungherese del parlamento rumeno e ha fatto un bellissimo discorso in favore dell’Europa. Allora l’ho fermato e gli ho chiesto: “Perché lei è così caldo per questa idea di Europa, dato che voi siete stati così periferici nella storia recente?”. Questo mi ha dato una lezione di politica e di morale e mi ha detto: “Vede, mio nonno è stato ucciso perché minoranza, mio padre è stato perseguitato perché minoranza. Io voglio entrare nell’Unione Europea perché è una unione di minoranze”.
Questo è un concetto nuovo che l’Europa può insegnare al mondo. Ecco allora perché nei rapporti con l’Africa, prendendo ad esempio i rapporti con la Libia, io ho voluto che ad intervenire fosse l’Unione Europea: perché non ci fossero le eredità del colonialismo, perché non ci fossero i fraintendimenti del passato, per poter cominciare un capitolo nuovo della storia. Ecco,… in questo senso io penso che c’è un gran bisogno di Europa nel mondo, perché abbiamo dato un esempio che supera il concetto di stato nazionale. E’ un esempio ancora immaturo, ancora povero,… vedete,… facciamo due passi avanti e uno indietro,… però questa è una via concreta di pace.
Giovanni Floris
Grazie Presidente, grazie Terni restate con noi, ci salutiamo verso la fine. Da noi torna la parola ad Albino Bizzotto, dei Beati i Costruttori di Pace.
Albino Bizzotto
Buonasera. Mi hanno chiesto di parlare dell’Onu, un tema di cui non si è sentito niente questa sera. L’Onu è nata dopo la guerra e contro la guerra e oggi è sfiduciata principalmente dalla guerra. Ma quello che mi preoccupa di più oggi è che stiamo correndo il rischio che l’Onu non venga sfiduciata soltanto da Bolton o da altri governi, ma anche dalla popolazione perché se anche obiettivi minimi come quelli del Millennio diventano allucinazioni, è chiaro che la gente chieda di chiudere una istituzione che costa e che non serve a niente. Voglio dire che la sfiducia, rischia di diventare la sfiducia di tutti.
Allora io chiederei a tutti i politici di fare un discorso realistico sull’esperienza delle guerre di questi anni. Io sono stufo di sentire che i pacifisti sono utopisti e che i politici sono realisti. Mi dicano in che situazione si trovano i Balcani a dieci anni dalla cosiddetta pace di Dayton. Lo dico perché la guerra del Kossovo rimane una ferita come tutte le guerre.
Secondo punto: quando si fa il richiamo all’Onu, anche se si è all’opposizione, a me non basta la petizione di principio. Vorrei sapere anche quali sono i passi concreti che l’opposizione fa quando chiama in causa l’Onu,… perché ci sono stati i voti anche per la guerra in Afghanistan.
Terzo punto: non riesco a capire come fanno a dire “sotto l’egida dell’Onu”. E se l’Onu contraddice i suoi principi costitutivi? Se l’Onu fa la guerra, e non risponde ai suoi principi costitutivi, mi basta l’egida dell’Onu? Vorrei che fossimo chiari su questo.
Un altro punto che lei ha toccato e mi piace molto…
Giovanni Floris
L’ultimo, perché se no diventa… poi vedo un quadernetto…!
Albino Bizzotto
Il penultimo…
Romano Prodi
Beh, io tengo sempre le risposte più corte delle domande!
Albino Bizzotto
Il penultimo. Lei ha accennato alla difesa europea in funzione Onu e ha accennato al nostro rapporto con l’Africa. Come la mettiamo con le bombe atomiche francesi, inglesi e Nato in Europa, nei rapporti con gli altri paesi e con un esercito formato “Onu”?
Infine, la riforma dell’Onu deve essere fatta in modo che dentro non ci sia solo il Consiglio di Sicurezza ma ci siano rappresentati anche i Governi, i Parlamenti, gli Enti Locali e la società civile. Non ci deve essere solo l’Onu in negativo con l’intervento armato, ma anche l’Onu come Ecosoc, cioè l’Onu per la sicurezza sociale, perché se questi Obiettivi del Millennio non verranno raggiunti la politica sarà sempre quella di affrontare emergenze e disgrazie ma mai costruire pace positiva. C’è poi Gerusalemme come capitale che non è da sottovalutare e la convenzione della costituente.
Giovanni Floris
Allora, grazie per la domanda, che purtroppo sono cinque domande; anche se il Presidente fino ad ora ha dato risposte analitiche, qui puntiamo un pò sul senso comune delle cinque domande, perché se no rubiamo tempo agli interventi successivi.
Romano Prodi
No, io vorrei partire dall’ultima domanda. E’ chiaro che tutti emozionalmente gradiremmo che la capitale, che l’Onu andasse a Gerusalemme, però, voglio dire, non mi sembra la sede operativa più efficace per ottenere quello a cui lei pensa. Pensiamo a Ginevra se vuole,… ma in questo momento il problema dell’Onu non è il discorso della sede.
