Così la marea nera diventa una malattia


Francesco Semprini


La gente del Golfo del Messico colpita da una sindrome come quella dei reduci. E’ allarme per la “psicosi marea nera”.


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Così la marea nera diventa una malattia

Mentre aumentano le incertezze sul futuro di British Petroleum, è il rischio di una «psicosi marea nera » l’ultimo allarme lanciato dagli esperti, secondo cui le popolazioni del Golfo del Messico sono più esposte che mai a malattie psicofisiche come il «Post Traumatic Stress Disorder», la stessa patologia riscontrata tra non pochi militari di ritorno dal fronte. A due mesi dall’esplosione della Deepwater Horizon, Bp si trova così a dover fronteggiare le pressioni del governo americano, una situazione finanziaria sempre più difficile, e gli attacchi incrociati di cittadini e partner commerciali. E’ il caso delle accuse di «negligenza» provenienti da Andarko la società che detiene il 25% dei diritti di sfruttamento del pozzo danneggiato.

Cambio della guardia
«Si rifiutano di accettare le responsabilità e di far fronte alle spese» risponde Bp, nelle ore che precedono l’annuncio del sostituto di Tony Hawyard, l’ad del gruppo britannico sollevato dalle mansioni operative nel Golfo per volontà del presidente Barack Obama. Tra i papabili spicca lo scozzese Iain Conn, che guida il comparto raffinazione e marketing del gruppo, anche se il favorito è l’americano Bob Dudley, direttore operativo per America ed Asia. Intanto a rendere il quadro più complicato è l’ennesimo contrattempo, un problema al sistema di pompaggio del petrolio in uscita causato delle cattive condizioni meteo che ha costretto alla sospensione delle operazioni.

Paura
Oltre alle pesanti conseguenze ambientali, economiche e sociali per le popolazioni del Golfo è il rischio di una psicosi marea nera a preoccupare gli esperti. «La gente tende a somatizzare le paure e a reagire in modo traumatico, pensa che presto si sentirà male, perderà il lavoro e che sarà costretta a cambiare vita», spiega Marc Siegel in un saggio dal titolo «Falso allarme: la verità sulle epidemie di paura». Secondo il medico della New York University, questo causa ansia e depressione, sino a forme di psicosi più gravi. Accadde già nel 1989 con il caso Exxon-Valdez: gli studi hanno dimostrato che il 20% della popolazione delle comunità dell’Alaska interessate dal disastro, furono affette da forti stati di ansia, mentre il 9% soffriva di «Ptsd», ovvero quella che oggi è considerata la sindrome del reduce e che si manifesta con incubi, ossessioni, distacco dalla realtà e persino allucinazioni. Il timore è che nel Golfo, e in particolare in Louisiana, possa accadere qualcosa di simile anche perché le strutture mediche e di sostegno sono ancora alle prese con le conseguenze dell’uragano Katrina. Anche in quell’occasione i casi di ansia, stress e Ptsd registrarono un preoccupante aumento.

Secondo una pubblicazione di Harvard University il 14% degli abitanti di quella regione sono ancora oggi affetti da seri disturbi mentali a fronte del 6% precedente all’uragano, mentre il 20% soffre di più lievi patologie. È però il tasso di suicidi a preoccupare, perché riguarda il 6% della popolazione della regione il doppio rispetto alla media nazionale. L’impatto dell’attuale disastro potrebbe essere simile se non peggiore, dicono gli esperti, sia per l’ampiezza del danno sia per la maggiore densità delle zone colpite rispetto alla Valdez. «La marea nera porta con sé un significativo rischio di Ptsd e altre forme depressive», avverte Keith Ablow, psichiatra e autore di «Living the Truth», sulla tragedia del 1989. «Il timore è ancora maggiore », sostiene Siegel perchè l’attuale disastro è stato causato dall’uomo e il fatto che poteva essere evitato non fa altro che aumentare la carica di stress trasformando gli abitanti del Golfo nei nuovi reduci di una guerra non convenzionale.

Fonte: La Stampa

21 giugno 2010

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