CRBM: dov’è finita l’agenda del G20?


Luca Manes – Antonio Tricarico


L’emergenza della crisi dell’area Euro rischia di oscurare la necessità di intraprendere azioni concrete e radicali per far fronte a questi problemi che sono tra le cause strutturali della crisi finanziaria ed economica che viviamo, anche nell’area Euro.


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CRBM: dov’è finita l’agenda del G20?

L’agenda originaria del G20 di Cannes sotto la Presidenza francese comprendeva temi centrali per la riforma del sistema finanziario ed economico internazionale quali la riforma del sistema monetario internazionale, la volatilità e la speculazione sui prezzi delle commodity, in particolare delle derrate alimentari, il riequilibrio degli squilibri economici mondiali, la regolamentazione del sistema finanziario e bancario.
L’emergenza della crisi dell’area Euro rischia di oscurare la necessità di intraprendere azioni concrete e radicali per far fronte a questi problemi che sono tra le cause strutturali della crisi finanziaria ed economica che viviamo, anche nell’area Euro. Allo stesso tempo il G20 dovrebbe rioccuparsi di questioni a lungo sollevate dalla società civile, ma per il momento non affrontate nella maniera dovuta, quali la regolamentazione dei paradisi fiscali e l’imposizione di una tassa sulle transazioni finanziarie internazionali.

Chiudere i paradisi fiscali
Nell’aprile 2009, a Londra, il G20 aveva discusso su come stringere una morsa intorno ai paradisi fiscali, rivedendo la lista nera delle giurisdizioni segrete che permettono una sistematica evasione. Nei paradisi fiscali le sole persone fisiche nascondono 11 trilioni di dollari. Un trilione in più si è spostato offshore con la crisi economica e ogni anno un trilione di dollari si sposta dai Paesi poveri verso le economie avanzate passando per i paradisi fiscali grazie alle pratiche illecite sui costi di trasferimento adottati dalle multinazionali.
Pochi mesi dopo la decisione del G20, la lista nera si è nuovamente svuotata e adesso solamente quattro Paesi sono “sotto osservazione” nella lista grigia dell’OCSE. Analogamente il forum sullo sviluppo e la tassazione dell’OCSE non ha fatto alcun progresso significativo per ridurre la fuga di capitali. Solamente rivedendo la definizione di paradisi fiscali secondo quando proposto dal Tax Justice Network, sarà possibile limitare fortemente queste pratiche di evasione fiscale, inaccettabili soprattutto in un momento di grave crisi economica, anche per l’Italia. Per questo motivo la CRBM oggi ha partecipato all’azione simbolica al confine del Principato di Monaco – dove per altro molti contribuenti italiani si nascondono ancora al fisco – per chiedere azioni concrete e immediate per chiudere per sempre i paradisi fiscali.

Tassare la finanza globale
Da anni la società civile internazionale chiede l’imposizione di una tassa sulle transazioni finanziarie, finalizzata a ridurre drasticamente nel breve termine la speculazione finanziaria sui mercati e a permettere di avere un significativo gettito di diverse decine, se non centinaia miliardi di dollari ogni anno, da utilizzare per ripianare i debiti pubblici, ma anche per finanziarie la lotta ai cambiamenti climatici e la cooperazione allo sviluppo.
Diversi Paesi europei – Francia e Germania in primis – e fuori dall’Europa – recentemente anche alcune economie emergenti hanno manifestato interesse all’introduzione di una tassa del genere. La Commissione europea sta studiando la sua applicazione in Europa o nell’area euro e alcuni Stati hanno anche vagliato la possibilità di applicarla solamente a livello nazionale. Recentemente, importanti personaggi del mondo economico e finanziario, quali Bill Gates o Warren Buffet, si sono detti favorevoli a questa tassa. Il governo italiano continua ad avere una posizione ambigua al riguardo, nonostante potrebbe ricavare immediato giovamento dall’imposizione di una tassa di tal fatta.

