Discriminazioni tra coloni e palestinesi in Cisgiordania


Michela Perathoner


Non é una novitá, ma nuovi dati ed esempi allarmanti, al centro di un rapporto pubblicato da Human Rights Watch, dimostrano con chiarezza la discriminazione perpetrata da Israele nei confronti della popolazione palestinese.


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Discriminazioni tra coloni e palestinesi in Cisgiordania

Jubbet al-Dhib é un piccolo villaggio- 160 residenti- sorto nel 1929 a sud di Betlemme, in Cisgiordania. Il paese in questione é spesso raggiungibile solo a piedi, perché l’unica strada di accesso é un sentiero non asfaltato di 1.5 chilometri. Jubbet al-Dhib non ha scuole, e i bambini devono raggiungere quelle situate nei villaggi vicini a piedi. Manca l’elettricitá, nonostante vi siano state in passato numerose richieste- tutte rigettate- di allacciamento al sistema israeliano.

Israele ha anche rifiutato un progetto finanziato da donatori internazionali, che avrebbe permesso l’installazione di lampioni stradali rigenerabili con la luce solare. Carne e latte, pertanto, devono essere consumati in giornata in quanto non vi é possibilitá di conservare gli alimenti in frigoriferi. Gli abitanti dipendono dall’uso di candele, lanterne e, quando possono permetterselo, di piccoli generatori di energia.

Semplice sottosviluppo? A circa 350 metri dal villaggio sorge la colonia ebraica di Sde Bar, fondata nel 1997. Le differenze tra le due realtá non sono di poco conto: una strada d’accesso asfaltata, innanzitutto, che garantisce ai 50 abitanti di essere collegati a Gerusalemme da una superstrada del valore di diversi milioni di dollari, la cosiddetta “Lieberman Road”. E poi una scuola superiore, situata all’interno dell’insediamento, che gli studenti di Jubbet al-Dhib, anche volendo, non potrebbero frequentare: le colonie sono, infatti, aree militari accessibili solo con speciali permessi. Sde Bar é un vero e proprio villaggio, con tutti i servizi e le comoditá garantiti dallo Stato di Israele ai propri cittadini, anche a quelli residenti in colonie in Cisgiordania.

Non é una novitá, ma nuovi dati ed esempi allarmanti, al centro di un rapporto pubblicato da Human Rights Watch, dimostrano con chiarezza la discriminazione perpetrata da Israele nei confronti della popolazione palestinese. “I bambini palestinesi che vivono in aree sotto controllo israeliano studiano a lume di candela, mentre vedono la luce elettrica attraverso le finestre dei coloni”, dichiara a tale proposito Carroll Bogert, vice-direttore esecutivo per le relazioni esterne di Human Rights Watch.

Il rapporto “Separati ed ineguali”, ultimo di una serie di documenti pubblicati dall’organizzazione per la tutela dei diritti umani sulla questione palestinese, identifica pratiche discriminatorie nei confronti dei residenti palestinesi rispetto alle politiche che vengono invece promosse per i coloni ebrei. Un sistema di leggi, regole e servizi distinto per i due gruppi che abitano la Cisgiordania: in poche parole, secondo Human Rights Watch le colonie fiorirebbero, mentre i palestinesi, sotto controllo israeliano, vivrebbero non solo separati e in maniera ineguale rispetto ai loro vicini, ma a volte anche vittime di sfratti dalle proprie terre e case.

“E’assurdo affermare che privare ragazzini palestinesi dell’accesso all’istruzione, all’acqua o all’elettricitá abbia qualcosa a che fare con la sicurezza”, spiega ancora Bogert. Perché il problema, come sempre, é la sicurezza, e le motivazioni indicate dal Governo israeliano qual’ora si parli di discriminazioni o trattamenti differenziati tra coloni e palestinesi residenti in Cisgiordania, vi vengono direttamente o indirettamente collegate.

Il rapporto, insomma, identifica pratiche discriminatorie che non avrebbero ragione di esistere neanche in base a questo genere di motivazioni. Come denunciato da Human Rights Watch, infatti, i palestinesi verrebbero trattati tutti come dei potenziali pericoli per la sicurezza pubblica, senza distinguere tra singoli individui che potrebbero rappresentare una minaccia effettiva e le altre persone appartenenti allo stesso gruppo etnico o nazionale. Atteggiamenti e politiche discriminatorie, insomma.

“I palestinesi vengono sistematicamente discriminati semplicemente sulla base della loro razza, etnia o origine nazionale, vengono privati di elettricitá, acqua, scuole e accesso alle strade, mentre i coloni ebrei che vi abitano affianco godono di tutti questi benefici garantiti dallo Stato”, ha dichiarato Bogert. Il risultato ottenuto dalle politiche discriminatorie di Israele, che secondo HRW renderebbero le comunitá praticamente inabitabili, sarebbe, insomma, quello di forzare i residenti ad abbandonare i loro paesi e villaggi.

Secondo l’analisi realizzata da Human Rights Watch sia nell’area C che a Gerusalemme Est, la gestione israeliana prevederebbe in entrambe le zone generosi benefici fiscali e di supporto a livello di infrastrutture nei confronti degli coloni ebrei, mentre le condizioni per i locali palestinesi sarebbero tutt’altro che vantaggiose. Carenza di servizi primari, penalizzazione della crescita demografica, esproprio di terre, difficoltá amministrative per l’ottenimento di ogni genere di permessi: vere e proprie violazioni dei diritti umani, in quanto si tratterebbe di discriminazioni effettuate solo ed esclusivamente sulla base di un’appartenenza razziale ed etnica. Tutte misure che, secondo quanto denunciato da Human Rights Watch, avrebbe limitato, negli ultimi anni, l’espansione delle comunitá palestinesi e peggiorato le condizioni di vita dei residenti.

Sull’altro fronte, quello delle colonie israeliane, invece, le politiche sarebbero tutte indirizzate a favorire l’espansione dei nuclei israeliani in terra palestinese. Il governo israeliano, secondo quanto dichiarato, garantirebbe numerosi incentivi ai coloni, inclusi i finanziamneti per le abitazioni, l’educazione e le infrastrutture. Tutto ció avrebbe portato alla rapida espansione e all’aumento degli insediamenti, la cui popolazione é aumentata da 241,500 abitanti nel 1992 a circa 490.000 nel 2010- é praticamente raddoppiata in meno di vent’anni.

“I politici israeliani combattono per garantire la delle loro colonie illegali, ma allo stesso tempo le comunitá storiche palestinesi, proibendo alle famiglie di espandersi nelle proprie case e rendendo le loro vite ”, denuncia Bogert.

La richiesta, presentata dall’organizzazione impegnata nella tutela dei diritti umani, é rivolta sopratutto alla comunitá internazionale, ed in particolar modo a quegli Stati che contribuiscono economicamente al mantenimento e all’espansione delle colonie. Gli Stati Uniti in prima linea, che ogni anno versano 2.75 bilioni di dollari a Israele. E poi l’Unione Europea, uno dei principali mercati di esporto per i prodotti provenienti dalle colonie, che dovrebbe verificare la non applicazione di tariffe preferenziali perlomeno in quei casi ove la produzione é collegata a trattamenti discriminatori nei confronti dei palestinesi.

Fonte: www.unimondo.org
27 Dicembre 2010

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