Sono rimasto un pò sconvolto dal suo intervento: perché c’è un tale scetticismo sull’Onu, come se fosse una roba da buttare via? Se partiamo da questo punto di vista, se dovessi rispondere coerentemente alla sua domanda, direi: “la chiudiamo” e amen. Ma dico, l’Onu è passata attraverso momenti di grandi difficoltà, in una situazione in cui alcuni dei grandi protagonisti, come gli Stati Uniti, non hanno neanche pagato la loro quota per anni anni e anni.
Sappiamo benissimo che ci sono dei momenti difficili e dei momenti di ripresa delle istituzioni internazionali. Se noi non abbiamo la pazienza e la capacità di capire la storia, chiudiamola, poi vediamo i risultati. Io conosco i limiti dell’Onu, ma so benissimo che il mondo sarebbe peggio se l’Onu non ci fosse. C’è un seme di forte democrazia nell’Onu. Certamente, quando sento dire che bisogna che l’Assemblea dell’Onu abbia più potere, io sono perfettamente d’accordo.
Il consiglio di sicurezza: questo è un campo interessante su cui lavorare. Mi sembra un po’ così, quando lei mi dice “ci vogliono i governi, i parlamenti, le Ong…” ma cosa facciamo? Una confusione “dell’ostrica” facciamo. Questi problemi sono i paesi che li debbono risolvere al loro interno. Noi dobbiamo avere un’Assemblea che abbia una capacità decisionale, che abbia idee chiare, che abbia le procedure di voto… non deve essere un organismo di sfogo. Io ho paura che nello schema che lei mi dice, l’Onu diventa una grande assemblea in cui ci sfoghiamo. Io voglio invece che sia una struttura operativa, che abbia il potere, che quando apre la bocca le si obbedisca. Questo è il concetto dell’Onu che io ho. Quindi il problema non è allargare queste strutture, ma dargli forza e nerbo.
Questo è il vero problema,… i comportamenti di alcune delle grandi potenze che negli ultimi anni hanno tenuto l’Onu completamente fuori gioco, che hanno influito in modo del tutto anomalo sulle nomine, sui comportamenti, sul finanziamento. L’umiliazione dell’Onu non è un fatto casuale. L’umiliazione dell’Onu è la debolezza dell’Onu. Il nostro compito è rafforzare le Nazioni Unite dando però alle Nazioni Unite stesse una struttura dotata di una reale capacità decisionale. Mi preoccupa molto un’Assemblea dell’Onu che diventi il luogo delle buone intenzioni o delle lamentele, perchè non è questa l’Onu che io voglio. L’Onu che io voglio è la società delle Nazioni, che quando dice una cosa, possa essere rispettata anche dalle grandi, grandissime potenze.
Giovanni Floris
Roberto Della Seta, presidente nazionale di Legambiente.
Roberto Della Seta
Buonasera a tutti, buonasera Presidente. Io vorrei parlare di energia, perché credo che questo sia uno dei grandi problemi dell’Italia e uno dei grandi problemi anche di politica internazionale. Lei, quando guidava la Commissione Europea, ha avuto un grande merito, credo un merito storico, quello di accelerare la ratifica da parte dell’Unione Europea del Protocollo di Kyoto. Non era una scelta scontata, perché è giunta all’indomani della decisione degli Stati Uniti di chiamarsi fuori del protocollo di Kyoto. Questa scelta si è rivelata lungimirante, intanto perché, per esempio, nel giro di pochi anni, insieme ad altri argomenti, ha convinto la Russia a seguire la stessa strada della ratifica, il che ha reso possibile che il protocollo di Kyoto diventasse una legge internazionale e poi perché ha evitato che alcuni paese europei, particolarmente timidi sul tema di Kyoto, a cominciare dal nostro, potessero sfilarsi. Lei ricorderà che all’inizio del governo Berlusconi, lo stesso Presidente del Consiglio aveva lasciato intendere che l’Italia avrebbe potuto seguire gli Stati Uniti nel no a Kyoto. Quindi credo che quella sia stata una scelta di straordinaria importanza.
Oggi però abbiamo di fronte molti problemi. Lei prima ricordava la tragedia di New Orleans. La tragedia di New Orleans, tra le altre cose, ha richiamato una grande responsabilità degli Stati Uniti, che malgrado l’evidenza dei mutamenti climatici, del nesso che c’è tra emissioni dell’uomo e mutamenti climatici, continuano a far crescere i loro consumi di petrolio, i loro consumi di carbone. Gli Stati Uniti sono sicuramente sul banco degli imputati, ma troppo spesso si dimentica che l’Italia, che a parole ha avuto e ha un altro comportamento, nei fatti non si sta muovendo in modo diverso.
