Domani 26 giugno dovrebbe terminare il processo di Aung San Suu Kyi


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FreeBurmaItaly fa il punto della situazione: domani la sentenza, inizialmente prevista per il 12 giugno è stata già rimandata più volte; se ritenuta colpevole, la leader del partito democratico potrebbe essere condannata fino a cinque anni di reclusione.


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Domani 26 giugno dovrebbe terminare il processo di Aung San Suu Kyi

La sentenza, inizialmente prevista per il 12 giugno è stata già rimandata più volte;  se ritenuta colpevole, la leader del partito democratico potrebbe essere condannata fino a  cinque anni di reclusione.
La “signora” è stata arrestata il 14 maggio scorso insieme alle sue due donne di compagnia con l’incriminazione di aver violato le leggi di sicurezza birmane ricevendo la visita di John William Yettaw, un cittadino americano che si è recato nella sua abitazione attraversando a  nuoto il lago che la fronteggia. L’ accusa  è di aver violato la sezione 22 del “State Protection Act”, che prevede che “qualsiasi persona che sconta una pena e che resiste, si oppone, disobbedisce agli ordini di questa legge sarà punibile con l’incarceramento dai tre ai cinque anni o con una multa di 5OOO kyat, o con entrambi i provvedimenti”.
Con le stesse motivazioni saranno processati anche il cittadino americano e il medico di Aung San, anche lui entrato in contatto con l’ospite intruso.

Conoscendo il comportamento usuale del regime birmano sono forti  i sospetti circa la veridicità di questa vicenda. Alcune fonti denunciano infatti che si tratterebbe solo di una messa in scena delle autorità per incolpare la leader del partito democratico: gli arresti domiciliari della Suu Kyi sarebbero scaduti il 27 di maggio, e tale episodio fornirebbe una scusa perfetta al regime per mantenere, e anche inasprire, le sue condizioni di detenzione, impedendole di presentarsi alle elezioni del prossimo anno. Le libere elezioni, indette per il 2010 come promessa di buona condotta alla comunità internazionale, sono infatti ormai alle porte, e i militari non vogliono correre il rischio di perderle come nel 1992, quando in seguito alla stragrande vittoria del partito democratico, la giunta si vide costretta a riprendere il potere con la forza attirando su di se aspre condanne da gran parte della comunità internazionale.
Dure reazioni dai quattro angoli del pianeta sono però sopraggiunte anche anche rispetto a questo processo tanto che  i militari sono  stati costretti ad acconsentire che  alcuni delegati internazionali assistessero alla prima udienza. Apertura che ben presto si è chiusa, non appena è calato il consueto silenzio sulla vicenda consentendo al regime di imporre la propria volontà sulla legge.
La commissione legale delle Nazioni Unite ha pubblicato un rapporto nel quale denuncia le irregolarità di procedure nel processo in cui sussistono gravi violazioni ai diritti umani per il fatto che non si stia  svolgendo in modo aperto e libero;  il ministro degli esteri dell’Unione Europea Carl Bildt ha affermato che la Cina, l’India e gli altri paesi asiatici dovrebbero fare delle pressioni sul regime birmano per il rilascio della leader Aung San Suu Kyi.
Il presidente degli Stati Uniti  Obama ha esteso le sanzioni economiche, che dovevano cessare il 19 maggio, per un altro anno. Il primo ministro britannico Gordon Brown ha annunciato l’inasprimento delle sanzioni da parte del Regno Unito.
L’ASEAN, l’associazione delle nazioni del sud-est asiatico, ha espresso in un rapporto la sua “grave preoccupazione” a proposito della situazione, gesto inconsueto da parte di un gruppo che ha per abitudine di non interferire nella giurisdizione interna dei suoi stati membri. La Birmania ha infatti risposto rigettando le affermazioni dell’ASEAN e il suo rapporto, e ha accusato la Tailandia, attuale presidente del gruppo, di ingerenza nei propri affari.
Il processo è iniziato il 26 maggio in una corte speciale per i dissidenti politici nella prigione di Insein .
Sin dall’inizio Aung San Suu Kyi si è dichiarata innocente ed ha spiegato di non avere informato le guardie di sicurezza dell’accaduto per paura di mettere in pericolo Yettaw.
Negli scorsi giorni  in una conferenza stampa il ministro della difesa Myint ha detto che "i colpevoli devono essere giudicati se non si vuole arrivare all'anarchia". Purtroppo l’utilizzo della parola colpevole già prima del verdetto, in un paese dove il sistema giudiziario è asservito al potere militare, lascia ben poche speranze sul futuro della “signora”.
Poche speranze anche se la settimana scorsa la Corte Suprema ha  accolto la richiesta degli avvocati di Aung San Suu Kyi di ascoltare  due dei quattro testimoni che la difesa aveva proposto: Tin Oo – vicepresidente del NLD, il partito democratico di cui Aung San Suu Kyi è capo – e Win Tin. un attivista politico, rilasciato l’anno scorso dopo una  lunga detenzione
Poche speranze sebbene la pressione internazionale a cui il regime deve fare fronte abbia provocato un allungamento dei  tempi e forse la sentenza verrà ulteriormente rimandata; poche speranze sebbene  oggi sia  prevista una  visita dell’Inviato speciale dell’ONU I. Gambari.

Il quotidiano online Mizzima News, da sempre portavoce e dell’opposizione democratica, ha infatti rivelato che Aung San Suu Kyi sarà quasi sicuramente condannata di nuovo agli arresti domiciliari.
Il giornale cita fonti anonime, vicine agli ambienti militari, secondo cui la nobel verrebbe  trasferita in una base militare nella periferia di Yangon.

Aung San Suu Kyi, che ha festeggiato in carcere il suo 64 compleanno lo scorso 19 giugno,  appare debole e pallida, e i suoi collaboratori continuano a lanciare allarmi sulle sue deteriorate condizioni di salute, che si aggraverebbero nel caso in cui dovesse affrontare nuovi anni di detenzione.

A lei e al suo coraggio mandiamo tutta la nostra solidarietà. Anche se le speranze sono poche, non c’è ragione di non sperare.

Per freeburmaitaly
Raffaella Tolicetti
Giulia Menegotto
25 giugno 2009

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è un'associazione nata per esprimere  solidarietà al popolo birmano, ed ha l’obiettivo di sensibilizzare l'opinione pubblica sulla causa birmana attraverso la diffusione di informazioni e la promozione di iniziative volte a denunciare le sempre più gravi violazioni dei diritti umani che avvengono nel paese.

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