Così l’esercito ci costa 50mila euro al minuto


Repubblica.it


La macchina militare ingoia ogni anno 27 miliardi di euro: quattro volte il fondo ordinario delle università. Ma alle spalle dei 12mila soldati d’eccellenza c’è un elefantiaco apparato di 190mila addetti che non collima né con le esigenze strategiche né con le logiche di bilancio.


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Così l'esercito ci costa 50mila euro al minuto
Tremonti avverte: tagli sbagliati, si rischia una Difesa inefficiente

Repubblica è venuta in possesso di due documenti riservati, inviati al parlamento dai ministri dell’Economia e della Difesa. La drastica riduzione della spesa resa necessaria dalla crisi sta andando a colpire, anzichè gli sprechi, i settori nevralgici delle Forze armate. Ecco dove e come.

La scure di Tremonti s’è abbattuta in questi anni sulle Forze armate riducendole sul lastrico. L’Italia è il paese che investe meno in Difesa in rapporto al Pil. Le nostre armi non sono in grado, a causa dei tagli agli investimenti, di mantenere gli impegni assunti a livello internazionale: i reparti impegnati nelle missioni estere sono di serie A, gli altri di serie B. La situazione è talmente sull’orlo del fallimento che l’esercito, per fare un esempio, non è in grado neppure di provvedere al totale pagamento dei canoni relativi all’asporto dei rifiuti, avendo un debito pregresso di 40 milioni. La fotografia del dissesto finanziario di marina, esercito, aviazione (e in parte anche della quarta forza armata, l’Arma dei carabinieri) è rappresentata dai documenti riservati che il ministro della Difesa Ignazio La Russa e quello dell’Economia Giulio Tremonti hanno inviato al Parlamento.

Stando a questi dati, l’Italia risulta essere rispetto ai principali paesi dell’Europa occidentale quello che dedica meno risorse alle Forze armate in percentuale al Pil. Nel 2011 appena lo 0,9 per cento (Pil 1.582.216 milioni, Difesa 14,360 milioni); Francia 1,50 per cento (Pil 2.012.300 milioni, Difesa 30.162 milioni); Germania 1,22 per cento (Pil 2.586.600 milioni, Difesa 31.549 milioni); Gran Bretagna 2,13 per cento (1.790.500 milioni, Difesa 38.059). Un budget così basso che dal 2007 (a parte un incremento dell’1,4 per cento durante la parentesi del governo Prodi) ha subito tagli costanti in termini reali sotto l’attuale governo Berlusconi: meno 3,3 per cento nel 2009, meno 4,4 nel 2010, meno 5,4 nel 2011, meno 3,2 nel 2012.

Ma la riduzione della spesa, tuttavia, anziché gli sprechi, è andata a colpire i settori nevralgici delle Forze armate al punto da metterne in crisi l’efficienza. A denunciare questo rischio, del resto, è paradossalmente lo stesso ministero dell’Economia che ha brandito la scure sui conti. Nella “Nota integrativa al ddl di bilancio del ministro della Difesa” per il 2012 e il 2013, redatto proprio dal dicastero Tremonti, al capitolo spese per l’”Esercizio”, infatti, vengono evidenziate queste preoccupanti criticità. “I ridotti volumi a disposizione – si legge – consentono di soddisfare parzialmente solo le esigenze nelle aree fondamentali della formazione e dell’addestramento del personale e delle capacità operative più rilevanti e maggiormente coinvolte nelle attività istituzionali e operative. Le restanti aree. invece, afferenti ad esempio il mantenimento e la manutenzione generale dei mezzi ed equipaggiamenti, dei servizi generali, delle infrastrutture e del ripianamento scorte, saranno fortemente condizionate dall’accentuato sottofinanziamento”.

Anche il dimagrimento della voce Investimenti genera inquietudine negli uffici del ministro Tremonti. “Tali volumi finanziari e previsioni di spesa non saranno sufficienti per sostenere la prosecuzione dei programmi di investimento già approvati in passato e per i quali sono stati assunti formali impegni anche a livello internazionale”. Il “rischio”, osservano i funzionari del Dipartimento della ragioneria generale dello Stato (Ispettorato generale al bilancio), è “il deterioramento generale” del sistema-difesa. “Il rischio – scrivono i contabili dell’Economia – che l’organizzazione nel suo complesso non riesca ad intervenire per prevenire il deterioramento generale e in modo accentuato di settori vitali come quello della formazione, dell’addestramento, della manutenzione e delle scorte, rimane su parametri significativamente elevati e con aspetti di marcata criticità”. Ed ecco, in poche righe, l’allarme vero e proprio: “Livelli di finanziamento a lungo attestati al di sotto del bilanciamento dimensionale (qualitativo e quantitativo) possono portare alla perdita di capacità operative che richiederebbero tempi e oneri elevati e potrebbero comunque risultare non efficaci alla luce di possibili e imprevedibili contingenze”. Insomma, detto in altre parole, i tagli al bilancio compromettono l’efficienza della Difesa e rendono difficile, se non impossibile, il suo impiego nel caso di una improvvisa emergenza bellica (come ad esempio quella libica).

