Congo, riflettori accesi per l’ultima tragedia. Poi calerà il silenzio


Antonella Napoli


La tragedia della Repubblica Democratica del Congo è lì ferma, non muta nel tempo. E’ lì, incancrenita, dinanzi allo sguardo poco attento del mondo che apre gli occhi su questo squarcio di mondo solo quando un’eclatante notizia.


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Congo, riflettori accesi per l'ultima tragedia. Poi calerà il silenzio

La tragedia della Repubblica Democratica del Congo è lì ferma, non muta nel tempo. E’ lì, incancrenita, dinanzi allo sguardo poco attento del mondo che apre gli occhi su questo squarcio di mondo solo quando un’eclatante notizia, come l’esplosione di un deposito di armi a Brazzaville, scuote le coscienze. Coscienze non sempre limpide che davanti al bilancio delle vittime di questo ultimo tragico episodio, salito a 236 morti, mostrano becero pietismo e accennano una parvenza di interventismo.
All'origine della deflagrazione, questa volta, non ci sarebbe un’azione di guerra ma un banale corto circuito che ha causato una serie di incendi a catena che hanno procurato ferite gravi a oltre 2000 persone e lasciato senza tetto ben 5000 famiglie. E non è ancora finita. I dispersi sono centinaia, soprattutto donne e bambini. Le code davanti alle scuole e agli uffici pubblici per controllare le liste dei cadaveri identificati e dei feriti sono impressionanti.
La gara di solidarietà delle organizzazioni non governative e dei paesi occidentali è partita in tempi da record. E' una lotta contro il tempo per salvare coloro che potrebbero ancora essere vivi.
E’ certamente una notizia confortante sapere che molti stati europei, e non solo, abbiano inviato aiuti e unità di soccorso nel Paese.
Ma una domanda sorge spontanea: è possibile che ci si prodighi per queste crisi solo nei momenti di massima criticità?
Il Congo conta 1,6 milioni di profughi tra orrori senza fine. Eppure la comunità internazionale non è abbastanza mobilitata.
Nonostante la denuncia delle ong dell’aggravarsi della situazione congolese negli ultimi mesi, al sostegno annunciato dai signori in ‘doppiopetto’ della diplomazia occidentale, poco o niente è seguito.
Alle loro parole spesso proferite senza grande convinzione, di certo con colpevole leggerezza, non fa eco nulla di realmente significativo. Mai.
I mesi passano, passano gli anni, e le condizioni di vita in Congo, come quelle della gente del Darfur e di tutti i popoli delle tante crisi dimenticate del mondo, peggiorano nell’indifferenza generale.  
In particolare nel nostro Paese l’attenzione dedicata a questi disperati e alle loro storie è ridotta al lumicino.
Gli ultimi rapporti dell’Osservatorio di Pavia sui diritti umani, che ogni anno relaziona sullo stato e la qualità dell’informazione sulle crisi dimenticate, sono sconfortanti.
I grandi media si occupano solo a fasi, ad esempio, delle repressioni in Siria o in Iran o delle nuove emergenze in Darfur, in Somalia o in Congo. Come in questo caso.
E per l’opinione pubblica tutto questo è normale… Ma noi di Articolo 21, e tutti i giornalisti che di questi temi continuano a scrivere senza badare a quanti click registreranno le proprie pagine internet, ci battiamo affinché questa ‘normalità’ prima o poi sia soverchiata.

Fonte: http://www.articolo21.org
6 marzo 2012

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