Una domanda alla politica
Piero Piraccini
In un sistema economico interdipendente, anche la politica deve esserlo! O è chiedere troppo?
Una domanda alla politica
Se, come si legge nei dizionari, per capitalismo s’intende quel sistema economico-sociale in cui i mezzi di produzione sono di proprietà privata e la classe dei capitalisti-proprietari è separata da quella dei lavoratori, allora si può dire che ormai, salvo poche eccezioni, ci siamo: il mondo è proprio questo.
E se a Davos, dove si è riunita il gotha della ricchezza mondiale, è emerso che quasi il 50% di quella ricchezza è in mano all’1% più ricco del pianeta, mentre metà della popolazione mondiale, la più povera, ne possiede lo 0,4 % ; e se 26 persone (26!) possiedono una ricchezza equivalente a quella di 3,8 miliardi di persone, allora si può concludere, senza tema di smentita, che la storia – quella di milioni di disperati che scappano dalle loro miserie comunque causate – è quella di sempre: l’immoralità è in quel sistema economico per il quale, sovvertendo la morale kantiana, l’essere umano è sempre un mezzo, mai un fine.
Perché la prosperità di quell’infima minoranza ha origine nella disperazione di un’immensa maggioranza che, nella vulgata che va per la maggiore, è descritta come quella che aggredisce (?) la grande muraglia messa a protezione di quella umanità che si compiace della ricchezza di cui dispone, mentre altri della stessa ricchezza sono vittime.
E la risposta del mondo “civilizzato” è da manuale: rinascita di movimenti fascistoidi nelle metropoli e nelle periferie, eserciti alle frontiere, muri in cemento armato o barriere di filo spinato, porti chiusi. (Blocchi navali, no per favore. Quelli sono consentiti solo dopo che si è dichiarato guerra ad un Paese).
E razzismo crescente in una popolazione resa succube dalla paura perché la propria identità soffre dell’identità dell’altro, da cui gli atti di neorazzismo verso persone di cui si disconoscono i diritti.
Quei diritti umani, più dichiarati che riconosciuti. Che siano, in molti casi, i poveri e gli emarginati quelli che più di altri si abbandonano a tali atti, non stupisca: sono proprio loro a subire i riflessi d’insicurezza causati dalla presenza di chi esprime la propria “diversità” con la propria pelle o il proprio linguaggio o la propria religione e, magari, ha la colpa di accettare lavori in stato di schiavitù competendo con l’altrui povertà. L’aggressività espressa rappresenta una risposta che scongiura la paura.
E se, come sosteneva il generale Eisenhower, che di guerra se ne intendeva, è bene vigilare contro la conquista di un’influenza ingiustificata da parte del complesso militare-industriale che può mettere in pericolo le nostre libertà, allora è bene porre attenzione alla decisione del presidente Trump di “sospendere” il Trattato Inf sulla cui base Reagan e Gorbaciov nel 1987 avevano concordato di eliminare i missili nucleari Pershing 2 (Usa) e SS-20 (Urss).
E sì che quel trattato diede inizio allo smantellamento della cosiddetta guerra fredda. Il motivo della decisione? La Russia di Putin avrebbe violato l’accordo, mentre in cambio gli Usa hanno (non: avrebbero) installato in Polonia e Romania rampe di lancio per missili a testata nucleare diretti verso la Russia. Fa niente se la stessa Russia ha poi proposto all’Assemblea generale dell’ONU la conferma del Trattato Inf: la proposta è stata respinta mentre l’Unione europea, quella che non riesce a darsi una politica di lungo respiro sull’immigrazione, autorizza l’installazione di nuovi missili nucleari Usa in Europa, Italia compresa, senza che il nostro Parlamento dica alcunché.
Così come nulla ha detto sulla mancata adesione dell’Italia alla risoluzione ONU di proibire le armi nucleari, il che – cosa non affatto trascurabile – ne avrebbe comportata la rimozione dal territorio nazionale.
E se è vero, com’è vero, che questo sistema economico che oramai pervade il mondo reale, è intrinsecamente perverso, e se è vero, come è altrettanto vero, che le cose del mondo sono interdipendenti, è possibile chiedere che i programmi politici di chi si candida a governare una città, una regione, una nazione (non fa differenza), ognuno in base alla propria sfera di competenza/influenza, di tale interdipendenza si facciano carico? O è chiedere troppo?
Piero Piraccini
18 febbraio 2019