L’Italia, in questo retroguardia nell’Unione Europea, negli ultimi anni, malgrado gli impegni che ha assunto ratificando il protocollo di Kyoto, ha visto crescere le sue emissioni di anidride carbonica, ha visto crescere i consumi di petrolio, i consumi di carbone. Noi, da qui al 2012, dovremmo ridurre di oltre 100 milioni di tonnellate le nostre emissioni di anidride carbonica, che è un obiettivo davvero arduo. Io credo che l’energia sia un grande tema di politica ambientale perché il petrolio, il carbone, il nucleare sono tra le grandi cause di degrado ambientale del nostro pianeta e del nostro paese, ma sia anche un grande tema di politica internazionale e di equità internazionale, perché in un mondo dove l’energia è una risorsa scarsa, che i ricchi, un miliardo di persone, controllino la stragrande maggioranza delle risorse energetiche, rende impossibile la pace, rende impossibile la lotta alla povertà. Quindi quello che le chiedo è che peso avrà l’obiettivo di cambiare alla radice il nostro sistema di produrre e consumare energia nell’agenda di un eventuale governo Prodi e in che direzione si muoverà questo impegno. Grazie.
Romano Prodi
Innanzitutto una breve osservazione sul quadro generale. Prima parlavamo dell’uragano Katrine,… alcuni stati della costa degli Stati Uniti come la California hanno già chiesto di riesaminare Kyoto, e non è poco la California, perché poi le esperienze, le tragedie insegnano… Io non ritengo che Kyoto sia perfetto. Ho combattuto in favore di Kyoto prima di tutto perché è un grande passo avanti, ma poi per una logica, che è la stessa logica che noi dobbiamo avere per l’Onu: cioè, i problemi che riguardano tutto il mondo devono essere decisi da tutto il mondo. Non importa se i primi passi non sono perfetti (Kyoto ha ancora dei problemi tecnici sui cui io sto faticando). In ogni caso si tratta di un grandissimo progresso, qualcosa che ti dice noi tutti siamo interessati al mondo e noi tutti decidiamo; …è una grande cosa, io penso che l’America seguirà.
Sull’Italia, già abbiamo preparato alcuni passi che sono importantissimi. La prima fonte di energia, enorme, è il risparmio energetico,… quindi, tutta una serie di grosse incentivazioni, che tra l’altro io sono assolutamente legittimato a fare: con l’altro governo, feci una legge sul restauro dell’edilizia per avere più uso della vecchia edilizia e meno uso del suolo per la nuova che ha avuto un enorme successo, che ha dato più introiti fiscali di quelli che c’erano in precedenza. Dunque, la prima cosa è una grande legge sul risparmio energetico: rifare gli edifici, l’illuminazione, gli elettrodomestici, tutta una struttura di educazione sull’uso dell’energia e dei condizionatori.
Secondo, e non è trascurabile neanche questo, anche se non è decisivo per la risoluzione del problema (intendiamoci, vi sto parlando di lavorare a margine, perché poi della soluzione definitiva ne parliamo dopo), è un problema di 3-4 % che può essere in un periodo abbastanza breve, semplicemente usando il solare come in Germania. Non mi pongo obiettivi impossibili. L’Italia ha più sole della Germania. Mi accontento di arrivare alle quote tedesche e avere almeno 100.000 occupati in più in questo settore.
Accanto a questo, può partire un nuovo progetto su cui metto un punto interrogativo (perché bisognerò sperimentarlo) che è quello di usare l’agricoltura per scopi energetici. In primo luogo è uno degli strumenti che possiamo usare per poi lasciar spazio all’agricoltura degli altri paesi; in secondo luogo perché, con gli attuali prezzi, stanno tornando convenienti tutta una serie di impieghi energetici, sia di biomasse, sia di prodotti agricoli che prima non lo erano.
Infine, ma questo è un traguardo che come voi sapete è un modello di distribuzione decentrata: lavorare sull’idrogeno, perché ci possa essere energia più pulita. Ripeto, per questo ci vuole tempo. Per ora abbiamo parecchia ricerca da fare. Quando ero Presidente della Commissione abbiamo destinato una quantità enorme di risorse per la ricerca sull’idrogeno come distributore di energia pulita, in modo da riequilibrare con l’energia decentrata la possibilità di andare avanti col consumo energetico senza turbare gli equilibri che noi abbiamo. Queste sono le politiche da seguire in materia di energia nell’immediatezza. So benissimo che queste misure non ci liberano dal petrolio e dal gas naturale, alleviano semplicemente il peso. Questo è il contributo che ogni paese deve dare perché, termino, lo squilibrio tra domanda e offerta di petrolio, secondo tutte le analisi che abbiamo in mano, è uno squilibrio probabilmente permanente, …perché si sono affacciati dei grandi consumatori mentre la produzione non si muove con lo stesso ritmo. Quindi a squilibrio permanente, dobbiamo rispondere con una differente politica permanente.
