Darfur, la tragedia che non può essere raccontata
Enzo Nucci
La sede della Rai di Nairobi aveva avviato l’iter per poter accedere nella regione. Tempi dilatati da rimandi e difficoltà… alla fine è arrivato il sospirato “sì”. Ma a bloccare tutto sono arrivati gli scontri tra esercito e ribelli asserragliati nel campo profughi di Kalma.
Il Darfur resta di difficile accesso all’informazione internazionale nonostante che il presidente Omar Al Bashir (su cui pende la richiesta di incriminazione per genocidio da parte del tribunale internazionale dell’Aja) stia cercando di accelerare il processo previsto dagli accordi degli anni scorsi.
Ne abbiamo avuto una esperienza diretta nei giorni scorsi. La sede della Rai di Nairobi aveva avviato nello scorso mese di aprile l’iter per poter accedere nella regione. Tempi dilatati da continui rimandi e difficoltà di tipo burocratico, obiezioni, ritardi nei rilasci di visti e permessi ma alla fine è arrivato il sospirato “sì” dalle autorità di Khartoum.
Altri 4 giorni di attesa nella capitale sudanese per perfezionare ulteriormente i permessi e poi la partenza per Geneina, la capitale del Darfur occidentale. Qui altri 4 giorni di stop (sempre di perfezionamento dei permessi: repetita iuvant) prima di partire alla volta di Garsila, prima tappa concordata con le autorità di lavoro per il reportage.
Ma a bloccare tutto sono arrivati gli scontri tra esercito e ribelli asserragliati nel campo profughi di Kalma (nei pressi di Nyala, capitale del darfur meridionale) che ospita 90 mila sfollati. Bilancio degli incidenti pesantissimo: almeno 46 morti (tra cui molte donne e bambini) e 200 feriti.
Appena un’ora dopo gli incidenti, è arrivato da Khartoum l’ordine di sospendere le riprese televisive perché tutti i permessi erano stati revocati. Nessuna spiegazione in merito, nessun ordine scritto. Solo l’ingiunzione immediata per giornalista e cameraman di abbandonare immediatamente i luoghi e ritornare a Khartoum. Inutile ogni protesta, ogni mail di spiegazione, ogni telefonata satellitare per chiedere numi ai responsabili.
Unica e sola risposta un “niet” che non ammetteva repliche.
A far da corollario a questo scenario, è arrivata il giorno successivo la notizia che un aereo commerciale partito proprio da Nyala era stato dirottato in Libia meridionale da due guerriglieri di una frazione minoritaria del Movimento di Liberazione del Sudan, conclusosi dopo 24 ore senza spargimento di sangue.
Il Sudan è una santabarbara pronta ad esplodere. La richiesta di arresto per il presidente Bashir è un’arma a doppio taglio che rischia di fermare il faticoso cammino degli accordi raggiunti negli anni scorsi. Rischia anche di spaccare lo schieramento internazionale perché questa è la prima volta che viene chiesto di processare un capo di stato in carica. Ma anche all’interno del paese si rischia di accelerare un processo di implosione interna. La situazione resta difficile e fluida. Molti gruppi armati passano continuamente da uno schieramento all’altro. I “diavoli a cavallo” (milizie paramilitari in prima fila nel genocidio) contestano al governo centrale di non ricevere aiuti adeguati. Mentre signori della guerra schierati con i guerriglieri trovano a volte più conveniente passare al servizio di Khartoum.
Questa situazione di totale incertezza sta anche bloccando i sogni della “grandeur” sudanese che mira a trasformare la capitale in un centro finanziario in grado di contendere la leadership agli Emirati Arabi. Mentre la Cina , sempre all’affannosa ricerca del prezioso petrolio in grado di mandare avanti la macchina industriale, non si accorge della violazione dei diritti umani e continua a fornire armamenti militari.
Molte ambiguità anche tra le potenze occidentali che attendono il corso degli eventi.
Ancora una volta il Sudan può attendere.
Fonte: Articolo21
30 agosto 2008