Noi ci siamo! Appello dei centri antiviolenza


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Restare a casa per molte donne non è affatto l’opzione più sicura: cosa si sta facendo in Italia e l’appello della rete D.I.R.E al Governo.


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1522

Le restrizioni decise dai vari paesi per contenere il coronavirus avranno delle conseguenze sulla violenza domestica e, in particolare, sulle donne.

Per questo i movimenti femministi, varie associazioni che lavorano con le donne e anche alcuni governi si stanno muovendo per rilevare la questione e diffondere il più possibile informazioni utili.

Secondo le Nazioni Unite, la pandemia avrà un doppio effetto sulle donne:

la chiusura delle scuole e dei centri diurni per gli anziani o per le persone non autosufficienti sta aumentando gli oneri di lavoro domestico e di cura non retribuito, che continua a ricadere principalmente sulle donne. I settori di lavoro con la più alta esposizione al virus sono poi principalmente femminili: le donne rappresentano il 70 per cento del personale nel settore sanitario e sociale a livello globale. All’interno di questo settore, poi, esiste un divario retributivo medio di genere del 28 per cento, che si può aggravare in tempi di crisi e che avrà conseguenze anche successive.

Inoltre, ci sono i rischi di una maggiore esposizione alla violenza e dell’interruzione all’accesso alla salute sessuale e riproduttiva.
In questa situazione, la coesistenza obbligatoria può diventare un pericolo per le donne che sono vittime di violenza di genere. Restare a casa e condividere costantemente lo spazio con i propri aggressori per molte donne potrebbe non essere l’opzione più sicura, e potrebbe creare anzi le circostanze in cui la propria incolumità viene ulteriormente compromessa.

In Cina questi effetti “secondari” della pandemia a seguito dei blocchi imposti si sono già verificati. Dal 6 marzo, secondo un’organizzazione non governativa cinese che lavora con le donne, il numero totale di casi di violenza domestica nella prefettura di Jingzhou, nella provincia di Hubei, è salito a oltre 300, e a febbraio il numero di casi è raddoppiato rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Secondo uno degli attivisti che ha fondato l’ong, «l’epidemia ha avuto un impatto enorme sulla violenza domestica».

Claire Barnett, responsabile nel Regno Unito di UN Women, l’Organizzazione delle Nazioni Unite dedicata alla parità di genere e all’emancipazione delle donne, ha spiegato che esistono «prove evidenti» che in tempi di incertezza economica e di instabilità sociale, l’abuso domestico aumenta. «Quando le comunità subiscono ulteriori stress, i tassi di violenza aumentano».

La ministra delle Donne australiana Marise Payne ha recentemente affermato che garantire la sicurezza delle donne e dei bambini dalla violenza è «fondamentale ogni singolo giorno» e che questo «non cambia nell’attuale contesto»: «È fondamentale in questo momento difficile che le persone che hanno bisogno di servizi di sostegno per violenza familiare sappiano che tali servizi sono presenti e sono in grado di sostenerle». In Spagna il ministero della Giustizia ha incluso i tribunali che si occupano di violenza di genere tra quelli che continueranno a essere operativi, per «garantire l’emanazione di ordini di protezione e di eventuali misure precauzionali in materia di violenza contro donne e minori».

L’isolamento è una delle caratteristiche più comuni delle relazioni abusanti, ed è già dimostrato come la violenza domestica aumenti durante i periodi di vacanza dal lavoro.

Per tante donne andare a lavoro o accompagnare i bambini a scuola significa poter sfuggire anche solo per poco alle dinamiche di violenza domestica e di potere nelle quali vivono tutti i giorni, e al momento questo non è possibile. L’imposizione dell’isolamento può dunque amplificare il rischio a cui queste persone sono esposte, trovandosi a dover condividere per tutto il giorno gli spazi familiari con il proprio maltrattante.
Non solo: in questa situazione di prossimità con il proprio aggressore e di riduzione dei contatti esterni è molto più difficile chiedere aiuto.

Molte strutture di accoglienza per donne vittime di violenza sono state chiuse o fortemente limitate nella loro attività, e questo significa anche una maggiore difficoltà ad accedere ai vari supporti specialistici e ai luoghi di rifugio. Le circostanze attuali portano poi a scoraggiare le donne dal fare segnalazioni e quindi a rinviarle.