Giovanni Floris
Il rapporto sullo sviluppo umano 2005, che è stato diffuso ieri dall’Agenzia Onu per lo sviluppo, comincia più o meno così: “Ogni secondo muoiono tre bambini, l’equivalente di tre tsunami al mese, tutti i mesi. Siamo incamminati verso la prevedibile catastrofe”. Credo che ora, Raffaele Salinari, del Coordinamento Italiano Network Internazionali, ci porti a riparlare di sviluppo e impegno economico. Prego.
Raffaele Salinari
Si, buonasera Presidente. Lei ha già detto -e noi lo abbiamo registrato come organizzazioni internazionali- l’impegno a rispettare la quota 0,7%. Tre questioni molto brevi. Una rispetto al passato perché non vorrei che gettasse un’ombra sul futuro: molti anni fa, prima che lei diventasse Presidente del Consiglio, ci eravamo incontrati, avevamo fatto la stessa chiacchierata, erano stati presi gli stessi impegni e non sono stati rispettati…
Romano Prodi
In Europa li ho rispettati, …dove ho comandato li ho rispettati.
Raffaele Salinari
Mentre, in Italia non li abbiamo rispettati. Avevamo promesso una riforma della cooperazione,… abbiamo avuto una legislatura, il centro sinistra, e non l’abbiamo portata a casa. Allora la domanda è: primo, dove intende trovare le risorse per arrivare allo 0,7%? Secondo, lei crede politicamente che la coalizione che lei oggi presiede le darà la possibilità di portare a casa una riforma che anni fa non abbiamo ottenuto? Terzo, forse la cosa più importante, qual è il suo “perché” a tutto questo? Grazie.
Romano Prodi
Perché non è successo? Perché si sono avute altre priorità. E perché io ho detto prima “voglio un’Agenzia”? Semplicemente perché non succeda quello che succede in ogni Parlamento e in ogni Governo, che di fronte al fatto che tu hai dieci persone che protestano per un sussidio a un settore o a un problema specifico, li togli dalla cooperazione perché nessuno protesta. E’ tutto qua. Io voglio un’Agenzia con un bilancio fisso e separato, perché è l’unica difesa che tu puoi attuare per delle risorse destinate a delle persone che non sono dei tuoi elettori, …perché la politica ha delle sue logiche.
Allora se c’è un impegno… guardate che il giorno in cui, se sarò chiamato a governare, io dovessi dire “No, levo i soldi per questa autostrada perché li voglio tenere – faccio un esempio qualsiasi – io dal punto di vista politico ci rimetto, perché non c’ho mica nessuno che difende lo 0,7%. Siete in pochi sapete,… tanto per essere chiari, dal punto di vista politico, facciamo le analisi serie, come Dio comanda,… se non ci fosse questo problema i paesi avrebbero tutti rispettato lo 0, 7%, non lo hanno fatto perché hanno dato delle priorità di politica interna.
Allora il mio discorso sull’Agenzia -che potrebbe essere anche un Ministero, ripeto, per ora ho più in testa l’idea dell’agenzia- è questo: si mette in budget e in budget rimane. Tutto qua. La democrazia è fatta del rispetto onesto degli impegni che devono essere messi al sicuro perché se no, ogni nuovo evento toglie risorse a questi impegni presi.
Dove prendere i soldi? Questo evidentemente dipenderà dalle condizioni in cui sarà il bilancio dello Stato al momento del passaggio. Oggi ho detto che c’è questo impegno, poi ci sarà un problema di politica generale, collocarlo nella compatibilità di bilancio, ma il passaggio da 0, 17% che è oggi, da 0, 7% , quasi un rovesciamento di termini, deve avvenire nel rispetto dell’impegno preso.
Giovanni Floris
Presidente, pensiamo al confronto con la situazione realistica in cui si verrà a trovare: nel 2001 il ministro del Tesoro nuovo, dopo la campagna elettorale, dichiarò di aver incontrato un buco nei conti di bilancio di cui non si era reso conto prima.
Romano Prodi
Poi non l’ha più ripetuto questo,… ma insomma…
Giovanni Floris
Dice la Presidente Lorenzetti: “quello che troveremo noi sarà drammatico!” Le chiedo: ci sarà un’operazione del candidato premier del centro sinistra, a dire prima quali sono le condizioni in cui ci si troverà a governare dopo? Tenuto conto di quello che è possibile sapere e con i mezzi con cui ci si può confrontare ora; però dire, prima di arrivare al governo, “io penso che ci sarà un vincolo legato alla mancanza di “tot” e mi troverò quindi a far fronte con questo”? E’ possibile immaginarlo?
Romano Prodi
E’ doveroso… ma anche un’eredità uno la verifica col beneficio dell’ inventario. Io credo che analizzeremo com’è la situazione e faremo realisticamente una previsione precisa di quello che si può spendere e di quello che non si può spendere. Voglio dire che non ci sarà quello che veniva chiamato un tempo “la politica dei due tempi”, cioè prima il risanamento del bilancio e poi il rilancio dell’economia, perché non c’è spazio per questo. La situazione del bilancio si è così deteriorata che o noi rilanciamo l’economia o non riusciamo neanche a risanare il bilancio.
