Diritti Umani, l’impresa più alta della modernità
Piero Piraccini
Figuratevi un enorme salone che vi pone a tu per tu con la cattedra da cui Galileo Galilei insegnava ai suoi studenti: una scalinata in legno che porta a una sorta di pulpito alto due metri sul pavimento. E poi entrate nell’Aula Magna, di una bellezza indicibile, le pareti rivestite da stemmi a mostrare secoli […]
Figuratevi un enorme salone che vi pone a tu per tu con la cattedra da cui Galileo Galilei insegnava ai suoi studenti: una scalinata in legno che porta a una sorta di pulpito alto due metri sul pavimento. E poi entrate nell’Aula Magna, di una bellezza indicibile, le pareti rivestite da stemmi a mostrare secoli di storia, là dove lo stesso Galileo teneva le sue lezioni e in cui, oggi, sono esposte due immagini simbolo della giornata che, a Padova, dà l’avvio ai 70 anni della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: l’immagine su fondo giallo, a ricordo del sacrificio di Giulio Regeni, che riporta le parole “ Tutti gli esseri umani nascono Liberi e Uguali in Dignità e Diritti e devono agire gli uni verso gli altri in Spirito di Fratellanza”, e la bandiera della pace perché è compito della politica attuare quei diritti e la pace è un prodotto della politica.
E v’incontrate con persone delle istituzioni e del mondo accademico, scuole e società civile. E il ministro Valeria Fedeli. Tutti lì raccolti – a volte in contrasto con se stessi: esaltare il ruolo della scuola per una cultura di pace mentre l’export di armi procede a gonfie vele – per affermare che il mondo non ha tanto bisogno di denunce, ma di assunzione di responsabilità, perché i Diritti Umani non sono il frutto di un contratto sociale né sono stati attribuiti da qualcuno, perché sono innati e indivisibili, e pertanto devono essere protetti da norme giuridiche e resi effettivi, altrimenti la ribellione degli esclusi salirà fino al cielo e sarà un inferno.
Ed è responsabilità della politica rendere praticabili non solo le libertà fondamentali di parola, di coscienza, di religione, ma anche quei diritti che si vuole siano affidati al mercato: la sicurezza sociale, il lavoro giustamente remunerato, la tutela della maternità e dell’infanzia, l’istruzione.
Perché i diritti, ivi compreso quello di poter godere della pace, come recitano le Nazioni Unite dal dicembre dello scorso anno, non sono un’utopia ma vita reale, anzi costituiscono l’impresa più alta della modernità, l’identificazione di valori la cui perdita ha causato tragedie immani. Furono solennemente dichiarati nel 1948 come la Costituzione Italiana, tre anni dopo la Costituzione dell’Umanità: le Nazioni Unite.
Né si capisce un costituzionalismo di tal fatta se lo si separa dagli eventi che l’hanno generato: non un sogno, ma l’incubo di due guerre mondiali col loro corollario di morti. A milioni sulle terre della gran parte del mondo, a milioni ridotti a fumo nei camini dei campi di concentramento. Il 1945, infatti, ha costituito uno spartiacque per l’umanità, la fine di tre categorie che hanno fatto la storia dei 400 anni precedenti: la sovranità, un potere superiore a ogni altro potere (ma la nascita degli stati moderni ha posto il problema di come farli coesistere: se i sovrani sono tanti, chi è più sovrano di un altro?); la guerra.
Lo stato ha il diritto di farla perché è su essa che si fonda. (Per S. Agostino la guerra è necessità per i buoni e felicità per i malvagi, per Machiavelli è giusta se è necessaria); la disuguaglianza (la storia umana è stata sempre percorsa dal binomio padroni-schiavi, uomini-donne, bianchi-neri. La Costituzione americana è nata sull’assunto che un negro valeva i 3/5 di un bianco). Categorie che nella loro versione estrema hanno portato ai crimini di Auschwitz. (Ma padre Balducci ammoniva che a giudicarli, a Norimberga, furono i criminali di Hiroshima). L’ONU che ha sottratto la guerra alla disponibilità degli stati, la Costituzione Italiana che l’ha ripudiata, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che ha sancito l’uguaglianza: tre costituzioni che hanno disegnato un nuovo profilo per l’umanità e che la politica deve rivestire di contenuti. Perché “quel che il senso e l’esperienza ci dimostra, si deve anteporre a ogni discorso, ancorché fondato ne fosse” (Galileo). Perché le sofferenze di chi scappa dalle guerre e dalla fame – incarnazione di diritti negati – si traducono in uno sgretolamento dei nostri sistemi di valori e in una violazione dei nostri diritti; perché i Diritti Umani non sono mai una priorità per la politica (Luigi Manconi, presidente PD della Commissione Diritti Umani del Senato); perché l’idea che il presidente USA Trump ha del mondo e il sostegno che offre alle politiche segregazioniste di Israele nei confronti dei palestinesi, rischiano di trascinare il Medio Oriente e il mondo intero nell’ennesima catastrofe.
8 dicembre 2017
Piero Piraccini