Fermare la speculazione sul cibo e sulle commodity
Il tema della speculazione sul cibo ha assunto maggiore importanza negli ultimi anni in seguito alle numerose rivolte per il pane che sono scoppiate in diversi Paesi in via di sviluppo nel 2008 e quindi in occasione delle rivolte della primavera araba, alcune delle quali sono state innescate anche dalle proposte per l’aumento spropositato dei prezzi di alcuni alimenti di base. I prodotti finanziari derivati giocano un ruolo centrale in questi processi speculativi. Di fronte alla crisi dei mercati finanziari tradizionali – azioni, titoli obbligazionari, immobiliare – numerosi speculatori si sono spostati sui mercati delle commodity ed hanno promosso nuovi strumenti finanziari, quali gli index fund e gli exchange traded funds – che hanno permesso ad investitori istituzionali ed anche la clientela retail di investire in questi nuovi mercati speculativi. Ciò ha provocato un fortissimo aumento dei prezzi delle derrate alimentari di base, prima nel 2007-2008 e poi nuovamente nel 2010-2011.
Il G20 agricoltura dello scorso giugno ha promosso l’adozione di un nuovo sistema per lo scambio di informazioni che introduca maggiore trasparenza sul funzionamento di questi mercati finanziari collegati alle commodity, e ha richiesto una maggiore trasparenza e tracciabilità dei mercati dei derivati “over the counter”. Tali misure non sono sufficienti ad arginare il fenomeno, mentre al contrario la società civile chiede che alcuni prodotti siano messi al bando e che si introducano dei limiti ferrei per la partecipazione di attori puramente finanziari in tali mercati. Ad oggi tali misure sono state discusse nell’attuazione della nuova legge sui mercati finanziari negli Usa, ma troppe eccezioni sono state previste per i grandi attori finanziari. Analogamente le proposte avanzate dalla Commissione europea – nella normativa “Mifid” – non sono sufficientemente chiare e risolutive in proposito.

Regole per le banche
Nel 2010 il G20 ha approvato la revisione delle regole di Basilea per l’adeguamento di capitale delle banche, con un impegno ad attuarle in toto solo entro il 2019. Le recenti turbolenze sui mercati finanziari dimostrano che i requisiti vanno rafforzati e soprattutto che le regole vanno applicate prima. Allo stesso tempo il G20 deve ancora chiarire come affronterà la questione delle banche cosiddette “sistemicamente” rilevanti, ossia che sono troppo grandi per fallire.
La società civile ritiene che le regole approntate fino ad oggi non siano sufficienti per prevenire nuove crisi bancarie, come dimostra l’esposizione delle banche europee nei confronti dei Paesi oggi in difficoltà. Per questo è necessario in particolare procedere al ridimensionamento delle banche che pongono rischi importanti per la stabilità finanziaria, sul solco delle proposte avanzate dall’ex governatore della Banca centrale americana, Paul Volcker. Allo stesso tempo l’accordo di Basilea per la valutazione e la gestione del rischio dovrà tenere in considerazione anche parametri ambientali e sociali per ora non presi minimamente in considerazione. Nel caso specifico del possibile default della Grecia, è importante che le banche private paghino anche loro, dopo aver beneficiato ampiamente della speculazione nell’area euro. Un taglio del 50 per cento del rimborso capitale è il primo passo nella giusta direzione, ma è anche necessario che si discuta di un meccanismo di arbitrato giusto e indipendente che permetta in futuro di gestire tali situazioni.

Riequilibrare l’economia mondiale e la questione monetaria
Ad inizio anno, il G20 finanziario si è accordato sulla definizione degli indicatori da monitorare per analizzare gli attuali squilibri nell’economia mondiale ed eventualmente su come quantificare degli obiettivi comuni di assestamento. Oggi economie importanti quali quella americana sono sempre più indebitate nei confronti dei Paesi emergenti poiché continuano ad importare significativamente merci e servizi. Di contro gli Stati esportatori – quali Cina, Germania e Giappone – non si focalizzano a sufficienza sul proprio consumo interno e continuano a esportare accumulando ingenti quantità di capitali che o sono accumulati sotto forma di riserve valutarie e buoni del tesoro americani, oppure reinvestiti nell’area Euro, come nel caso tedesco. Un fattore, quest’ultimo, che provoca dipendenza nei Paesi della “periferia” europea.
Nonostante si sia definito un piano di lavoro, il G20 non fa alcun progresso nel fissare degli obiettivi e dire chiaramente quali economie devono ribilanciarsi. La questione è strettamente collegata a quella monetaria e dei tassi di cambio. Gli stimoli della Fed negli Usa continuano ad aumentare la liquidità dei mercati, che si sposta in maniera speculativa nelle economie emergenti producendo rischiosi fenomeni inflattivi, anche in Cina. Allo stesso tempo il governo cinese resiste alla pressioni americane per una rivalutazione del renminbi, anche perché recentemente sia il Giappone che la Svizzera sono intervenuti per calmierare i propri tassi di cambio a fronte di un indebolimento di dollaro ed euro.
La società civile crede che sia centrale tornare ad effettuare un controllo dei capitali, così come negli ultimi decenni è stato fatto con successo da alcune economie emergenti. Soltanto in questo modo si può ribilanciare l’economia nazionale. Allo stesso tempo è necessario che si vada oltre la supremazia del dollaro nel sistema monetario internazionale, iniziando con l’adozione di un paniere più ampio di monete come riferimento per l’accumulazione di riserve da parte dei paesi emergenti, ed eventualmente per il commercio di alcune commodity a livello internazionale. Questo richiede una forte volontà politica e una visione che al momento il G20 non sembra avere.

Fonte: www.unimondo.org
3 Novembre 2011

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