Giovanni Floris
Sergio Marelli e Raffaella Chiodo, pongono il problema della cancellazione del debito da due punti di vista; prima Sergio Marelli, poi Raffaella Chiodo.
Sergio Marelli
Presidente, io vorrei mettere in luce il problema delle coerenze. La sua esperienza di Presidente della Commissione Europea le ha certamente dimostrato la potenza di un altro strumento della politica estera che è la politica commerciale.
Noi pensiamo ci sia un problema di coerenza dal punto di vista istituzionale: nel nostro paese il viceministro del commercio con l’estero sta sotto le attività produttive, mentre appunto ha un’incidenza fortissima sulla politica estera nazionale del nostro paese. A livello internazionale è la stessa cosa: l’Organizzazione Mondiale del Commercio sta per gli affari suoi, non risponde minimamente alle Nazioni Unite, addirittura è l’unica istituzione internazionale che non si è neppure posta gli Obiettivi del Millennio come propria finalità.
Il commercio è un’arma potentissima di politica estera… nonostante questo ci sembra di continuare a sentire, anche se con sfumature diverse, che la ricetta continui ad essere quella della liberalizzazione del commercio e della liberalizzazione della concorrenza. A noi, cinquant’anni di storia, vissuta come Ong nei paesi del Sud del mondo, ci dicono che questa non è una politica vincente. La liberalizzazione continua ad aumentare il problema della povertà, non sta producendo quei risultati che continuano ad essere avocati come le motivazioni per cui si vuole liberalizzare. Forse perché 2500 miliardi di debito gravano sui paesi del sud del mondo, forse perché la nostra politica commerciale europea e quindi italiana è doppata con i sussidi interni, è doppata dai sussidi alle esportazioni.
Il vertice di Hong Kong di dicembre -lei lo sa- rischia di fallire perché c’è un impegno preso di calendarizzare la fine dei sussidi all’export. Lei ha detto prima che l’impegno sarà quello di mantenere gli impegni presi a livello internazionale: quando finiranno questi sussidi?
Ma c’è un’ulteriore impegno da prendere che è quello di ridurre i sussidi, la droga alle nostre agricolture interne all’Unione Europea. Perché altrimenti non si è coerenti nemmeno dentro la teoria della liberalizzazione del commercio, perché si impone la liberalizzazione al Sud e noi continuiamo ad agire da grandi protezionisti.
Giovanni Floris
Dovendoci anche confrontare poi con le manifestazioni degli agricoltori
Romano Prodi
Io divido la risposta in due parti. Non sono d’accordo con lei sul problema della liberalizzazione, assolutamente. Ritengo che riorganizzare in modo autarchico l’economia mondiale sarebbe una tragedia.
In questo momento abbiamo quasi tre miliardi di persone che non muoiono più di fame. Abbiamo una parte del mondo tragicamente indietro, ma quasi metà del mondo, l’Asia, si è svegliata per effetto di queste regole del commercio e questo non può che essere considerato un fatto positivo,… noi tutti abbiamo passato la nostra vita sperando che questi fenomeni avvenissero. Io quindi, non rifiuto la globalizzazione, anzi,… il problema è gestirla.
Sulla seconda parte io accedo invece a molte delle sue obbiezioni, e debbo dire onestamente che passi in avanti nella Commissione Europea li abbiamo fatti quando abbiamo preso una grossa decisione: abbiamo diminuito gli incentivi all’esportazione. Io mi sono impuntato sul cotone perché trovo ridicolo, assurdo che l’Europa produca cotone. Noi stiamo dando sussidi al cotone per quattro produttori, rovinando tutta l’Africa sub-sahariana. Il problema non è che noi produciamo cotone ma che con questa idiozia abbiamo dato agli Stati Uniti la giustificazione per aiutare le proprie esportazioni, …loro il cotone lo producono davvero,… e allora proprio è anche essere fessi.
Ma vede, mentre sui sussidi all’esportazione sono d’accordo, un altro discorso vale per i sussidi all’agricoltura. Cosa abbiamo fatto noi? Ci sono due problemi reali contrastanti: primo, ci sono gli agricoltori che se lasciati senza un aiuto vedono il loro reddito andare a zero e le campagne totalmente abbandonate e io… vorrei vedere i paesi europei con le campagne abbandonate! Noi abbiano preso una decisione coraggiosa, che mi sembra intelligente, cioè… diamo lo stesso sussidio agli agricoltori non per la quantità di roba che producono ma in quanto sono agricoltori e svolgono una funzione di utilità sociale. A me sembra che questo sia già un grande compromesso, un grande passo in avanti e credo che dobbiamo procedere in questa direzione: togliere del tutto gli incentivi all’esportazione e, successivamente, adattare i prezzi interni a quelli internazionali di modo da lasciare la possibilità di commercio agli altri paesi.
