Domande senza risposte
Piero Piraccini
"In questi giorni si sono viste candidature stravaganti perchè impensate… Nella stravaganza non c’è stato posto per una o più persone che si siano distinte perché in questi anni di guerre hanno detto e praticato la nonviolenza"
Ha detto Emanuele Fiano (PD), esponente di “Sinistra per Israele”: “voglio dirlo con la massima chiarezza ed onestà intellettuale. Per me, un bambino palestinese morto è una tragedia identica a quello di un bambino israeliano morto”. Come non concordare? Ma se in pochi giorni si registra l’uccisione da parte dell’esercito israeliano di diciassette bambini, tutti palestinesi, e quella tragedia si ripete diciassette volte? E se nell’arco di quattordici anni, i missili lanciati da parte di guerriglieri di Hamas su città di frontiera israeliane hanno ucciso due persone, mentre in risposta agli stessi missili, in pochi giorni, lo stesso esercito ha ucciso 119 palestinesi, in maggioranza civili non coinvolti in azioni di guerra? E se un muro alto dieci metri in costruzione da alcuni anni, sta dividendo famiglie e campi d’ulivi, villaggi e territori, separando infiniti luoghi una volta uniti mentre l’Alta Corte di Giustizia dell’Aja ha dichiarato l’illegittimità di quel muro? E se infine, a dire che i palestinesi sono vittime di una negazione di diritti umani, economici, politici e sociali è il coordinatore ONU nei Territori occupati da Israele, e che ciò che sta accadendo a Gaza (prigione per quasi un milione e mezzo di persone) è una vergogna per Israele, e a dirlo è la fondatrice di Peace Now, già ministro con Rabin e con Peres?
E se a fronte di tutto questo non si registra alcuna reazione di qualche efficacia da parte della comunità internazionale, che fare oltre che constatare che né Hamas né il governo israeliano -fatte le debite proporzioni di responsabilità- non raggiungeranno alcun obiettivo serio ricorrendo a politiche criminali che causano solo violenze e paura alle loro genti?
Ha titolato il quotidiano L’Unità in un articolo sul candidato repubblicano alle prossime elezioni presidenziali americane: “Mac Cain, torturato in Vietnam”. Dalla lettura del testo si apprende che ai tempi della guerra contro il Vietnam, Mac Cain era un pilota americano molto patriottico che aveva il compito di bombardare le postazioni “nemiche” ovvero villaggi di contadini che vivevano quasi in simbiosi con i guerriglieri vietcong. E che durante una di queste incursioni il suo aereo fu abbattuto da parte della contraerea vietnamita. L’articolo non cita quante incursioni avesse compiuto prima di essere abbattuto né quanti villaggi avesse contribuito, assieme ai suoi commilitoni, a distruggere, cioè quanti vietnamiti, vietcong o contadini, uomini o donne, vecchi o bambini, avesse ucciso col gas denominato agente orange o col napalm. Però ci dice che, catturato vivo e con le gambe spezzate, un vietcong gli infilzò un piede con la baionetta.
Non v’è dubbio: il dolore sarà stato tremendo. Ma se questa è stata tortura, e sicuramente lo è stata, come chiamare il “lavoro” che fino a quel momento il patriottico Mac Cain aveva svolto? E quella guerra, come la recente irachena, non era forse nata da una menzogna: l’incidente che gli USA avevano inventato accampando il fatto che una vedetta vietnamita aveva attaccato una nave da guerra americana nel golfo del Tonchino? Sorge spontanea la domanda conclusiva: quale scopo si è prefisso chi ha scritto quel titolo sì da mutare il ruolo della vittima con quello del carnefice?
La Banca d’Italia, organismo che la sa lunga sui bilanci delle famiglie italiane, ci ha mostrato che a partire dall’anno 2000 sono cresciuti di molto i redditi dei lavoratori autonomi, di moltissimo quelli dei dirigenti mentre quello degli operai è diminuito. Che le rendite finanziarie, ossia il semplice scambio di danaro senza produzione d’alcunchè, hanno consentito a molti investitori flussi annui di stratosferici miliardi di euro. A dimostrazione che le privatizzazioni ed il minor ruolo pubblico nell’economia, la moderazione salariale seguita all’accordo del ’93, la globalizzazione dell’economia e quindi la pressione sui lavoratori meno qualificati (se non ti va bene il contratto di lavoro, fa nulla: in Tunisia o in Romania ne trovo quanti voglio come te) hanno significato aumento delle rendite, distribuzione iniqua del prodotto, impoverimento dei settori meno protetti: i lavoratori che vivono del proprio lavoro. E, allora, se i salari degli operai italiani sono i più bassi d’Europa mentre i produttori di auto e di barche di lusso non riescono a star dietro alla domanda, che significato hanno le parole di Veltroni secondo cui se “aumenta la ricchezza ci sarà meno disuguaglianza”? Un po’ come dice Montezemolo (Luca, per Walter: lo dice l’Unità): aumenti di salari solo se sarà aumentata la produttività. Per poter vedere aumentato il salario non pochi lavoratori si sobbarcano ore di straordinario senza fine (era di 12 ore l’orario giornaliero degli operai bruciati della Thissen). Perché, dunque, chiedere loro di lavorare di più e produrre di più per poter guadagnare di più se la torta da spartire c’è già? Come cambiare una società ingiusta, problema cardine della sinistra del primo novecento, è follia pensarlo?
In questi giorni si sono viste candidature stravaganti perchè impensate (un partito –lo dice la parola stessa- è portatore degli interessi di una parte della società, non dell’intera, altrimenti sarebbe un’assemblea elettiva): persone distinte perchè figlie di, o ex presidenti di, o mogli di, ecc…
Nella stravaganza non c’è stato posto per una o più persone che si siano distinte perché in questi anni di guerre hanno detto e praticato la non violenza.
Che abbia trovato ragione la frase di Prodi: “Ma voi pacifisti non siete una massa critica che si può spendere elettoralmente. Quanti siete? 500?”