“Difesa: aumenti, altro che tagli”
Lorenzo Montanaro - Famiglia Cristiana
Appello della Tavola della pace (cui hanno aderito molte associazioni) contro le spese militari, mentre si discute la legge delega di revisione delle Forze armate. Parla Flavio Lotti.
«Non sarà "spending review", ma "spendi di più"». In questi giorni è in discussione al Senato il disegno di legge delega di revisione dello strumento militare, depositato dal ministro della Difesa Giampaolo Di Paola. Il testo si presenta come un valido mezzo per snellire la macchina delle Forze armate e contenere le spese. Ma una rete di associazioni, guidate dalla Tavola della Pace, lancia l'allarme: non ci sarà alcun risparmio reale, anzi, al contrario la spesa pubblica è destinata ad aumentare. Non solo: se approvato, il ddl porterà con sé una serie di conseguenze pesanti. Lo chiarisce Flavio Lotti, coordinatore nazionale Tavola della Pace.
– I tanto discussi cacciabombardieri F-35 passano da 131 a 90, mentre il personale militare in servizio si riduce da 190.000 a 150.000 unità. Sembra che, dopo anni di annunci, qualcosa si stia effettivamente tagliando. Qual è il problema, allora?
«Il problema è che, dichiarazioni propagandistiche a parte, non ci sarà nessun taglio reale. Infatti i risparmi derivati dal contenimento del personale saranno usati per acquistare nuovi sistemi d'arma».
– Quindi il bilancio della Difesa resta invariato?
«Esattamente: il ministro pretende di mantenere inalterato il budget a sua disposizione. E invoca la cosiddetta "flessibilità di bilancio", il che in sostanza significa "voi dateci i soldi, poi decidiamo noi come spenderli". La Tavola della Pace ha calcolato che, nei prossimi 12 anni, le Forze armate costeranno come minimo 230 miliardi di euro (solo nel 2012 si spenderanno 585 milioni per gli F-35, mentre per la lotta alla povertà ne sono stati stanziati 86). Ci sembra una spesa assurda, soprattutto in un momento di grave crisi economica, che sta imponendo a famiglie e comunità sacrifici durissimi».
– Il principio ispiratore del ddl si può riassumere nella formula "meno uomini, più armi". Come valutate questo modello?
«Che il personale vada ridotto lo dicono gli stessi militari. Delle 190.000 persone in servizio nelle Forze armate, solo 40.000 sono effettivamente impegnate in missioni militari. Inoltre abbiamo un altissimo numero di generali e comandanti che, per paradosso, stanno diventando più dei comandati. Ma il fatto è che l'intero modello della difesa andrebbe rivisto. Tagliare sul personale per poi acquistare costosissimi e inutili sistemi d'arma ci sembra una scelta quanto mai sconsiderata. L'Italia è ancora legata a un modello anacronistico, che mantiene in piedi 70 programmi di armamenti, rimasti invariati dal tempo della guerra fredda a oggi. Noi vorremmo un sistema più "leggero", ma soprattutto capace di confrontarsi con le reali priorità del Paese. Prima ancora che una campagna pacifista, la nostra è una campagna per il buon senso»
– Ma in gioco non ci sono solo questioni economiche. Voi avete evidenziato alcuni pericoli nascosti nel testo del ddl. Quali sono?
«Il primo dato inquietante riguarda la vendita di armi italiane. Attualmente le trattative vengono gestite da organismi privati, con un intervento del Ministero degli Esteri e la supervisione della Presidenza del Consiglio. Il ddl stravolge completamente questo quadro: il Ministro della Difesa, che finora poteva agire solo tramite accordi intergovernativi, viene autorizzato a firmare contratti di vendita di armi italiane. E' un modo per poter svendere le vecchie armi dell'Esercito e avere così il pretesto per acquistarne di nuove. Non solo: nel testo si dice esplicitamente che l'obiettivo è incentivare il made in Italy. Ma siamo sicuri che sia questo il made in Italy da incentivare? Perché il ministero della Difesa, il cui compito sarebbe garantire la sicurezza nazionale, chiede di poter intraprendere operazioni che di fatto vanno contro la sicurezza nazionale? Stiamo correndo un grave rischio: che il ministero della Difesa diventi partner sempre più stretto delle industrie produttrici di armi. Vogliamo denunciare con forza questo intreccio pericoloso».
– Anche in materia di protezione civile sono in arrivo alcune novità…
««Infatti. Il testo stabilisce che, in caso di calamità naturali, gli interventi di soccorso dell'Esercito debbano essere pagati da chi li richiede, quindi dai Comuni terremotati o alluvionati o comunque in condizioni di bisogno. Quello che abbiamo visto accadere a inizio anno con l'emergenza neve (problema poi risolto solo grazie a un intervento straordinario della Presidenza del Consiglio) diventerà la norma. Teniamo in piedi una macchina che ci costa 23 miliardi l'anno, ma che poi, quando interviene, deve essere pagata con fondi extra: è una situazione davvero insostenibile».
– Come valutate il fatto che un argomento così delicato come la riforma della Difesa sia affrontato mediante legge delega?
«In questa scelta vediamo la chiara volontà di evitare un dibattito parlamentare serio. Il confronto fa paura non solo ai militari, ma anche ad alcune forze politiche, preoccupate dalle reazioni dell'opinione pubblica. Per questo vorrebbero accorciare i tempi e chiudere i conti in fretta. Qualcuno ha perfino proposto una sessione serale straordinaria, come si fa per i provvedimenti di emergenza. E' fondamentale che in questi giorni la società civile si faccia sentire: nella prima settimana di luglio dovranno essere presentati gli emendamenti, unico modo per cambiare un provvedimento iniquo e pericoloso. Bisogna mobilitarsi ora, prima che sia troppo tardi, e dire con forza che le armi non sono l'unica soluzione, che bisogna ridare respiro a strumenti fondamentali come la ricostruzione di una politica estera e la cooperazione internazionale».
29 Giugno 2012