Credo che abbandonare l’agricoltura in modo immediato e completo sia politicamente irrealistico e anche sbagliato perché mi piacerebbe vedere i colli umbri senza agricoltura. Cosa succede all’Umbria senza agricoltura? Allora dico io: non ti do più il sussidio perché tu produca di più, ma di do il sussidio perché sei lì a proteggere il suolo,… questo mi sembra un passaggio politico già molto importante. Dunque procediamo in questa direzione, affrettiamoci e andiamo avanti.
Naturalmente so benissimo che sto dicendo una cosa che non è interamente vera,… perché abbiamo ancora delle protezioni e perché abbiamo anche degli aiuti a produzioni assolutamente standard che potrebbero essere fatte in qualsiasi parte del mondo con più efficienza e quindi abbiamo ancora un livello di protezione nostro,… però quello che voglio dire è che passi in avanti noi li abbiamo fatti. Stiamo partendo da una situazione di protezione eccessiva, siamo ancora indietro, dobbiamo andare avanti in questa direzione, ma io non me la sento di dire che, in caso di governo, io abbandono qualsiasi aiuto all’agricoltura, perché vorrebbe dire lo sfascio del territorio nazionale.
Giovanni Floris
Raffaella Chiodo e poi si prepari Titti di Salvo.
Raffaella Chiodo
Anch’io registro ovviamente positivamente l’impegno sullo 0,7, però vorrei una risposta ed un impegno in più. Molti sanno che in Italia abbiamo la legge 209 che disciplina la cancellazione del debito: l’unica al mondo nel suo genere e quindi un fiore all’occhiello del nostro paese. Però il governo Berlusconi ne ha cancellato solo poco più di un terzo di quanto non era stato definito dalla legge. La legge non è stata applicata, è stata aggirata facendo diversi danni. Per farmi capire, nel famoso dato che lei ha citato…
Romano Prodi
Li ha messi nell’aiuto,… ha messo la revisione del debito nell’aiuto ai paesi poveri…
Raffaella Chiodo
Esattamente. Io direi che il suo dato era già troppo ottimistico. Invece dello 0,17, in realtà noi registriamo ormai uno 0,13 e la realtà di questo 0,13 è che calcolando le cancellazioni del debito che sono state applicate arriviamo allo 0,02, 0,03 che è veramente una miseria e una vergogna. Tutti noi sappiamo, inoltre, che la cancellazione del debito non è una risorsa fresca che viene messa a disposizione dei paesi in così detta via di sviluppo ma è una pura cancellazione di carta.
Si tratta in ogni caso di una questione molto importante perché c’è un problema di giustizia alla base della legge 209. Quindi prima di tutto chiedo a lei l’impegno che sia un pieno 0,7 %.
La seconda rapidissima domanda è questa. Sulla base dei dati della Banca Mondiale e del Fondo Monetario sappiamo bene che di fatto è in atto un piano Marshall da parte dei paesi del Sud del mondo verso il Nord. I dati ci dicono che il volume di aiuti che vengono dati dal Nord ricco e sviluppato ai paesi in cosìdetta “via di sviluppo” è decisamente inferiore rispetto al volume dei debiti che vengono pagati da questi paesi al Nord.
Nelle scorse settimane, Berlusconi ha proposto agli italiani la cancellazione di tasse per sei Euro al mese per famiglia. Sappiamo quanto potrebbe servire sei euro ad una famiglia mozambicana: significherebbe comprare farmaci, andare a scuola e tante altre cose. Dunque le chiedo, qual’è la sua proposta per trovare i fondi e finanziare la lotta alla povertà? C’è un dibattito in corso nel pianeta sulle tasse globali, sulla Tobin Tax e tante altre cose… su tutto questo mi piacerebbe conoscere i suoi impegni.
Romano Prodi
Sulla Tobin Tax anche tra i governanti non ci sono delle opposizioni. Alla fine, la si potrebbe anche accettare. Qual è, però, il problema della Tobin Tax? O viene applicata dappertutto oppure non serve a niente. Questo è il dramma della Tobin Tax.
Io credo che la via di una tassa a livello mondiale sia politicamente complessa. Vi posso assicurare che la reazione alla proposta di Chirac di mettere una tassa sui carburanti aerei fu negativa e oggi sarebbe improponibile visto il prezzo dei carburanti.
Io credo molto di più nell’impegno all’aiuto diretto che non a queste forme di tassazione che poi hanno sempre una zona franca che impedisce un vero controllo. Però, dal punto di vista intellettuale e politico io, non solo non ho nulla in contrario, ma ritengo che sarebbe anche utile per frenare un certo tipo di contrattazioni vorticose. Non ho ancora trovato uno strumento tecnico per poterla applicare, ma le posso assicurare che qualora ci fosse un minimo di garanzie, io mi dedicherei a questo.
