E il fucile entrò a scuola. Lezioni di guerra agli studenti


Francesco Merlo


“Esistono già le scuole, non certo comunali né regionali, nelle quali si insegna a sparare e a maneggiare bastoni e coltelli, ma anche a fingersi storpi o ciechi per impietosire la gente”.


CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+
E il fucile entrò a scuola. Lezioni di guerra agli studenti

Forse è arrivato il momento di ritirare a Ignazio La Russa quell’attestato di simpatia che gli conferì Fiorello trasformando in satira e ironia il fascista primordiale ossessionato dalla virilità, con il naso adunco e righignato, le nari larghe, la barbetta sotto il mento, le ciglia aspre come setole. Gli occhi come due palle di fuoco e l’ormai famosa voce, che è – “digiamolo” – fascismo rasposo più che buonumore rauco. In combutta con Maria Stella Gelmini, La Russa ha introdotto la pratica delle armi nelle scuole superiori. E’ un corso di guapperia militaresca, valido come credito formativo, che hanno chiamato “Allenamento alla vita” e dove l’insegnamento pratico delle tecniche di guerra, la divisione dei ragazzi in pattuglie, il caricamento dei fucili e le sedute nei poligoni di tiro stanno insieme ad altre discipline belle, giuste e già obbligatorie nelle scuole anglosassoni, come per esempio la sopravvivenza, il nuoto, il primo soccorso e le tecniche di salvataggio. E’ dunque evidente il tentativo di nascondere le ortiche in un mazzo di fiori, ma il risultato finale è quello, opposto, di nascondere i fiori ed esaltare le ortiche, vale a dire lo spirito guerriero come valore educativo.
E’ chiaro che nessun La Russa e nessuna Gelmini riusciranno a risvegliare negli italiani la retorica degli otto milioni di baionette ed è molto probabile che non è questo che i due ministri vogliono. Insomma non è il fascismo che li anima. E’ però una caricatura di “libro e moschetto” questa idea che la scuola debba insegnare a sparare ed è l’ennesima prova che troppo presto e con troppa benevolenza abbiamo liquidato Ignazio La Russa come pittoresco quando concesse le Frecce Tricolori al circo di Gheddafi, o quando si fece riprendere in tuta mimetica negli avamposti afgani, o ancora quando cercò di picchiare, con le sue manone ministeriali, un giornalista che “disturbava” la conferenza stampa di Berlusconi. O, andando a ritroso, quando fu sorpreso (e registrato) da un cronista del Tempo in un bar di Roma, mentre con Gasparri e Matteoli sfogava la sua arcaica e cameratesca virilità in un turpiloquio irripetibile, a conferma di un rapporto losco con il sesso, rude, crudo, diretto, strumentale e fascista. La verità è che del fascismo nostalgico La Russa conserva la vocazione per la pagliacciata delle parate, il salto dentro il cerchio di fuoco di Storace, e da ministro della Difesa scambia i militari con i militaristi, l’esercito moderno che sa fare la guerra perché vorrebbe abolirla con i Rambo e con la maschia gioventù della sua sottocultura, i cittadini guerrieri che sanno tutto di fucili, coltelli, polvere pirica, cartucce, tute mimetiche e stivaloni.
Nelle scuole tedesche e in quelle inglesi, a Chicago come a Parigi, a Stoccarda come a Londra e anche a Torino, per non parlare di certi istituti dei quartieri caldi delle città italiane del Sud, circolano troppe pistole e coltelli, e ci sono ragazzi che sparano con il fucile dal balcone di casa, altri ancora che massacrano i loro coetanei. Insomma sempre più si diffonde, anche in Italia, l’uso delle armi da gioco e da difesa, armi da caccia e armi contro l’insicurezza, armi di paura, armi per diventare eroi, armi per diventare delinquenti. Sembra dunque incredibile che la ministra Gelmini pensi davvero che imparare a sparare permetta “di avvicinare, in modo innovativo e coinvolgente, il mondo della scuola alle forze armate, alla protezione civile, alla Croce rossa e ai gruppi volontari di soccorso”. E’ vero il contrario: per educare e per allenare alla vita, la scuola dovrebbe, fra le altre cose, smontare la cultura delle armi e insegnare a vivere con compostezza, perché i fucili, le pistole e le pallottole prima o poi trovano un nemico da abbattere: “Se al primo atto il fucile è appeso al muro, al terzo sicuramente sparerà”.
Perché non insegnare allora la speciale camminata del protettore di strada, l’uso della mezza parola e dei baffoni a cespuglio o magari la loro variante padana, vale a dire il dito medio di Bossi che è come il ciuffo manzoniano, quello dei bravi? Le armi a scuola sono roba da Antistato, da picciotti appunto. La Gelmini è la loro nuova eroina se non altro perché in questo modo dimostra ai picciotti che tutto è professionale e tutto si può insegnare, anche l’accattonaggio. Esistono già le scuole, non certo comunali né regionali, nelle quali si insegna a sparare e a maneggiare bastoni e coltelli, ma anche a fingersi storpi o ciechi per impietosire la gente. E come tutti capiscono, ci vuole professionalità e tecnica anche per rubare motorini.
Come dicevamo all’inizio, facendo la caricatura dell’uomo delle caverne, Fiorello offrì a La Russa un passaporto per la simpatia. Ed è probabile che davvero a La Russa riuscì di prendere le distanze da quel se stesso che Fiorello così bene strapazzava. Ma desso che il potere ce lo ha restituito al naturale, il brutto anatroccolo è ridiventato brutto anatroccolo. Ha perso la dignità umoristica ed è ritornato ad incarnare lo stereotipo, ridicolo ma non più simpatico, del fascista violento fuori dal tempo e fuori dal mondo. E gli si affianca la Gelmini che con cinica crudezza e con indecenza getta nella scuola – spazzatura tutte le ossessioni dei ministri del governo Berlusconi: i tagli di Tremonti, i fannulloni di Brunetta, i razzismi della Lega, il rancore verso i sindacati e il sessantotto, e ora l’arditismo del ministro della Difesa. Come ultima scelleratezza la Gelmini “addottora” infatti le armi e i miti primordiali di La Russa: appalta la scuola al selvaggio di destra con il totem della virilità.

Fonte: La Repubblica

24 settembre 2010

CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+

Lascia un commento