Qualche giorno fa la magistrata della procura di Milano Maria Letizia Mannella ha spiegato che da quando è iniziata l’emergenza coronavirus c’è stato anche «un calo» nelle denunce per maltrattamenti: «Ci basiamo solamente sull’esperienza perché è ancora presto per avere dei dati certi, ma possiamo dire che le convivenze forzate con i compagni, mariti e con i figli, in questo periodo, scoraggiano le donne dal telefonare o recarsi personalmente dalle forze dell’ordine».

In Italia – dove l’81,2 per cento dei femminicidi, nel 2019, è avvenuto all’interno della famiglia – si stanno attivando i movimenti femministi come Non Una di Meno con lo slogan “Non sei sola” per rilanciare il numero antiviolenza e stalking 1522, che è attivo anche in questi giorni 24 ore su 24 e che è gratuito.

 
I centri antiviolenza della rete D.i.Re si sono subito organizzati per far fronte all’emergenza, ma ora la situazione comincia a mostrare tutte le sue criticità”, spiega Antonella Veltri, annunciando che “per questo abbiamo scritto alla ministra per le Pari Opportunità Elena Bonetti”. 

Nella lettera inviata D.i.Re chiede di attivare una sezione specifica dedicata alla prevenzione e al contrasto della violenza di genere nella pagina con FAQ creata dal Dipartimento, “in modo che le donne sappiano con certezza che possono sempre trovare supporto se hanno bisogno di sottrarsi alla violenza, mentre molte credono che i centri antiviolenza siano chiusi”, precisa Veltri.

“I centri antiviolenza e le case rifugio, come moltissimi altri presidi sociali collettivi, a cominciare dalle strutture che accolgono donne richiedenti asilo e rifugiate con cui anche D.i.Re lavora, non sono stati dotati di alcuna strumentazione per far fronte all’emergenza, a partire dalle mascherine ormai praticamente introvabili e necessarie alle operatrici che devono continuare a svolgere il loro lavoro”, si legge nella lettera inviata alla ministra. “Per questo abbiamo chiesto aiuto a UNHCR”, racconta Veltri.

Desta inoltre grande preoccupazione “la difficoltà a fare nuove accoglienze per le donne che necessitano di protezione immediata”, aggiunge Veltri, perché, come scrive D.i.Re alla ministra, “non sono stati fino ad oggi previsti meccanismi di finanziamento specifici per l’emergenza, in particolare per individuare strutture ad hoc nelle quali accogliere le donne per la necessaria quarantena prima dell’inserimento in casa rifugio qualora dovessero presentare sintomi riconducibili al COVID-19, o per gestire la separazione dei nuclei accolti in casa rifugio qualora dovessero emergere casi di contagio da coronavirus”.

“Anche l’ultimo DPCM, che affronta le criticità per il sistema produttivo, sembra aver dimenticato le organizzazioni del terzo settore e i centri antiviolenza, per le quali finora non sono state previste misure che ne contemperino le specificità”, conclude la presidente di D.i.Re. “Ma sappiamo bene che la violenza non si ferma, non basta sollecitare le donne a chiamare il 1522, occorre una sinergia nazionale”.

La rete dei centri antiviolenza sta poi segnalando le possibilità rimaste attive sul territorio italiano, e in alcuni spazi femministi sono stati aperti dei canali diretti via chat, perché chiuse in casa non sempre sarà possibile telefonare.

Le operatrici di Lucha y Siesta, ad esempio, sono reperibili per ascolto e accompagno h 24 per:colloqui telefonici al numero 3291221342, attraverso mail all’indirizzo nonseisola.lucha@gmail.com ed hanno inoltre deciso di aprire un canale diretto via chat per permettere a più donne possibili di raggiungerci e mettersi in comunicazione con noi, perché chiuse in casa non sempre sarà possibile poter telefonare, attraverso l’account Facebook @lucha.ysiesta.

Infine la piattaforma “Obiezione Respinta” – partendo dal presupposto che in Italia non sempre è facile accedere a un’interruzione di gravidanza e che l’emergenza sanitaria in corso ha aggravato la situazione, poiché alcuni ospedali hanno dovuto ridurre gli accessi o trasferire il servizio di IVG – ha creato una rete di solidarietà per monitorare lo stato del servizio di interruzione volontaria di gravidanza, fornendo punti di riferimento e aiuto a chi ha bisogno di abortire. È stato dunque aperto un canale Telegram a cui fare riferimento. Il ministero delle Pari opportunità non è per ora intervenuto in modo specifico sulla questione della violenza domestica, ma sta rilanciando soprattutto le misure economiche speciali approvate «per le famiglie».

 

IL POST + Direcontrolaviolenza.it

18 marzo 2020

 

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