Ho dedicato troppo tempo nella Commissione Europea per cercare di mettere in ordine i paradisi fiscali e onestamente abbiamo avuto risultati estremamente miserevoli e diluiti nel tempo. Per poter giungere ad accordi con la Svizzera o con il Lussemburgo siamo diventati matti e gli accordi sono risultati poi di scarsa importanza pratica. Questa è la onesta risposta che le do.
Giovanni Floris
La domanda conclusiva è di Titti Di Salvo, Segretario confederale della CGIL.
Titti Di Salvo
Molte imprese e molti governi in Italia, in Europa e nel mondo hanno scelto il lavoro e lo stato sociale come terreno su cui agire per sostenere la competizione internazionale. La conseguenza è stata la riduzione dei diritti sociali e del lavoro nel Nord ricco e il non riconoscimento di quei diritti nel Sud povero. Complessivamente sta aumentando la distanza tra Nord e Sud del mondo e sta aumentando la distanza sociale nelle società ricche: basti pensare all’Italia, all’andamento dei consumi, …aumentano i consumi di lusso, diminuiscono i consumi elementari ecc… ecc…
Le domande che questa fotografia propone possono essere di diverso genere: possono essere domande di politica interna, ma io le voglio fare due domande che hanno invece più attinenza con la politica estera e commerciale. La prima: è possibile pensare ad un ruolo del governo italiano presso l’Unione Europea tale per cui ci si presenti in sede di Organizzazione Mondiale del Commercio chiedendo che le relazioni commerciali siano vincolate al rispetto delle norme fondamentali del lavoro quindi libertà di sindacato, divieto di lavoro minorile,…
Mi rendo conto che questa richiesta se isolata può essere vissuta dai paesi poveri come protezionismo dei ricchi su se stessi e che bisogna associare per esempio al divieto di lavoro minorile, il lavoro per i padri e madri di quei bambini che non si vuole mandare a lavorare,… però il tema esiste e io penso che su questo ci vuole un ruolo importante del governo italiano.
Seconda domanda: molti prodotti che arrivano dai mercati internazionali (non solo le magliette e le scarpe ma anche queste,.. le produzioni del tessile,…) nei nostri mercati con dei prezzi bassissimi, fortemente competitivi si dice, hanno alle spalle, molto spesso, lavoro senza diritti. Molto spesso c’è addirittura la schiavitù, il lavoro forzato che peraltro è vietato dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro.
Bene, se è vero che gli investimenti che presiedono alla produzione di quelle merci (il governo italiano attuale dice che le cifre sono dell’80%) arrivano sulla base di investimenti di imprese europee e italiane, statunitensi e giapponesi, è possibile pensare ad un ruolo del futuro governo che sostenga sì le imprese che vogliono insediarsi fuori dal paese ma chiedendo a quelle imprese, come condizione, il rispetto dei diritti fondamentali, una cultura del lavoro degna di questo nome,… cioè il modello sociale europeo, la riconferma anche fuori dall’Europa del modello sociale europeo.
Finisco con una battuta dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro che, nel suo recente rapporto sulla dimensione sociale della globalizzazione, dice: ”Ma qual è il senso di una globalizzazione che abbassa il prezzo delle scarpe di un bambino se suo padre – o aggiungo io, sua madre – perde il posto di lavoro?”.
E’ una domanda complicata. Le risposte possono essere tante ma io penso che un governo di centro-sinistra ha il dovere di dare delle risposte per impedire che le fragilità e le incertezze della globalizzazione si possano tradurre nel rifiuto della globalizzazione. Io penso che i referendum in Francia e in Olanda nascondono tante incertezze, tante paure come la paura che non ci sia più il modello sociale europeo. Poiché la mia organizzazione,… il sindacato italiano è fortemente europeista è vuole l’Europa di pace e di progresso che l’onorevole Prodi citava prima, io penso che questo sia un problema importante a cui dare risposta.
Giovanni Floris
Come confrontarsi con la concorrenza che non rispetta i diritti come li rispettiamo noi?
Romano Prodi
Io credo che il modo problematico e serio con cui ha posto la domanda determini la mia risposta. Strumenti grandi non ne abbiamo per far quello che lei mi chiede. Abbiamo la possibilità di una strumentazione che vada avanti in modo progressivo ma, soprattutto, siamo fortemente limitati da due fatti che hanno una importanza politica enorme: primo è che le condizioni di lavoro vengono determinate dai governi dei paesi in cui le produzioni avvengono, per cui noi dobbiamo esercitare pressione su questi governi, sul rispetto di regole fondamentali -e su questo solo un’azione coordinata a livello europeo anzi ci vorrebbe a livello EuropaStati Uniti ma già una azione coordinata a livello europeo ha una sua efficacia.
Poi abbiamo una situazione insidiosissima dovuta al fatto che molta parte di queste produzioni sono delle multinazionali che hanno base in Europa che producono in quei paesi e che quindi giocano in modo del tutto contrario facendo pressione sui governi perché questo non avvenga.
