Così parlò Bashar al Assad
Paola Caridi - invisiblearabs.com
Bashar al Assad (giovane presidente al potere, comunque, da ben dieci anni) parla della crisi. Inizia bene, ma conclude in maniera vecchia. Riforme forse, ma quali?
Condivido l’analisi stringata ma efficace di Shadi Hamid su Twitter: “Le riforme? Forse. La cospirazione straniera? Certo. E le tv via satellite sono cattive”. Il discorso di Bashar al Assad di fronte al parlamento siriano non era cominciato nel peggiore dei modi. Anzi. Il giovane presidente (al potere, comunque, da ben dieci anni) non ha ignorato quello che è successo nel mondo arabo. Non ha ignorato le rivoluzioni, le ha anzi chiamate tali, ha parlato della “strada araba”, dei bisogni della gente. E ha inserito a pieno titolo la Siria dentro la regione: la Siria è parte integrante del mondo arabo, e dunque non può non essere influenzata da quello che sta succedendo. Analisi perfetta, e diversa da quella fatta dagli altri rais arabi che si sono trovati disarmati di fronte alle rivoluzioni. Il giovane Assad (e qui l’età conta) ha fatto tesoro di quello che è successo. Ne ha fatto tanto tesoro che non solo la sua retorica politica è stata diversa da quella adottata dai suoi omologhi in Tunisia, Egitto, Libia, Yemen. Anche le reazioni della folla pro-Bashar che inneggiava a lui fuori dal parlamento erano mutuate dagli slogan delle rivoluzioni. Al sha’b yurid è arrivato anche a Damasco, usato dai fedeli alla presidenza. Un segnale, questo, che le rivoluzioni hanno già vinto, comunque vada. Che, però, la manipolazione della retorica a uso della presidenza fosse solo un artificio, lo si è capito immediatamente sia dal luogo scelto da Bashar per parlare per la prima volta ai siriani, dopo l’inizio delle proteste. Sia dalle reazioni dell’uditorio. Il luogo è stato il parlamento, e la carrellata dei visi dei deputati, del loro modo di applaudire, delle cantilene per far piacere al presidente, degli slogan abusati (“con l’anima e con il sangue noi ti difenderemo, Bashar”): tutto era talmente stantio da stridere con quello che era successo nelle strade di Daraa e Latakia nei giorni precedenti. Lo stesso discorso di Assad, dopo un inizio diverso dai discorsi dei presidenti travolti dalle rivoluzione, non è riuscito a fare quel salto di qualità indicato dall’analisi della situazione regionale. Il discorso è stato tutto incentrato sulla cospirazione internazionale, con qualche battuta, subito raccolta dall’uditorio, su quanto siano cattive e distorte le informazioni fornite dai canali satellitari. Al Jazeera non è stata mai citata, ma sul banco degli imputati c’era, ancora una volta, proprio il network di Doha. Riforme, questa la parola più citata nel discorso di Assad. Anzi, riforme economiche. Il presidente siriano non è andato oltre questo, dando ancora una volta una lettura solo economistica delle rivoluzioni, senza comprendere il ‘tanto’ che c’è alle spalle dell’insoddisfazione sociale e che parla di diritti negati e di richiesta di cittadinanza. Un breve accenno alla legislazione d’emergenza (una bozza per cancellarla c’era già prima, ha in sostanza detto Assad), ma nient’altro. Nessun accenno alle libertà, alle riforme politiche, a possibili emendamenti costituzionali. Niente di quanto richiesto dalla ‘strada araba’. Anzi, dalla ‘strada siriana’. E allora, per capire qualcosa di più, oltre alla raccomandazione di cercare su twitter informazioni mettendo il tag #Syria, ecco il link a un post del sito di Joshua Landis, uno degli esperti di Siria. Raccoglie gli ultimi articoli usciti sulla crisi di Damasco. Non sono esaustivi, ma è un primo passo.
Fonte: invisiblearabs.com
30 marzo 2011