Questo in generale. Ma se si mette a fuoco la situazione dell’esercito, la forza armata maggiormente impegnata nelle missioni all’estero (dal Libano all’Afghanistan passando dall’ex Jugoslavia), la situazione peggiora ulteriormente. Nelle pagine della “Nota aggiuntiva allo stato di previsione per la Difesa per il 2011 e 2012”, presentata al Parlamento alcuni giorni fa, emergono, leggendo le tabelle, tutte le “criticità d’Esercizio”, una sorta di cahier des dolèances dei militari. A fronte di una esigenza minima stimata in 610 milioni di euro, per il 2012 il volume previsto è al momento di 310 milioni. Circa la metà. Tolte le spese fisse (199 milioni), restano da spendere per l’Esercizio (cioè il funzionamento della macchina-esercito), 110 milioni. Con queste risorse, dicono fonti interne, “l’esercito si troverà di fronte a un ulteriore decadimento dei livelli di efficienza in termini generali, con inevitabili riflessi sulla funzionalità delle unità, sulla sicurezza delle installazioni, e sulla qualità di vita del personale”.

Le previsioni sono pessimistiche: “Per il 2013 e il 2014 il quadro è destinato a peggiorare”. Le risorse stanziate per le operazioni all’estero, del resto, destinate solo ai reparti impegnati a livello internazionale, “rischiano di creare uno strumento militare non omogeneo, con reparti a diversa velocità. In definitiva, in uno scenario simile, l’assolvimento dei primari compiti istituzionali dell’esercito viene a prospettarsi gravemente compromesso”. Nel dettaglio, la formazione “sarà garantita ai minimi livelli. Il modulo standard sarà assicurato solo al 60 per cento, con gravi conseguenze sulla preparazione e sulla sicurezza del personale impiegato sul territorio nazionale. I programmi di integrazione nazionale e multinazionale, tutte le attività addestrative all’estero, e le esercitazioni interforze non saranno effettuate, così come la partecipazione a gruppi di lavoro internazionali e gli scambi con paritetiche unità di paesi alleati”.

A proposito della manutenzione, “si registrerà un progressivo e forte decadimento generale di tutte le capacità dell’esercito. Non sarà assicurato il mantenimento di attrezzature e impianti né la manutenzione del materiale d’armamento e il ripianamento delle scorte funzionali del munizionamento e carburante. Si attendono inoltre gravi ripercussioni nell’ambito della Sanità, delle Artiglierie, della Motorizzazione e del cosiddetto C4, ovvero tutto ciò che attiene il comando e il controllo”. “È pertanto immaginabile la ricaduta in termini di sicurezza del personale che tale decadimento di mezzi e materiali potrà determinare”.

Stesso discorso per le Infrastrutture. “Si aggraverà una situazione già particolarmente critica. Con le risorse disponibili sarà difficile assicurare una minima capacità d’intervento per fronteggiare le situazioni di emergenza che si verificheranno in corso d’anno (crollo di coperture, rottura di impianti di riscaldamento, guasti a cucine)”. I comandanti non potranno provvedere “ai piccoli interventi connessi alla sicurezza dei propri dipendenti”. “Non sarà possibile alcun lavoro sugli alloggi demaniali occupati né il recupero del patrimonio alloggiativo rendendo impossibile l’assegnazione degli alloggi di servizio”. In crisi anche il funzionamento dei Comandi e “gravi ripercussioni si avranno per le missioni del personale militare e civile, necessarie a garantire il normale svolgimento delle attività istituzionali”.

I tagli, infine, colpiscono anche l’editoria militare: rischiano di sparire infatti alcune edizioni storiche dell’esercito, come la Rivista Militare, il Rapporto Esercito e la Rassegna dell’Esercito.

Fonte: Repubblica.it

Articolo di Alberto Custodero

10 novembre 2011

APPROFONDIMENTI: Articoli e approfondimenti sulle spese militari dello Stato italiano su “RE Le inchieste”

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