Quello che avvenuto recentemente nel caso del tessile cinese è di un interesse enorme. Si è concordato un certo limite alle importazioni. Tutti d’accordo a livello europeo. Quando poi le merci sono state fermate alla dogana ci si è accorti che erano tutte merci di imprese europee che producevano la e ritornavano in Europa. Quindi il problema non è soltanto quello dei governi ma è un problema del comportamento delle nostre multinazionali e… dunque, ancora una volta, questo è un discorso da fare a livello continentale.
Io credo che almeno su alcuni aspetti parziali noi possiamo avere risultati. Penso ad un cammino progressivo perché ho in testa anche la storia italiana in cui, trenta, quaranta anni fa c’era l’accusa di utilizzare bassi salari e condizioni di lavoro eccessive per fare dumping nei mercati tedeschi o nei mercati francesi. Poi si è istaurato un cammino progressivo per cui il mercato del lavoro si è rapidamente adeguato. Dunque, un’azione come quella che dice lei può essere fatta con i limiti della progressività. Il mondo ha tutte le caratteristiche, i drammi che abbiamo visto oggi e dobbiamo lavorare per risolverli ma ricordiamoci anche che quello che sta accadendo in Asia è il più grande mutamento della società mondiale che si sia mai verificato nell’umanità e questo cambierà davvero anche molti dei discorsi che stiamo facendo oggi.
Perché, ripeto, c’è un blocco di oltre due miliardi di persone (se lo estendiamo arriva quasi a tre) che sta sconvolgendo la vita mondiale e che fra quindici anni non di più, vent’anni, se i rapporti monetari andranno come io prevedo,… la Cina avrà un prodotto nazionale lordo più alto degli Stati Uniti, i cinesi singolarmente saranno ancora più poveri ma avrà la Cina un prodotto nazionale lordo numero uno al mondo nello spazio di meno di una generazione e questo è uno sconvolgimento enorme di tutte le nostre teste e di tutta la nostra concezione del mondo.
Grazie.
Giovanni Floris
Allora: grazie davvero, grazie al Presidente Prodi, grazie a Flavio Lotti, grazie a tutti voi. Siamo riusciti a parlare in un’ora e mezza di politica estera, di politica economica, di politica internazionale e di politica interna. Grazie anche a Terni che ci ha seguito fino ad ora. E io torno a dare la parola a Flavio Lotti.
Flavio Lotti
So che siamo abbastanza stanchi per l’intensità dei lavori,… sono tre ore e mezza che lavoriamo in questa sala,.. ma, a conclusione di questo incontro, vorrei chiedere al Presidente Romano Prodi tre cose: la prima è l’impegno collettivo ad iscrivere tutti questi temi nel programma della coalizione che si candida a cambiare questo paese; il secondo è che si apra il cantiere del programma alla società civile e alle istituzioni locali -vi siete dati una scadenza (dicembre), vi chiediamo che non sia un percorso chiuso, che ci siano altre occasioni, altre tappe, un percorso; ed infine la terza è che questo programma non sia fatto di genericità ma di cose concrete, di fatti, di quei fatti che potremmo utilizzare per riprendere un cammino di riconciliazione dell’Italia con il mondo.
Romano Prodi
Allora una parola sola. Mi si chiede di scrivere gli impegni nel programma, di aprire alla società civile, di spiegare,… e non mi si chiede la cosa più importante: di metterli in pratica. E io prometto che li metterò in pratica. Grazie
Flavio Lotti
Grazie. Anche noi abbiamo imparato la filosofia dei piccoli passi. Adesso pensiamo da qui a Dicembre, poi… andremo avanti. Grazie ancora e grazie anche a tutti gli amici che ci hanno raggiunto da tutto il mondo.
Vogliamo concludere questo incontro con un piccolo gesto. Signor Presidente, abbiamo con noi una bambina. Come ti chiami?
Risposta: Raffaella.
E che cosa vuoi fare tu?
Risposta: Voglio dargli questi regali.
Ecco, Signor Presidente, questi regali hanno tutti un significato e io credo che valga la pena di citarli uno per uno.
Questa è una fascia bianca che invitiamo il presidente a portare durante tutti i prossimi mesi, perché è il simbolo della lotta alla povertà che deve essere messa al primo posto dell’impegno politico. Questo è lo zainetto della pace che ci porteremo in spalla nel cammino da Perugia ad Assisi: contiene alcune cose essenziali, per esempio la Costituzione italiana che lei ha tanto spesso citato; la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani; alcuni prodotti del commercio equo e solidale; un pensiero di Aldo Capitini ed una preghiera di San Francesco. Questi, infine, sono gli scritti di Aldo Capitini sulla nonviolenza… perchè possano esserle di aiuto nel cammino che dovrà fare. Con tanti auguri da parte nostra.
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(*) I testi non sono stati rivisti dai relatori.
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