Democrazie senza cittadini


Nigrizia.it


Gli ultimi casi sono quelli di Angola e Rwanda.Due elezioni parlamentari, raccontate con festeggiamenti pubblici di massa. Finalmente


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Democrazie senza cittadini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Gli ultimi casi sono quelli di Angola e Rwanda. Due elezioni parlamentari, raccontate con festeggiamenti pubblici di massa. Alta affluenza di votanti. Tanti sorrisi, pochi brogli. Finalmente – è il commento diffuso – la democrazia per via elettorale sta facendo breccia anche in Africa, dove la passione democratica non è mai stata così scontata, come dimostra evidentemente quanto successo in Kenya e in Zimbabwe nella prima metà di quest’anno.

A oltre un decennio dalla terza ondata di democratizzazione africana (1990-93, Sudafrica; 1999, Nigeria), qualche risultato è stato ottenuto, anche se le simpatie per una forma democratica di governo sono state talvolta effimere o poco durature.
Le popolazioni subsahariane devono fare i conti con la dura realtà quotidiana dei problemi post-transizione: vivere o sopravvivere con quel che si ha. C’è perfino chi ritiene che sia un errore distogliere le energie degli africani, dedicandole alla realizzazione della piena democrazia sostenuta dall’Occidente. Prima lo sviluppo, poi i diritti! Del resto, è falsa l’idea corrente che la democrazia produca e diffonda benessere più di ogni altra forma di governo. In realtà, un certo grado di benessere è un presupposto, non un effetto, della democrazia. Lo sperimentiamo anche noi occidentali: siamo disposti a ridurre le nostre libertà e i nostri diritti, se la crisi economica e le paure ci attanagliano. È da ingenui pensare che la democrazia, per intrinseca virtù, trasformi automaticamente i sudditi in cittadini. L’educazione alla cittadinanza è un cammino, non la conquista di un giorno.
 
Angola e Rwanda costituiscono, comunque, due esempi positivi in Africa. Che nascondono, però, anch’essi degli interrogativi. Rappresentano successi politici al cui interno lavora indisturbato un tarlo che minaccia le loro fragili democrazie. I risultati “bulgari” dei partiti al potere nei due paesi (Mpla in Angola, l’Fpr in Rwanda) rivelano, sostanzialmente, un modello di democrazia monopartitico. Come se il sentimento antiautoritario fosse estremamente superficiale tra la popolazione e ci si affidasse, con il voto, alle mani salvifiche dell’uomo forte o di una élite oligarchica.
Non siamo di fronte a democrazie intese come dialogo aperto e guidate da governi aperti a tutti, in cui chi la pensa diversamente non è solo sopportato (nel migliore dei casi), ma altamente apprezzato. Non sono un sistema dove c’è una preferenza continua prestata all’interesse pubblico più che agli interessi propri. Siamo, invece, in un contesto in cui un po’ di libertà è barattato in cambio di un fragile progresso economico e di pace coatta.
 
La domanda da farsi, guardando ai casi angolano e rwandese, è: basta diffondere i diritti di partecipazione (quello politico e di voto) perché lo spirito democratico si radichi in quei paesi? È sufficiente recarsi un giorno nel chiuso di una cabina elettorale per sentirsi cittadini di un paese democratico? Insomma: dopo le recenti elezioni, gli angolani e i rwandesi (ma il caso si applica anche ad altre nazioni) sono diventati cittadini o sono rimasti sudditi?
I percorsi che portano al voto in Africa sono molto accidentati. Il controllo dei beni, delle risorse e dell’informazione (strumento indispensabile per costruire cittadinanza) è nelle mani di chi sta al potere. La partecipazione attiva alla vita politica è zoppa. La società civile è in affanno. Sono solo un ricordo sbiadito i fasti, veri o presunti, delle “primavere africane” che, muovendo dal basso, tentarono (siamo negli anni seguiti alla caduta del Muro di Berlino) di portare aria nuova nei parlamenti e nelle istituzioni. E, comunque, la società civile non è ancora un soggetto attivo di cambiamenti radicali. In Africa, tranne poche eccezioni, quello che manca politicamente è una vera alternanza: o governa chi occupa la poltrona da decenni o, se il voto crea caos e violenze, ci si obbliga a una condivisione inagibile del potere.
 
Sarebbe un errore, tuttavia, puntare il dito contro l’Africa. Cadremmo anche noi nella trappola di non accorgerci che la democrazia e le sue applicazioni assumono significati diversi a seconda dei diversi popoli. Il culto della personalità (Berlusconi, Sarkozy, Putin…), esecutivi sempre più forti con parlamenti esautorati (vedi sopra) e brogli elettorali (Al Gore vincitore, non riconosciuto, su George Bush) non sono patrimonio solo della vita politica africana. Che non sia questa la tendenza politica di oggi?

Fonte: Nigrizia.it

Editoriale di ottobre

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